Bernie, California dreamin’.

sanders_californiaIo, fossi stato Stephen King e fossi bravo come lui, non avrei scritto 22.11.63 – va in onda in questi giorni su Sky Atlantic una miniserie con James Franco –, in cui si immagina che un uomo possa tornare indietro nel tempo e cerchi di fermare Lee Oswald dall’uccidere John Kennedy in quel maledetto giorno a Dallas, Texas, perché così tutte le cose avrebbero avuto un’altra piega e un altro mondo sarebbe stato possibile. Io avrei scritto 05.06.68, perché fu in quell’altrettanto maledetto 5 giugno del 1968 che Sirhan Sirhan sparò otto, tredici colpi – non s’è mai saputo – nella dispensa della cucina dell’Ambassador Hotel di Los Angeles, California, dopo un incontro con i sostenitori e la vittoria nelle primarie in Dakota e North Caroline: contro un altro Kennedy, certo, era Bob. Se col primo Kennedy crivellato alla testa, l’America, il mondo perse l’innocenza, col secondo Kennedy sforacchiato anche lui alla testa, l’America, il mondo capì che la battaglia sarebbe stata sporca e senza esclusione di colpi. E che avremmo perso comunque. Ce lo spiegò, quarant’anni dopo James Ellroy, con la sua terribile trilogia di Los Angeles.
John era bello, col suo ciuffo, era affascinante, conosceva l’Europa perché l’aveva sposata e perché dirà davanti al Muro «Ich bin ein Berliner», portava un vento nuovo. Bob, che era stato il suo ministro della Giustizia, e si era battuto contro il racket e la mafia, era legnoso, con troppi denti in bocca, rigido e lacerato dalla sua educazione cattolica e dal suo furioso sangue irlandese; ma era stato Bob a dire: «Ci sono coloro che guardano le cose come sono, e si chiedono perché… Io sogno cose che non ci sono mai state, e mi chiedo perché no». E era stato Bob a dire: «Il PIL non tiene conto della salute dei nostri ragazzi, la qualità della loro educazione e l’allegria dei loro giochi. Non include la bellezza delle nostre poesie e la solidità dei nostri matrimoni, l’acume dei nostri dibattiti politici o l’integrità dei nostri funzionari pubblici; non misura né il nostro ingegno né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione per la nostra nazione. Misura tutto, in poche parole, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta. Ci dice tutto sull’America, eccetto il motivo per cui siamo orgogliosi di essere americani». E era stato Bob a battersi contro l’escalation nella guerra del Vietnam, con l’appoggio dei movimenti, dei pacifisti, dei neri e del dottore Martin Luther King. Oh, Bob. Noi siamo orgogliosi che tu sia stato così americano.
Quando Manson e la sua Famiglia – che vivevano di espedienti e di ricatti, di furtarelli e sesso libero, di musica pop e pasticche e marijuana – entrarono quella notte di agosto del 1969 nella casa di Roman Polanski a Cielo Drive, il quartiere super-ricco di Los Angeles, e massacrarono tutti i presenti e sventrarono Sharon Tate che era incinta, l’orrore mise casa tra noi. Woodstock – Three Days of Music and Peace – fu pochi giorni dopo, ma era più il funerale carnevalesco, alla St. Louis, della cultura hippie che una festa. La festa era finita da un pezzo.
California dreaming cantavano i Mamas and Papas: « All the leaves are brown / and the sky is gray / I’ve been for a walk on a winter’s day / I’d be safe and warm if I was in L.A. / California dreamin’ on such a winter’s day». Sognando la California, sarò salvo e al caldo a Los Angeles. Ma era il 1965 e nel 1968 il gruppo si era sciolto. Surfin’, Surfin’ Safari, Surfer Girl, Surfin’ USA, All Summer Long, Summer Days (and Summer Nights!!) e California Girls – The West coast has the sunshine / And the girls all get so tanned, / Solo sulla West Coast brilla il sole e le ragazze sono così abbronzate, nelle canzoni dei Beach Boys sembrava che al mondo non si dovesse fare altro che scivolare sulle onde con un surf, stando sempre nudi sulle spiagge californiane, circondati da meravigliose ragazze bionde, esili, abbronzate, dai denti bianchissimi e disponibilissime e bastasse solo essere lì per toccare la felicità. Erano i primi anni Sessanta, poi tanti anni dopo quel fottuto di testa di John Milius ti raccontò come stavano davvero le cose, che arriva per tutti un mercoledì da leoni in cui devi cavalcare la grande onda e forse potrai farcela, se hai le palle, ma la giovinezza è finita, se n’è andata tutta nel Vietnam, e qualcuno dei tuoi amici c’è rimasto stecchito lì per sempre, e qualcuno a casa ha messo incinta la sua ragazza, e a te non rimane che regalare a un pischello la tua tavola da surf e accettare che prima o poi si diventa adulti.
