La Prima sezione della Corte di Cassazione ha accolto l’istanza dei difensori di Olindo Romano e Rosa Bazzi – condannati definitivamente all’ergastolo nel 2011 per quella che è conosciuta come “la strage di Erba”, 11 dicembre del 2006. I difensori chiedevano l’annullamento dell’ordinanza con cui la Corte d’appello di Brescia aveva dichiarato inammissibile il ricorso della difesa che punta a far riaprire il caso presentando reperti mai esaminati nell’inchiesta. Ora dovrebbe toccare alla Corte di Appello bresciana, in quanto giudice di revisione, disporre l’incidente probatorio.
Un viaggio nell’orrore. Così lo definì Massimo Astori, il pubblico ministero del processo di primo grado. Uno dei crimini più atroci della storia d’Italia, aggiunse. E tu non sapevi se a sgomentarti di più era l’efferatezza del fatto o quell’assurda combinazione dei nomi degli accusati, Olindo e Rosa, che ti risuonava come una cosa semplice, pulita, affettuosa. Una cosa di marzapane. E le loro mossette e i loro sguardi perduti l’uno nell’altra, due piccioncini nella gabbia del processo, e tu ti chiedevi come era stato possibile, cosa aveva potuto trasformare quei due – netturbino l’uno, disoccupata l’altra, che ogni tanto faceva pulizie domestiche in giro – in due feroci assassini. Erano stati davvero loro? Li aveva posseduti un demone?
Raffaella Castagna, trent’anni, casalinga, disoccupata, volontaria in una comunità per disabili, era stata uccisa con dodici coltellate e una serie di colpi di spranga, poi sgozzata. Paola Galli, sessant’anni, casalinga, madre di Raffaella, uccisa a colpi di coltello e spranga, morta per frattura cranica. Youssef Marzouk, due anni, figlio di Raffaella, un solo colpo alla gola, sul divano, morto dissanguato. Valeria Cherubini, cinquantacinquenne, vicina di casa, accorsa per il fumo che saliva dalle scale, colpita da trentaquattro coltellate e otto colpi di spranga, morta soffocata dal monossido di carbonio prodotto dall’incendio appiccato nell’appartamento del delitto. Si era salvato Mario Frigerio, sessantacinquenne, marito della Cherubini, colpito alla testa e alla gola, perché una malformazione alla carotide gli aveva impedito di dissanguarsi. Non ce la fece invece il loro cane, soffocato dal fumo.
Doveva essere stata davvero una scena agghiacciante per i soccorritori – quei corpi massacrati, bruciati. Una piccola corte che si era trasformata nella casa degli orrori. All’inizio quasi ti pacificava che tutte le piste indicassero nel marito di Raffaella il colpevole: Azouz Marzouk. Un tunisino che spacciava droga e entrava e usciva dal carcere. Ora era fuori per un indulto, ma se ne erano perse le tracce. Sennonché risulta che Marzouk stava in Tunisi dai genitori, rientra subito in Italia e si presenta ai carabinieri che confermano tutto: non può essere stato lui. Forse un regolamento di conti di una qualche banda rivale nello spaccio di droga? Ma Marzouk è proprio un pesce piccolo, troppo piccolo per quella strage. Le indagini cominciano a guardarsi intorno, proprio a partire da quella piccola corte: i vicini sono tutti terrorizzati, non fanno che parlare dell’accaduto, chiedono protezione. Tutti, tranne Olindo e Rosa, che si presentano con uno scontrino del McDonald’s per la sera della strage. Nessuno li accusa ancora di nulla, ma loro hanno un alibi.
Poi, le indagini trovano dei riscontri – una traccia di sangue nell’auto, l’unica, mai nulla sui loro vestiti, e per molti periti era praticamente impossibile che quella macelleria non lasciasse tracce – poi si scopre che era tutto un litigarsi, una sequela di querele, una rabbia che si era accumulata in modo esponenziale. Olindo e Rosa confessano: ognuno si dichiara l’unico responsabile, anche se i riscontri sul luogo del delitto effettuati dal Ris parlano di due persone, una mancina, proprio come Rosa. Chiedono di restare insieme, a loro non serve altro, a loro basta quello: restare insieme per sempre, per l’ergastolo. Poi ritrattano, accusano i carabinieri di avere estorto le loro confessioni con la minaccia di separarli. Tutto ruota sempre intorno a quello. Gli avvocati difensori chiedono lo spostamento del processo, parlano di una gogna mediatica, di una condanna già diventata sentenza nell’opinione pubblica, di una difficoltà del giudizio. Ma il processo non si ferma. Frigerio, l’unico sopravvissuto, accusa Olindo, non è sicuro di Rosa, poi ci ripensa. Intanto, è morto, per un male incurabile, tre anni fa. Proprio quando finì la condanna alla separazione inflitta a Olindo e Rosa, tre anni, il massimo che poteva essere comminato – e forse la vera pena per quei due.
Un capello castano chiaro lungo dieci centimetri fra la manica destra e il cappuccio, un capello nero di un centimetro e mezzo sulla parte anteriore, due capelli sulla parte posteriore, le unghie delle vittime e le porzioni dei polpastrelli del bambino, una macchia di sangue sul terrazzino di Raffaella e mozziconi di sigaretta: sono gli elementi probatori presentati dalla difesa di Olindo e Rosa per chiedere la revisione del processo, alcuni trovati sulla scena del crimine e mai esaminati e altri che furono esaminati ma con le vecchie tecniche dell`epoca. Non furono trovate tracce di Olindo e Rosa nell’appartamento della strage, ma tracce biologiche di soggetti sconosciuti alle indagini. Cioè tracce che non sono riconducibili né alle vittime, né a Rosa e Olindo, né ai soccorritori. Di chi sono quelle tracce?
Qualche perplessità era stata avanzata dalla stessa Corte di Cassazione quando confermò la condanna all`ergastolo per Olindo Romano e Rosa Bazzi. La Suprema Corte infatti nella premessa scrisse che «non poche sono le divergenze e aporìe cioè i dubbi che emergono dagli elementi processuali».
Soddisfatto della decisione della Cassazione si dichiara Azouz Marzouk: «Finalmente è arrivata questa decisione. Sono anni che sto combattendo per poter far avere giustizia a tutte le persone che sono state assassinate», ha detto all’Adnkronos. Marzouk, dopo un nuovo arresto, si è rifatto una vita, si è risposato, ha tre figlie. «Io credo che non è stata fatta bene l’indagine – dichiara –, che hanno trovato Rosa e Olindo, ed era comodo indagare solo in quella direzione. Non dico che sono innocenti o colpevoli, dico solo che vanno fatti tutti gli accertamenti e gli esami necessari».
Marzouk, nel corso degli anni, ha più volte espresso dubbi riguardo al fatto che proprio Olindo e Rosa fossero gli autori della strage. Non gli è parso mai verosimile che per delle liti di condominio si potessero uccidere a coltellate e spranghe quattro persone, un bambino di due anni.
Quelle mossette, quegli sguardi perduti l’uno nell’altra.
Nicotera, 6 aprile 2017
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 7 aprile 2017