Qui di seguito troverete frasi sopra le righe, poco corrette politicamente. Lo dico senza alcun compiacimento, ma come un’avvertenza, come un avviso su una bottiglietta di veleno o un armadietto di farmaci particolari. Potrete perciò evitare di ficcarci il naso.
Il complotto frigo-pluto-giudaico-massonico continua a piagare Roma. Un’oca si è piazzata in Campidoglio e starnazza senza che i romani avvertano il pericolo. Ma Raggi e i 5Stelle non mollano, li fermeranno sul bagnasciuga di Ostia, i loro nemici, i poteri forti.
La teoria del complotto è sempre consolatoria. Se la produzione agricola calava, per Stalin era colpa dei maledetti kulaki, i contadini che non portavano all’ammasso il grano – bisognava distruggerli e mandare in Siberia quel che ne restava. Se il grande balzo in avanti non funzionava, e la campagne cinesi erano prostrate dalla carestia, era colpa del quartier generale e Mao invitava le guardie rosse a bombardarlo. La teoria del complotto è la vera arma di distrazione di massa, addita un nemico invece di riconsiderare le proprie pratiche, e offre capri espiatori alla rabbia sociale: è vero, le cose vanno male, ma è colpa di. È lui, loro, che tramano per far fallire l’impresa. Spesso, sono i tuoi compagni di fede a cadere per primi. Per Stalin, Trotsky – l’uomo che aveva guidato l’esercito bolscevico alla conquista del potere – si era alleato con i nazisti per restaurare il capitalismo in Russia. Per Mao, Lin Piao, il generale della lunga marcia, stava complottando con gli odiati russi per rovesciare la Repubblica cinese. Tanto più inverosimile l’accusa tanto più ci si può cascare. Solo l’inverosimile può fermare le magnifiche sorti progressive.
Le cose qui da noi hanno più il tono del grottesco – là comunque, tra il sangue, è aleggiata la Storia. Per offrire una sponda “teorica” alle difficoltà del Movimento 5Stelle a governare, nasce così lo slogan “meglio incapaci che ladri” – parola di Marco Travaglio (che si è un po’ ritagliato il ruolo di Gianfranco Miglio nei confronti della Lega di Bossi, a volte di supporto concettuale, a volte di tirata d’orecchi, finché l’uomo in canotta non lo mandò vaffanculo), anche nella variante “meglio pasticcioni in buona fede che ladri in malafede”. Perché – rivendicando con orgoglio che nonostante non accada un’acca a Roma i sondaggi mostrano ovunque una crescita di affezione verso il Movimento – si spiega, da un incapace ci si può aspettare che migliori, da un ladro no.
Vorrei contestare qui questa “teoria” travagliesca, e anche un po’ canagliesca. Primo, anche un ladro può migliorare, se può farlo un incapace. Se c’è riscatto umano, o anche solo miglioramento, c’è per tutti. Quel ladro potrà magari non rubare più, o rubare di meno, ma è possibile che accada un ravvedimento e una resipiscenza tanto quanto per l’incapace. Non c’è una molecola di codice genetico che ti fa incapace per sempre o ladro per sempre – almeno sinora, nonostante la mappatura del genoma, non è stata scoperta. Secondo, è vero: non è affatto detto che un incapace possa migliorare, ma proprio come non è affatto detto che un ladro possa migliorare; forse entrambi sono dannati a restare uguali a se stessi, per tutta la vita continuerà a non capire un cazzo, l’uno, e per tutta la vita continuerà a avere le mani troppo lunghe, l’altro. Terzo, qui non si va parlando di “caratteri umani” in assoluto – dove è facile il gioco di indicare nel ladro il “vizio” e di riflesso la “virtù” nell’incapace, la malafede e la buonafede – ma di amministratori di città e non è proprio conclamato che un amministratore incapace e pasticcione sia migliore di un amministratore ladro. Tutt’al più l’effetto, per i cittadini, potrebbe risultare identico – cioè i servizi non migliorano, la città precipita nel caos, regna l’ingovernabilità. Un brutto pareggio, a reti ben che violate. Quarto, fossi un amministratore grillino di città un po’ mi risentirei, con Travaglio, suo mentore, d’essere bollato di incapacitudine.
