Che succederà alle elezioni americane?

In piena pandemia del 1918 – la “spagnola” – gli americani votarono per le elezioni di mid-term, che cadono ogni quattro anni e rinnovano la Camera e parte del Senato ma si tengono due anni dopo l’elezione del presidente, e quindi a “metà mandato”. Presidente era Woodrow Wilson, e quello era il suo secondo mandato. La “spagnola” stava già falcidiando le sue vittime americane, che alla fine furono circa 650mila, una cifra spaventosa. Ma gli elettori andarono egualmente a votare. D’altronde, gli americani votarono anche durante la guerra civile.
Cambiare la data delle elezioni presidenziali negli Stati uniti non è una cosa facile: nel 1845 il Congresso stabilì che le elezioni si sarebbero dovute tenere il martedì successivo il primo lunedì di novembre. Era una scelta dettata dai ritmi dell’agricoltura e dell’America “profonda”: novembre era il mese in cui la campagna era a riposo; la domenica era un giorno sacro di riposo; mercoledì si andava ai mercati a commerciare e scambiare derrate; lunedì si sarebbe speso per viaggiare e recarsi ai seggi elettorali – martedì era il primo giorno buono. Il Congresso dovrebbe perciò varare e approvare una nuova legge.
Non è finita qui, però. Nel 1933 fu ratificato il Ventesimo emendamento alla Costituzione (ci sono stati finora in tutto solo ventisette emendamenti) che recita così: «Il mandato del Presidente e del Vice Presidente avrà temine a mezzogiorno del ventesimo giorno di gennaio, e i mandati dei Senatori e dei Rappresentanti a mezzogiorno del terzo giorno di gennaio». Per modificare queste date ci vogliono i due terzi sia della Camera che del Senato e l’approvazione dei tre-quarti degli Stati. Una cosa abbastanza complicata.
Una soluzione ci sarebbe per lasciare tutto com’è e svolgere le elezioni in sicurezza: il voto per posta. Lo Stato di Washington, a esempio, è da anni che vota solo per posta e le primarie di marzo si sono tenute regolarmente proprio con questo sistema “in assenza”. Altri Stati che votano per posta sono il Colorado, l’Oregon, lo Utah e le Hawaii, per un numero di elettori che, nel 2016, fu pari al 7 percento del voto popolare nazionale. Un po’ pochino, va ammesso.
Non essendoci procedure certe, può succedere di tutto, come è accaduto in Ohio per le primarie. Il governatore, Mike DeWine si è presentato in tribunale per rimandare le elezioni del 17 marzo. Il giudice si è pronunciato contro il rinvio, ma il governatore ha trovato una soluzione alternativa: l’alto funzionario sanitario dello Stato ha dichiarato che i seggi elettorali erano un pericolo pubblico e li ha chiusi tutti. Invece, Louisiana e Georgia avevano deciso un rinvio: la Louisiana doveva votare il 4 aprile e aveva spostato la data al 20 giugno, mentre la Georgia doveva votare il 24 marzo e aveva spostato la data al 19 maggio. Molti Stati dovrebbero cambiare le loro regole di voto, e non è semplice. Si potrebbe finire in un mare di ricorsi, di sentenze di giudici, forse persino alla Corte Suprema. Forse neppure scandalizzerebbe: l’elezione di George W. Bush del 2000 fu decisa da una sentenza della Corte Suprema dopo il “pasticcio della Florida”. E passarono settimane. Una situazione simile, magari mentre l’epidemia non è ancora passata del tutto, o comunque con un paese che ha bisogno di riprendersi e di una guida sicura, non è sostenibile.
Per il sì e per il no, intanto Trump ha ripetutamente attaccato il sistema postale e la sua affidabilità per il voto: «Penso che molte persone imbrogliano con il voto per corrispondenza. Penso che le persone dovrebbero votare attraverso un sistema di identificazione – un ID [un passaporto, una licenza di guida]. Penso che votare con l’ID sia molto importante e il motivo per cui non vogliono votare con l’ID è perché hanno intenzione di imbrogliare». Trump si è riferito più volte, durante le conferenze stampa sull’epidemia, al voto per posta, definendolo “corrotto” e “pericoloso”. E ha anche invitato i repubblicani a combattere gli sforzi per espandere il voto per posta. Il «Washington Post» ha rivelato la riluttanza di Trump a finanziare cambiamenti nel servizio postale americano, il che potrebbe tradursi in un danno per il voto per posta. Dal canto suo, Biden ha considerato queste posizioni di Trump come un modo per rendere difficile il voto delle persone, e – ha affermato – «Questo è l’unico modo in cui pensa di poter vincere». E a una video-conferenza con i collettori di fondi è andato anche più pesante: «Mark my words – segnatevi queste parole, penso che Trump cercherà una qualche giustificazione per rinviare l’elezione». D’altra parte, Biden si dice molto preoccupato del fatto che possano esservi (nuove?) interferenze russe nel voto e ha anche accennato, senza specificare, a altri due “major actors” che potrebbero agire nello stesso senso.
In realtà, Trump può mettere a frutto in termini di visibilità lo scombussolamento della pandemia – Biden ha invece dovuto interrompere la sua campagna che svolge solo “da remoto” nella sua casa in Wilmington, Delaware, proprio lui che invece riesce benissimo nel contatto ravvicinato, nei bagni di folla. Il gradimento di Trump era balzato da un basso 40 percento a un buon 49 percento – nonostante avesse sottovalutato la gravità della cosa all’inizio. Ma a Trump la tv piace e comparire ogni giorno sulla scena era proprio l’ideale. Gli analisti pensano sia l’effetto del “rally around the flag”, cioè del fenomeno per cui comunque ci si stringe attorno a un “capo”, affidandogli le sorti del conflitto. E Trump spesso si è definito wartime president, presidente di guerra. Ma le ultime “sparate” di Trump – clamorosa quella sulla possibilità di combattere il virus ingerendo disinfettanti, su cui ora ha fatto marcia indietro parlando di una modo sarcastico di affrontare la cosa – hanno intaccato notevolmente questa popolarità, riportandolo ai livelli precedenti, tanto da consigliare a Trump di non esporsi così tanto, di non stare tutti i giorni in tv a dire come e cosa bisogna fare.
Insomma, tutto è ancora un po’ incerto, congelato. Magari tutti sperano che per l’estate il virus abbia rallentato la sua corsa e per novembre tutto sia tornato quasi alla normalità.

Nicotera, 28 aprile 2020.
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 29 aprile 2020.

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