Il Center for the National Interest è un think thank repubblicano fondato nel 1994 da Richard Nixon. Si dice pronto a sfidare il buon senso convenzionale e la political correctness in politica estera. Il suo motto sono le parole che disse Nixon nel fondarlo: «I’m not a big fan of think tanks, but this is a different one – Non sono un gran sostenitore dei think thank, ma questo è diverso». È dal Center che è arrivato l’invito a mister Trump a parlare delle sue visioni di politica estera. Il 27 aprile, a Washington, Trump ha fatto il suo speech davanti a una sala repubblicana di prim’ordine. E già questo è interessante per due motivi. Il primo, perché l’ostilità che ha incontrato nei piani alti del partito dalla sua candidatura va evidentemente sfumandosi dopo la sua inarrestabile cavalcata verso la nomination – peraltro, è di questi giorni l’annuncio di Paul Ryan, già competitor per la nomination e speaker repubblicano della Camera di appoggiarlo – come dire: diamogli l’opportunità, vuoi vedere che questo davvero ce la fa? Il secondo, perché la politica estera significa il ruolo degli Stati uniti nel mondo e è esattamente il punto su cui – insieme alla rivendicazione della storia dei diritti civili – si è caratterizzata la presidenza Obama, insistendo sulla multipolarità delle potenze, guardando molto al Pacifico, riducendo tantissimo le truppe americane impegnate in Afghanistan e Iraq e utilizzando invece le tecnologie, rifiutandosi di mettere di nuovo gli scarponi sul terreno in qualche scenario di guerra, aprendo alle primavere arabe, insistendo con Israele per un ruolo differente nella regione, chiudendo una trattativa con l’Iran sul nucleare, finendo l’embargo con Cuba e andando lì per uno storico incontro, come storica può essere definita la visita a Hiroshima e il suo discorso contro le guerre. C’è di che poter dire che la presidenza Obama lascerà un segno importante. Trump, nel suo discorso, rovescia tutto questo, additandolo come un peccato mortale, come l’origine dell’indebolimento dell’America, e addossandolo anche a Hillary Clinton che di Obama è stata Segretario di Stato – esattamente capovolgendo le cose; Obama ha preso atto di un mondo diverso e ha provato a collocare diversamente il ruolo degli Stati uniti, non più il “gendarme del mondo”. Trump, invece, insiste molto sul fatto che l’America debba riconquistare la sua potenza, e la sua potenza militare prima di tutto.
Bill Emmott sul «Guardian» ha definito il probabile prossimo scontro a novembre tra Clinton e Trump come la prima volta in cui due candidature di Democratici e Repubblicani divergono in modo così sostanziale, as different as chalk and cheese, diversi come gesso e formaggio. Non c’era una tale distanza tra Reagan e Carter, o Clinton e Bush, o Bush e Gore, o Obama e McCain. «Project Syndicate» scrive che con la candidatura Trump «le maniere della reality Tv che hanno cannibalizzato la cultura popolare americana per due decenni ha raggiunto il suo punto più alto». E forse, questo è un nodo che non tocca solo l’America.
C’è chi ha parlato del nostro tempo come di una “democrazia recitativa”. Uno studio sulla reattività degli elettori alle apparizioni televisive dei candidati dice che prendono poco in considerazione le posizioni che vengono espresse ma il come vengano dette. Trump – un linguaggio piano, un vocabolario ridotto al minino, l’uso di espressioni colorite, una assertività continua – sembra un mago della recitazione. D’altronde, benché aleggi su di lui l’ombra di speculazioni e di traccheggi immobiliari, è sempre l’autore del bestseller del 1987, The Art of the Deal. Dalla sua, ha il vantaggio che Hillary Clinton sembra rappresentare una garanzia di continuità di potere dell’establishment, cioè quella che si presenta come una affidabilità di esperienza al servizio del paese si rovescia nel contrario – perché Washington, come ogni altra capitale politica del mondo, viene oggi vissuta dagli elettori come “la città del male”. Trump può rappresentare il leader di un populismo transnazionale – d’altronde, questo è il cuore del suo discorso, America First, l’America prima di tutto – che può, e in parte già sta, modificare gli assetti geopolitici del mondo.