Ma io vorrei dire anche di più. E lo dico con un paradossale slogan speculare al travagliesco, per essere chiari: Pillitteri era meglio di Raggi. La Milano da bere, allora guidata dal cognato di Craxi, vituperata tanto da essere diventata proverbiale, era meglio, ma molto meglio della Roma pentastellata. E intendo meglio ma molto meglio non di fronte al tribunale del Bene e del Male, ma di fronte ai dati dei bilanci comunali, dei flussi finanziari, della mobilità sociale, dei servizi cittadini, della cura, delle “grandi opere”, della capacità di attrarre e produrre investimenti, denari, cultura. Se si vuole uscire dalle metafore immaginifiche e confrontare questi dati – che questo conta per una città – non c’è proprio partita, direi.
Certo, Pillitteri ebbe tempo per, diciamo così, dare corpo alla sua tendenza arraffona, mentre la Raggi è una pasticciona alle prime armi, e quindi dovremmo aspettare che questo sua imbranataggine innata si sviluppi, si dipani, si distenda nel tempo. Potrebbe nascerne una oculata, preparata, occhiuta amministratrice. Davero? Qualcuno ci crede davero?
La realtà è che la contrapposizione semantica, per così dire, non è tra un amministratore incapace e uno ladro, ma tra uno incapace e uno capace. E se non si è capaci, non c’è giustificazione nell’essere onesti – che è una virtù civica rispetto invece il furto, la concussione, la corruzione e via discorrendo. E così, mettere di fronte due epoche, due tempi così diversi, come la Milano prima di Tangentopoli e l’adesso di Roma (o anche la stessa Roma di ieri e avant’ieri) è una cosa senza senso. Allora, il flusso di denaro pubblico (e la crescita del debito) era tale che anche rubando ce n’era e ne avanzava per il fabbisogno sociale. Oggi non è così da tempo, e tirar d’un bus la cinghia è già una condizione generale di partenza e navigazione (e spesso non basta, perché si è tecnicamente già oltre l’orlo del default) e bisogna far di necessità virtù e allocare al meglio le poche risorse e grattarne altre da sprechi che sono rimasti ancora, questi sì, di default.
Per fare questo occorre capacità amministrativa, competenza, conoscenza della macchina, ascolto. Tutte “virtù amministrative” di cui sinora la Raggi non è stata proprio un luminoso esempio. E occorre soprattutto un progetto politico, un programma, un’idea di città, ovvero alleanze di blocchi sociali che ne determinano la forma e la vita. L’idea che i “tecnici” siano la soluzione, che per fare l’assessore devi essere stato perlomeno magistrato della Corte dei Conti è il compimento della rinuncia alla politica – complementare all’idea bizzarra che una piattaforma “tecnica” online sia la risposta alla crisi della democrazia rappresentativa.
È una questione – questa della difficoltà di amministrare oggi le città, delle crisi dovute alla smisurata crescita del debito, eredità certo del passato, alla riduzione sostanziosa o alla fine dei flussi finanziari dallo Stato centrale – che non riguarda solo Roma, ma città come Messina, Reggio Calabria, Napoli, non a caso attraversate da un vento di cambiamento che però si è presto tramutato in bonaccia. Puoi essere buddista, e spiritualista quanto ti pare, Accorinti, ma poi le buche nella città, per dire, le devi coprire. Puoi suonare tutti i campanellini che vuoi, ma se hai promesso di decentrare il potere di decisione, di fare dei “beni comuni” il motore di un possibile sviluppo, per dire, poi lo devi fare, e se non lo puoi fare lo devi spiegare ai cittadini, non è che basta accendere i bastoncini di incenso, OM.
Giorgio La Pira – che era un uomo “ispirato” dalla fede, un dossettiano – fu anche sindaco di Firenze, e non per poco. Mentre intrecciava le sue relazioni internazionali per la pace, costruiva ponti di dialogo tra la sinistra e il cattolicesimo, si mostrava integralista su temi etici, fu anche uno straordinario amministratore della città, case popolari, opere che mutarono il volto della città, assistenza, con una sensibilità sociale riconosciuta anche dai suoi “rossissimi” avversari.
Ecco, La Pira era onesto e era pure capace. E aveva la sua “missione”, la sua visione. Per dirne uno. E forse è un sindaco così che serve oggi alle città.
Nicotera, 4 novembre 2016