europa, europa.

Le macerie della Seconda guerra mondiale furono una straordinaria “occasione” storica per iniziare, lentamente, a immaginare l’Europa. C’eravamo già scannati sui campi di battaglia e nelle trincee della Prima, non ci era bastato. Con metodo e ferocia avevamo distrutto le nostre ricchezze, i nostri scambi, i nostri ponti e le nostre strade, le nostre città. Ci eravamo appena ripresi dai massacri della Prima e eccoci precipitarsi a reiterare l’orrore. La storia d’Europa sembrava non poter configurarsi altrimenti che attraverso la ripetizione della tragedia secolare della guerra.
Forse fu la consapevolezza, più probabile sia stata la paura – di certo, gli uomini e le donne che erano sopravvissuti alla guerra erano stremati e furibondi con le loro classi dirigenti: non avrebbero più impugnato un fucile, e probabilmente se fossero stati di nuovo chiamati alle armi lo avrebbero rivolto contro le loro élite. L’Europa aveva bisogno di pace.
È durata quasi ottant’anni, questa pace, un ciclo storico senza guerre fratricide su suolo europeo come mai era accaduto. Nonostante tutto, potevamo essere fieri di questo. Lo eravamo – la nostra “superiorità morale” si chiamava welfare, si chiamava occupazione diffusa, si chiamava progressiva conquista di diritti, si chiamava libertà di costumi, di movimento tra i confini. Tutte cose cominciate a conquistare proprio dalla fine della guerra. Oggi, di nuovo la guerra fa rimbombare il suo temibile passo militare. Qui, in Europa.
Per la verità, era già accaduto, trent’anni fa e nelle terre della ex-Jugoslavia, proprio dove tutto era cominciato, a Sarajevo nel 1914, quando il nazionalismo serbo contro l’impero asburgico accese la miccia che innescò la Prima guerra mondiale. Trent’anni fa, non si innescò nulla – ma i massacri, gli stupri di massa, gli orrori non ci furono risparmiati. Se non girandosi dall’altra parte.
Questa in Ucraina, perciò, non è la prima guerra europea dopo la lunga pace, ma la seconda. Però, è la prima che può innescare di nuovo un conflitto mondiale, mentre quella – se si può usare qui un termine orribile – restò “circoscritta”. La differenza con le guerre jugoslave non sta nei nazionalismi aggressivi – la differenza sta nella “dimensione” dei nazionalismi, sta nell’intervento di una grande potenza, quella russa, proprio come era accaduto nella Prima guerra mondiale con gli imperi, e proprio come non accadde durante le guerre jugoslave perché la Russia si stava leccando le ferite del crollo dell’Unione sovietica. Le “volontà di potenza” vanno anche commisurate alla dimensione, alla geografia.
Questa volta, davvero, una guerra mondiale può accadere, e di nuovo su suolo europeo.
Il 2 marzo alla plenaria delle Nazioni unite, convocata rapidamente, 193 nazioni si sono espresse su una risoluzione “contro l’aggressione russa all’Ucraina”: 141 voti a favore, 35 astensioni, 5 voti contro. Anche la Serbia e l’Ungheria – che possono essere considerate “vicine” alla Russia, hanno votato a favore della risoluzione di condanna. Ma alcune delle più grandi e popolose nazioni non si sono unite: così è per la Cina, l’India, il Brasile, il Bangladesh, il Pakistan, l’Indonesia. Il presidente del Messico, Obrador, ha detto che vuole avere “buone relazioni con tutti”. Il primo ministro dell’Argentina, Cafiero, ha detto che non avrebbe seguito le sanzioni, perché non gli sembrava un modo buono per “generare pace e armonia e instaurare un tavolo di dialogo”.
L’Europa è sola. E la “vicinanza” degli americani non è propriamente rassicurante. L’Europa è sola e nel momento più debole della sua iniziativa e capacità politica.
Nel momento più debole della sua capacità politica perché le due grandi famiglie politiche che hanno “costruito” l’Europa – ovvero quella socialista e quella cattolica-popolare – sono debolissime, assediate da nazionalismi e destre scimunite.
Siamo perciò davvero sull’orlo di una grande tragedia.
Ma siamo anche di fronte a una “occasione” storica straordinaria. Quella di rilanciare un’idea di Europa, che non badi solo alla misura delle cozze.
Ci vorrebbe, per questo, un nuovo soggetto politico. Sperare nei Verdi – a me sembra una pia illusione, e vorrei tanto essere smentito. I nuovi indipendentismi, che rifuggono dalla forma dello Stato-nazione e guardano a una nuova Europa, sono ancora deboli. Potremmo anche sperare nell’avvento di nuovi movimenti.
Nascesse anche questa, come quella di settant’anni fa, dalla paura, sarebbe il male minore. Potrei intanto augurarmi che essa aspiri a una maggiore democrazia, a più occupazione, a un nuovo modello di sviluppo, a più diritti.
Di certo, bisogna fermare i russi – perché non c’è altro modo di fermare la guerra.
Per ricordare Hölderlin – lì dove c’è il pericolo, lì cresce la salvezza.

Nicotera, 11 marzo 2022.

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