In generale, si pensa che la radicalità di posizioni espresse durante la campagna presidenziale venga poi temperata nel corso del mandato. Nel caso di Trump però questo può anche non accadere, perché la sua è stata davvero una candidatura anomala. Trump potrebbe davvero perseguire quello che sta predicando. E non solo rispetto i muri sui confini per fermare gli immigrati che rubano i lavori americani, o l’idea di abbattere il debito pubblico americano ricontrattandolo con i suoi creditori, o il sospetto che ogni musulmano nasconda un possibile terrorista, o la volontà di considerare tutti i trattati e gli accordi internazionali come carta straccia e da riscrivere da capo. Soprattutto, inseguendo questo concetto che la “forza militare” sia la politica migliore per riconquistare all’America il ruolo guida nel mondo. Una nuova corsa agli armamenti spingerebbe di nuovo il mondo verso una spirale militare da incubo. Questa determinazione sulla “forza” – e gli investimenti relativi – può d’altra parte suonare come musica per le orecchie di quello che Eisenhower definì il complesso militare-industriale americano. Come dire, la possibilità di ritrovarci Trump presidente comincia a farsi reale. Speriamo il meglio, ma prepariamoci al peggio. Qui di seguito, l’intervento di Trump al Center for the National Interest. Ne diamo un ampio stralcio e troverete sul sito del giornale l’intero intervento. Nessuno in Italia lo ha tradotto e preso in considerazione. Forse, è il caso che cominciamo a spalancare gli occhi. Forse dobbiamo prepararci a un’America meno amichevole.
Il discorso di Donald Trump al Center for the National Interest:
«Grazie per l’occasione che mi date di questo incontro, e grazie al Center for the National Interest che mi ha onorato con il suo invito.
Vorrei parlarvi oggi riguardo lo sviluppo di una nuova direzione di politica estera per il nostro Paese – una che sostituisca la casualità con lo scopo, l’ideologia con la strategia, e il caos con la pace.
È tempo di grattare via la ruggine dalla politica estera dell’America. È tempo di accogliere nuove voci e nuove visioni. La direzione che oggi intendo delineare ci riporterà a principi durevoli. La mia politica estera metterà sempre gli interessi del popolo americana, e la sicurezza dell’America, sopra ogni cosa. Sarà questo il fondamento di ogni decisione che io prenderò. America First, Prima l’America sarà il principale e più importante tema della mia Amministrazione.
Per delineare il nostro percorso da ora in avanti, dobbiamo prima guardare indietro. Abbiamo tanto di cui andare orgogliosi. Negli anni Quaranta noi abbiamo salvato il mondo. La Grande Generazione ha battuto i Nazi e l’Impero giapponese. E poi, abbiamo salvato il mondo di nuovo, questa volta dal totalitarismo comunista. La Guerra fredda durò decenni, ma noi l’abbiamo vinta. Democratici e Repubblicani, lavorando insieme, fecero in modo che Mr. Gorbaciov tenesse in conto le parole del presidente Reagan quando disse: «Abbatta questo muro». La Storia non dimenticherà quello che abbiamo fatto.
Sfortunatamente, dopo la Guerra fredda, la nostra politica estera finì fuori rotta. Non siamo stati in grado di sviluppare una nuova visione per un tempo nuovo. Difatti, mentre il tempo passava, la nostra politica estera iniziò a avere sempre meno senso. La logica fu rimpiazzata da follia e arroganza, e questo ci portò a un disastro dietro l’altro. Passammo dagli errori in Iraq a quelli in Egitto e Libia, fino alla linea del presidente Obama tracciata nella sabbia della Siria. Ognuno di questi eventi hanno portato caos nella regione, e hanno dato all’Isis lo spazio che gli serviva per crescere e prosperare.
Tutto comincia con la pericolosa idea che noi possiamo portare le democrazie occidentali in nazioni che non hanno né l’esperienza né l’interesse a diventare una democrazia occidentale. Abbiamo fatto a pezzi le loro istituzioni e poi ci siamo sorpresi di quello che abbiamo scatenato. Guerra civile, fanatismo religioso; migliaia di vite americane e molti miliardi di dollari persi, questo è il risultato. Il vuoto che si era creato, è stato presto riempito dall’Isis. Anche l’Iran si è affrettata e ha riempito il vuoto, guadagnando tanto senza avere speso nulla.
