Nulli Expugnabilis Hosti. Così c’è scritto nello stemma di Gibilterra, la rocca «inespugnabile da qualsiasi nemico», la colonna d’Ercole dal lato di qua – l’Europa, mentre l’altra stava dal lato di là, l’Africa – che chiudeva il Mediterraneo o lo apriva verso l’Oceano. Doveva arrivare la Brexit per renderla, forse, espugnabile.
Perché la questione è che da quando Gibilterra divenne territorio inglese, nella spartizione delle spoglie della Spagna dopo la guerra intestina e continentale di dinastie, con il trattato di Utrecht del 1713, gli spagnoli in verità non l’hanno mai mandata giù che su quel pezzo di Andalusia sventolasse la Union Jack. Ma gli inglesi, grandi dominatori dei mari, il Mediterraneo l’hanno sempre inteso cosa loro – avevano Malta, avevano Cipro, avevano la Palestina, avevano un piede in Egitto e uno in Grecia, e a un certo punto, Seconda guerra mondiale, pensarono pure di prendersi la Sicilia. Mo’, di fatto, gli è rimasta solo Gibilterra.
Che al referendum sul Remain o Leave ha votato compatta per restare in Europa: percentuale bulgara, 95 percento dei circa ventinovemila abitanti. Che se la passano abbastanza bene, visto lo statuto speciale fiscale e le agevolazioni sfruttate dalle aziende, in particolare grandi compagnie di scommesse inglesi, e anche dalle petroliere, e gli afflussi turistici. Sarà per questo che, al contrario di Scozia e Irlanda del Nord, a loro non passa neanche per l’anticamera del cervello di dichiarare la propria indipendenza. D’altronde l’hanno già ribadito due volte che loro sono fieramente inglesi: in un referendum del 1967 e in un altro del 2002. E però, adesso con la Brexit Gibilterra è diventata il confine più meridionale (quello più settentrionale è tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord) tra un territorio inglese e uno europeo. Si chiama Linea de la Conceptión il paese andaluso al di là della frontiera – o al di qua, dipende come lo si guarda – da dove ogni giorno migliaia di spagnoli vanno a Gibilterra per lavorare, commessi, camerieri, professionisti, Linea di concepimento, guarda un po’ il destino della toponomastica. Che poi, a guardare bene, dall’altra parte del Mediterraneo, in Africa, ci starebbe Ceuta, che è territorio spagnolo in territorio marocchino, un po’ come Gibilterra, che è territorio inglese in territorio spagnolo, e insomma se gli Spagnoli rivendicano i loro desiderata su Gibilterra anche i Marocchini avrebbero i loro diritti su Ceuta. E quel chilometro quadrato lì potrebbe diventare una polveriera. Che già lo è, perché è uno dei corridoi principali in cui un’umanità disperata prova a venire da lì a qui. Come a Calais, dove provano a passare da qui a lì. E a chiunque verrebbe da pensare che tutte queste frontiere siano linee di concepimento di un mondo di secoli fa che non ha proprio alcuna ragione d’essere ancora.
Succede invece che all’indomani del voto di giugno 2016 sulla Brexit il ministro degli Esteri spagnolo Jose Manuel Garcia-Margallo dichiara che, sulla scorta del risultato, avrebbe avanzato alla Gran Bretagna richiesta di co-sovranità su Gibilterra (proprio su questo i gibilterrini si erano già espressi nella consultazione del 2002). Figurarsi. Gli risposero a breve giro: «Gibilterra non sarà mai spagnola». Lo stesso Garcia-Margallo si era reso responsabile di un siparietto tutt’altro che divertente con Boris Johnson, allora sindaco di Londra e adesso ministro degli Esteri del governo di Theresa May, quando in una visita in Argentina si era lasciato andare a dichiarazioni sulle Falkland, che per Buenos Aires e la geografia si chiamano Malvinas, e sul loro diritto di tornare in un’area linguistica spagnola. Allora, Johnson, dopo una visita a Gibilterra, aveva risposto che sulla Rocca la Gran Bretagna si sarebbe comportata con la stessa determinazione con cui si era già comportata nelle Falkland. È lo stesso concetto che ha ribadito proprio subito dopo la “nuova mossa” della Spagna.
È successo che il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, ha chiesto e ottenuto che nella bozza di accordo sulla Brexit che discuteranno i 27 Stati europei a fine mese, il futuro status di Gibilterra rimanga fuori dai negoziati. D’altronde nella lettera della May consegnata a Donald Tusk per programmare le forme di un’uscita ordinata della Gran Bretagna dall’Unione europea non si fa menzione alcuna di Gibilterra e del “confine” con l’Europa (mentre se ne fa dell’Irlanda del Nord). Un confine finora molto poroso – si parla di un gran traffico e contrabbando di sigarette: secondo i dati, vista l’importazione di tabacco, ogni abitante di Gibilterra dovrebbe fumare undici pacchetti al giorno – e che invece potrebbe diventare una seccatura, soprattutto per i frontalieri. La clausola recita: «Nessun accordo tra la Ue e il Regno unito si applica a Gibilterra senza un accordo fra Spagna e Regno unito». L’Unione europea dunque diventa il difensore degli interessi della Spagna su Gibilterra. È un’ovvietà ma anche un dispetto, certo, una ripicca, un prosieguo di quel “ve lo faremo vedere noi”, dopo la porta sbattuta in faccia dagli inglesi. Non staranno, tutti, giocando col fuoco?
Gli unici che sembrano prendersela con filosofia sono i macachi, che popolano numerosi la rocca, e che sono le uniche scimmie europee. Ma anche questo, a pensarci bene, è un dato discutibile.
Nicotera, 3 aprile 2017
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 4 aprile 2017