il barbiere di rebibbia.

a rebibbia facevo il barbiere. nessuno voleva fare il barbiere – chi lo spesino, chi l’addetto ai pacchi delle famiglie. mi feci avanti io – eccomi. ebbi una rapida e sommaria formazione professionale – chiamarono il barbiere di un braccio, non ricordo quale. e quello mi insegnò in un’oretta: metti il pettine così, solleva i capelli, taglia così. beh lui non era figaro, e neanche io lo sarei stato, ma qualcosa si poteva fare. cocciuto e precisino come sono, pensai e ripensai. pratica non ne potevo fare, perché le forbici (mooolto arrotondate) arrivavano con le guardie e solo il giorno dedicato al taglio. e in cella non avevo buon materiale: paolo, capelli quattro, e guai a toccarglieli, e lucio pensava solo ai suoi baffi, e dei capelli gli fregava un czzo. mi esercitavo mentalmente. fu la volta di mettere in pratica gli insegnamenti e l’addestramento mentale. nessuno si fidava ma avevano tali cespugli in testa che qualunque cosa ne sarebbe venuta sarebbe stata meglio. all’inizio andavo pianissimo – flic flic flic. millimetri ne tagliavo, millimetri. poi cominciai a prender confidenza, zac zac. ho avuto anche le mie soddisfazioni. quando iniziò il processo 7 aprile, la testa di toni fu tra le mie mani. za za za za’. prima pagina de “la repubblica” (a cui fregava un czzo di parlare delle cose, ma voleva “colore”): «eccolo il cattivo maestro, una giacca di buona fattura, un bel paio di occhiali. colpisce soprattutto il capello ben curato». un trionfo: ero in cronaca rosa. con toni. la cella di barbiere registrò un’impennata di clienti. tutto questo per raccontarvi non le mie memorie di un barbiere (i più colti, ricorderanno germanetto) – ma per spendere parole, ne ho titoli, per la nobile categoria professionale cui mi onoro di appartenere: i barbieri. aprono tutti ma i barbieri e i parrucchieri no. un’indegna discriminazione, dal sapore squisitamente politico: i barbieri, si sa, sono l’avanguardia rivoluzionaria del popolo. eccalla’.

nicotera, 20 aprile 2020.

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