La nostra politica estera è un completo e totale disastro. Nessuna visione, nessuno scopo, nessuna direzione, nessuna strategia. Io, oggi, voglio identificare cinque principali debolezze nella nostra politica estera.
Primo, ci siamo svenati per gli altri.
Il presidente Obama ha indebolito la nostra forza militare indebolendo la nostra economia. Ci ha azzoppato con sprechi scriteriati, un debito pubblico immenso, una crescita debole, un enorme deficit commerciale e confini spalancati.
La nostra bilancia commerciale col mondo ha adesso raggiunto un deficit di un miliardo di dollari l’anno. Noi aiutiamo a ricostruire altri paesi indebolendo il nostro. Smettere il furto dei lavori americano ci darà le risorse che ci servono per ricostruire la nostra potenza militare e riguadagnare la nostra indipendenza finanziaria. Io sono il solo in corsa per la presidenza che capisce questa questione e sa come risolverla.
Secondo, i nostri alleati, non pagano la loro giusta quota.
I nostri alleati devono contribuire al nostro tremendo impegno sulla sicurezza e ai suoi costi finanziari, politici, e in vite umane. Molti di loro, semplicemente, non lo stanno facendo. Guardano agli Stati uniti come una cosa debole e dimenticano e non sentono alcuna obbligazione per i patti che hanno con noi.
Nella Nato, per esempio, solo 4 dei 28 membri, oltre l’America, stanno investendo il minimo richiesto del 2 per cento del Pil nella difesa. Noi abbiamo speso miliardi di dollari, nel tempo – in aeroplani, missili, navi, equipaggiamento – incrementando la nostra forza militare per dare una difesa più forte all’Europa e all’Asia. Le nazioni che noi stiamo difendendo devono pagare il costo della loro difesa – altrimenti, gli Stati uniti dovranno andarsene e lasciare che si difendano da soli. Il mondo intero sarà più sicuro se i nostri alleati fanno la loro parte per supportare la nostra difesa comune e la sicurezza. Un’Amministrazione Trump guiderà un mondo libero, armato e finanziato come si deve.
Terzo, i nostri amici cominciano a pensare che possono fare a meno di noi.
Abbiamo un presidente a cui non piacciono i nostri amici e che fa la riverenza ai nostri nemici. Ha negoziato un trattato disastroso con l’Iran, e li abbiamo visti ignorarne i termini, prima ancora che l’inchiostro si fosse asciugato. All’Iran non può essere concesso di avere un’arma nucleare e, sotto un’Amministrazione Trump, noi non permetteremo mai che l’abbia. Dico tutto questo, senza neppure menzionare come siano stati umiliati gli Stati uniti nel trattamento che l’Iran ha riservato ai nostri dieci marinai.
Quando si tratta, tu devi essere pronto a andartene via. Il trattato con l’Iran, come altri dei nostri peggiori accordi, è il risultato di una mancanza di volontà a lasciare il tavolo. Quando dall’altra parte del tavolo si sa che tu non te ne andrai, diventa assolutamente impossibile vincere. Nello stesso tempo, quelli che ti sono amici hanno bisogno di sapere che tu rispetterai gli accordi che hai già con loro.
Il presidente Obama ha fatto a pezzi il nostro programma missilistico, e dopo ha abbandonato i nostri piani di difesa missilistici con la Polonia e la Repubblica ceca.
Ha sostenuto l’espulsione di un regime amico in Egitto che aveva un trattato di pace di lunga data con Israele – e questo ha contribuito a far sì che la Fratellanza Musulmana prendesse il potere, al suo posto.