Oh, California, sei stata la frontiera della nostra giovinezza, il nostro West, chi non avrebbe imboccato la 66 Route con uno scassone d’auto e in autostop, chi non si sarebbe messo on the road con Sal Paradise e Neal Cassady verso San Francisco: «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati / Dove andiamo? / Non lo so, ma dobbiamo andare». Ecco, sì, dobbiamo andare, verso la West Coast del nostro cuore. E della nostra intelligenza. Lì, avremmo trovato Lawrence Ferlinghetti e la sua City Lights, e Kerouac e l’Urlo di Ginsberg, e Gregory Corso, e i buchi nel braccio di Burroughs, si stampa tutto lì, viene tutto da lì, da quel buco di culo d’un posto fottutamente meraviglioso. Dobbiamo andare, che fosse a Parigi, a Roma, a Berlino, a Praga, tutta la giovinezza del mondo decise che bisognava andare da qualche parte. «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia», era già tutto scritto, che te lo dico a fare, nel Libro tibetano dei morti che ci si passava di mano in mano insieme a candele di incenso e collane di fiori, Om Om, ma noi non lo sappiamo ancora.
Quando scoppia l’università di Berkeley, University of California, tutto è ancora possibile, la nostra gioventù non si è bruciata tutta. Nel 1962 Tom Hayden scrive il Manifesto di Port Huron. C’è già tutto lì: il movimento per i diritti civili e la Nuova Frontiera, la critica del sistema e il rifiuto della Guerra fredda, della corsa agli armamenti, temendo lo scoppio di una guerra nucleare; c’è la lotta contro la discriminazione razziale, l’ineguaglianza economica, i partiti politici tradizionali; c’è la proposta di allargare decisamente il welfare e eliminare la povertà. Ma ci voleva Berkeley, 1966, perché fossero cacciati via gli ufficiali di Marina venuti a reclutare per il Vietnam. L’esercito del Faraone ci sparerà addosso. Vedremo il nostro sangue. E a quel punto ognuno andrà per la sua strada, verso il suo crocevia: Zabriskie Point, nel deserto californiano. Il resto è storia, uguale dappertutto. Tom sposerà Jane Fonda, Vietnam Jane, e sarà eletto al parlamento della California. È così che vanno le cose.
Poi, proprio da lì, dal cuore della Settima potenza del mondo che è la California, dal cuore del Sogno della Trasformazione, verrà la peggiore delle controriforme – meno tasse per i ricchi, smantellamento del welfare, facilità di licenziamento – interpretata da un attore di secondo piano, Reagan Ronald, che aveva un curriculum vergognoso: era stato lui a segnarsi i nomi di attori e registi e sceneggiatori democratici e li aveva indicati uno per uno alla Commissione del senatore McCarthy, che tacciava tutti di essere comunisti e quindi unamerican. Il vento è cambiato e non soffia più forte. The winter is coming. Il grande freddo ha glaciato il mondo.
Eppure, qualcosa resisterà sempre, le battaglie per i diritti civili, con i referendum, l’arrivo massiccio di immigrati sudamericani che lentamente prenderanno il posto delle minoranze nere e lentamente si faranno rispettare. La California rischierà il collasso e il fallimento perché il debito pubblico è impazzito, ma non si può metterla in ordine a danno delle persone. Lo capisce persino Terminator-Schwarzenegger, repubblicano convinto, ma non il peggiore dei governatori, anzi. Lo capisce pure Clint Eastwood, repubblicano convinto, nato a San Francisco, proprio per le strade dell’ispettore Callaghan, e che fa il sindaco a Carmel nella penisola di Monterey, e non è stato il peggiore dei sindaci, anzi.
Forse è per questo che zio Bernie non molla, e vuole giocarsela tutta in California, il 7 giugno. In nome di una storia straordinaria, che è anche un pezzo della sua biografia, dove c’è tutto e il contrario di tutto. Vuole il suo mercoledì da leoni, Sanders, e se è in realtà un martedì, questo è un dettaglio. Non siamo morti, zio Bernie, anche se ci hanno più volte sparato alla testa. E poi, potrebbe sempre venire qualcuno dal futuro a cambiare la storia.
California dreamin’, la la la, on such a winter’s day, da ra da ra.

Nicotera, 26 maggio 2016
pubblicato su “il dubbio” quotidiano, del 28 maggio 2016

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