Il voto nero e latino per Trump: l’irrazionale elettorale.

Non erano un milione a Washington, alla manifestazione della Million MAGA March – dove MAGA sta per Make America Great Again – a dare il proprio sostegno a Trump e alle sue accuse di frodi e brogli elettorali contro Biden, ma erano tanti.
Come mai, ci si chiede ora stupiti consultando contea per contea, swing state per swing state, latinos e black hanno votato Trump, dandogli una quantità di voti inaspettata (certo, non è andata ovunque così, ma è andata anche così) – è un po’ chiedersi perché siciliani e calabresi abbiano votato Salvini che, per anni, li ha irrisi, disprezzati, dileggiati per poi andare a chiedergli i voti e prenderli. Perché nella Miami Dad, Florida, la contea probabilmente più colpita dal covid in termini di decessi dato che i pensionati bianchi anziani ci vanno a godersi gli ultimi anni, e dove la scriteriata campagna di Trump di minimizzazione del virus e del contagio avrebbe dovuto favorire Biden – invece è andata proprio all’opposto. È il “problema” dei sondaggi: i sondaggi pesano scelte e ne fanno medie, e se succede questo allora può succedere quello e quello, cioè provano a rendere prevedibile, matematico il comportamento elettorale, ma non c’è sondaggio al mondo che possa sondaggiare l’irrazionale. Trump è l’irrazionale. Gli elettori di Biden sono anti-cristiani, dice Trump. E suona come il virus “progettato” dalle élite per l’avvento di Satana – del direttore di Radio Maria. È curioso che possa esserci un’assonanza tra la Vergine Santa e il protestantesimo wasp – ma è di questo che stiamo parlando, del diavolo e dell’acqua santa. Difficile opporre argomenti razionali a queste affermazioni. Non si gioca la stessa partita, non si sta nello stesso campo, nello stesso campionato. Per Trump negare il risultato del voto è proprio “naturale”, se così si può dire – lui non accetta un risultato che può essere solo il frutto di un inganno, perché è convintissimo, e i “suoi” numeri lo affermano, che dove e come gioca lui, ha stravinto, forse non ha neanche bisogno di numeri, di voti. Trump ha la sua democrazia – e è l’unica che riconosca legale. L’altra democrazia, quella di Biden, è una truffa.
L’irruzione dell’irrazionale nella democrazia non è certo di adesso – e il Novecento ne è costellato. E potremmo dire che un elemento di irrazionalità è il sale della democrazia, la sua vitalità, finché l’eccesso la stroppia. E il covid e il contagio ne hanno moltiplicato l’effetto, l’hanno stroppiata. Perché la democrazia è anche “il formale”, non puoi toglierle tutte le mattine il tappetino sotto i piedi. C’è una relazione strettissima tra il contagio e l’irrazionale, tanto più quanto ogni tentativo razionale delle democrazie di tenere sotto controllo il virus senza distruggere l’economia dei paesi mostra continuamente difficoltà. Quanto più le misure di confinamento, di mappatura delle zone, di apertura o chiusura di attività economiche e di filiere essenziali, di sostegno a famiglie, lavoratori e imprese – mostrano la corda e vengono continuamente ricalibrate, in un affanno che è evidente e che non può essere che così. Il vaccino non è una chimera – ma il suo intervento provvidenziale, universale, razionale, si allontana, come è scientifico che sia: e a inverno prossimo mancano 50 settimane e a questi ritmi significa mettere in conto almeno altri 25mila morti. Mica bruscolini.
Dicono quelli che studiano i comportamenti elettorali che la vera “faglia elettorale” americana non sta nella razza, ma nel posto: not the race but the place. Che è il posto a determinare il tuo voto. E che i voti “urbani” sono per i dem e i voti “rurali” sono per i rep. Una cosa che si è già mostrata con forza nel voto inglese sulla Brexit o nella differenza di voto fra Berlino e la ex-Germania Est. E quindi puoi anche prendere valanghe di voti in California o a New York, ma poi il problema è che devi prenderli pure dove gli stati sono meno popolosi. E questa distinzione mi sembra più importante di quella tra l’America “profonda” e l’America delle “élite”. Però, dicono pure quelli che studiano i voti – che se sei in un sobborgo, in una cittadina vicina un centro urbano importante voterai dem, ma se sei in una cittadina, un sobborgo vicino un centro “minore” voterai rep. Per cui se stai ai confini dell’area di Detroit, voti dem, ma se stai ai confini dell’area di Des Moines voti rep. Un effetto-calamita, insomma. Dicono, infine, gli studiosi che la vera faglia è il “grado di istruzione”, che nelle grandi concentrazioni urbane è alto e nelle composizioni rurali è basso. Io non so se questa cosa sia vera – cioè non mi viene da pensare che 75 milioni di americani che hanno votato Biden sono brillanti laureati al MIT e 70 milioni che hanno votato Trump non finiscono nemmeno l’high school, e che forse le cose sono un po’ più intrecciate.
Però, l’irruzione dell’irrazionale nella politica di certo scombussola l’orientamento solido degli interessi – quelle cose prevedibili e rassicuranti per cui gli operai votano per i sindacati e la parte politica che li protegge, gli imprenditori votano per l’imprenditore che è sceso in politica o per il politico che possono manovrare, la finanza cerca il cavallo elettorale che potrebbe garantire meno lacci e lacciuoli, i meridionali (di ogni parte del mondo) votano per chi promette loro aiuti e investimenti contro quelli del nord (di ogni parte del mondo) che si accaparrano tutte le risorse.
Beh, non va così. Va invece che latinos e afro votano Trump. Che i calabresi votano Salvini. Le elezioni sono cioè una sorta di “suicidio” degli interessi materiali. In nome dell’irrazionale. Non so, una specie di sarabanda degli indiani metropolitani del Settantasette, ricordate? «Vogliamo più sacrifici». Ecco, è come se i poveri chiedessero ai ricchi di fare i loro interessi, come se gli operai chiedessero ai padroni da li beli braghi bianchi di battersi al posto loro. Dall’anti-politica alla dis-politica.
Si può battere l’irrazionale? Biden c’è riuscito. O meglio: Biden ha battuto Trump. E Falcomatà a Reggio Calabria ha appena battuto il candidato della Lega.
Perciò, si può – cambiare le cose è un filo più complicato.

Nicotera, 17 novembre 2020.
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 19 novembre 2020.

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