Israele, il nostro amico maggiore e l’unica vera democrazia nel Medio Oriente, è stata snobbata e criticata da un’Amministrazione che manca di dirittura morale. Giusto pochi giorni fa, il vicepresidente Biden ha di nuovo criticato Israele – una forza di giustizia e pace – per costituire di fatto un impedimento alla pace nella regione. Il presidente Obama non è stato un amico di Israele. Ha trattato con l’Iran con affetto e attenzione e ne ha fatto una grande potenza nel Medio Oriente – e tutto a spese di Israele e dei nostri altri alleati nella regione, e, fondamentalmente, degli Stati uniti.
Attacchiamo briga con i nostri amici più fidati, e adesso loro iniziano a guardarsi intorno, per vedere a chi poter chiedere aiuto.
Quarto, i nostri rivali non ci rispettano più.
Sostanzialmente, sono sconcertati come i nostri alleati, ma il problema più grosso è che non ci prendono più sul serio.
Quando il presidente Obama è atterrato a Cuba con l’Air Force One, non c’era nessun capo di Stato a incontrarlo e riceverlo – probabilmente un incidente senza precedenti nella lunga e prestigiosa storia dell’ Air Force One. La stessa cosa è successa in Arabia saudita – e questo si chiama mancanza di rispetto. Ricordate quando il presidente ha fatto un lungo e costoso viaggio a Copenhagen, Danimarca, per portare le Olimpiadi nel nostro paese e dopo questo sforzo senza precedenti è stato annunciato che gli Stati uniti sono arrivati al quarto posto? Avrebbe dovuto sapere il risultato prima di imbarcarsi in un impegno così imbarazzante. La lista delle umiliazioni si allunga.
Il presidente Obama osserva impotente la Corea del Nord che cresce in aggressività e aumenta ulteriormente la sua capacità nucleare. Il nostro presidente ha consentito alla Cina di continuare il suo arrembaggio economico ai lavori e alla ricchezza americani, rifiutandosi di rafforzare le regole del commercio – o di esercitare la pressione necessaria sulla Cina per tenere a bada la Corea del Nord. Ha permesso che la Cina rubasse segreti di Stato con i suoi cyberattacks e si impegnasse nello spionaggio industriale ai danni degli Stati uniti e delle sue imprese. Noi abbiamo lasciato pensare ai nostri rivali e sfidanti che possono andarsene via dopo averci sottratto quel che pare a loro. Se l’obiettivo del presidente Obama era quello di indebolire l’America, non avrebbe potuto fare di meglio.
Infine, l’America da tempo non ha più ben chiaro quali siano gli obiettivi della nostra politica estera. Dalla fine della Guerra fredda e dal disfacimento dell’Unione sovietica, a noi è mancata una coerente politica estera. Un giorno bombardiamo la Libia e ci sbarazziamo di un dittatore per promuovere la democrazia fra i cittadini, e il giorno dopo vediamo quegli stessi cittadini soffrire mentre il paese si va lacerando.
Noi siamo una nazione umanitaria. Ma l’eredità degli interventi Obama-Clinton sarà debolezza, confusione e disordine. Abbiamo reso il Medio Oriente più instabile e caotico di quanto lo sia mai stato prima. Abbiamo abbandonato i Cristiani a feroci persecuzioni e persino al genocidio. Le nostre azioni in Iraq, Libia e Siria hanno contribuito a scatenare l’Isis. Noi siamo in guerra contro l’islamismo radicale, ma il presidente Obama non vuole neppure nominare il nemico! La stessa Hillary Clinton si rifiuta di pronunciare le parole “islamismo radicale”, e anche lei preme per un massiccio aumento dei rifugiati.
Dopo che la Segreteria di Stato Clinton fallì la gestione della situazione in Libia, i terroristi islamici a Bengasi assaltarono il nostro consolato e uccisero il nostro ambasciatore e tre coraggiosi americani, e dopo, invece di farsene carico, quella notte Hillary Clinton decise di tornare a casa e andarsene a letto! Incredibile. Clinton deplora tutto questo in un video, una scusa che è una bugia totale. Il nostro ambasciatore veniva ucciso e il nostro Segretario di Stato ha tratto in inganno la nazione – e comunque, lei non era sveglia per prendere quella telefonata alle tre del mattino. E ora, l’Isis sta facendo milioni di dollari a settimana vendendo il petrolio della Libia.
Tutto questo cambierà, quando sarò presidente.
A tutti i nostri amici e alleati, io dico che l’America tornerà di nuovo forte. L’America tornerà a essere un amico e un alleato affidabile. Avremo finalmente una coerente politica estera basata sugli interessi americani, e gli interessi condivisi dei nostri alleati. Ci sbarazzeremo della ricostruzione di nazioni, e invece ci concentreremo sulla stabilità nel mondo. I nostri momenti di forza maggiore sono arrivati quando si sono deposte le politiche di parte. Noi abbiamo bisogno di una nuova, razionale politica estera, messa a punto dagli spiriti migliori e sostenuta da entrambi i partiti, così come dai nostri alleati più vicini.
È così che abbiamo vinto la Guerra fredda, e è così che vinceremo le nostre nuove e future battaglie.
Primo, dobbiamo mettere a punto un piano di lungo periodo e fermare la diffusione e la crescita dell’islamismo radicale.
Contenere la diffusione dell’islamismo radicale dev’essere il principale obiettivo degli Stati uniti. È probabile che sia richiesto l’uso della forza militare. Ma è anche un confronto fra modi di vita, come la nostra lunga lotta nella Guerra fredda.
In questo, dovremo lavorare a stretto contatto con i nostri alleati nel mondo musulmano, che sono tutti a rischio di vedere esplodere la violenza islamica. Dovremo lavorare insieme a qualsiasi nazione nella regione sia minacciata dalla crescita dell’islam radicale. E questa è una strada a doppia carreggiata – loro devono essere anche riguardosi verso di noi e ricordare tutto quello che stiamo facendo per loro.
La lotta contro l’islamismo radicale si svolge anche a casa nostra. Ci sono segnalazioni di migranti arrivati da poco nei nostri confini accusati di terrorismo. Per ogni caso che è diventato pubblico, ce ne sono ancora dozzine in più. Dobbiamo smettere di importare terrorismo attraverso politiche di immigrazione senza senso. Una pausa per procedimenti di rivalutazione ci permetterà di prevenire una nuova strage di San Bernardino o peggio – tutto quello che dovete fare è pensare al World Trade Center e all’11 settembre.
E poi c’è l’Isis. Io ho un messaggio semplice per loro. I vostri giorni sono contati. Non dirò quando e non dirò come. Noi dobbiamo essere, come nazione, imprevedibili. Ma saranno spazzati via. E presto.
Secondo, noi dobbiamo ricostruire il nostro apparato militare e la nostra economia.
Russi e Cinesi hanno rapidamente ampliato la loro capacità militare, e guardate cosa stiamo facendo noi! Le nostre armi nucleari – l’ultimo deterrente – sono abbandonate a se stesse e hanno un disperato bisogno di modernizzazione e rinnovo. Le nostre forze armate in servizio sono state ridotte da due milioni nel 1991 a circa un milione e 300mila d’oggi. La Marina è passata da oltre 500 navigli a 272, in questo stesso periodo. L’Aviazione è di circa un terzo più ridotta che nel 1991. Oggi, piloti guidano in missioni di combattimento B-52 che sono più vecchi della maggior parte delle persone in questa sala.
E che facciamo per tutto questo? Il presidente Obama ha proposto per il budget della Difesa nel 2017, in dollari reali, un taglio di circa il 25 percento di quello che abbiamo speso nel 2011. Il nostro apparato militare è impoverito, e noi chiediamo ai nostri generali e ai capi militari di preoccuparsi del riscaldamento globale.
Noi spenderemo quanto serve per ricostruire il nostro apparato militare. È l’investimento più conveniente che possiamo fare. Svilupperemo, costruiremo e acquisiremo il miglior equipaggiamento conosciuto all’uomo. La nostra dominanza militare non può essere messa in discussione. Ma saremo accorti e ogni dollaro verrà spesso saggiamente. In questo tempo di debito crescente, nessun dollaro può essere sprecato.
Ma dobbiamo anche modificare le nostre politiche sul commercio, l’immigrazione, l’economia per tornare a essere forti – per rendere di nuovo l’America prima. Questo consentirà ai nostri operai, proprio qui in America, di tenere i loro lavori e avere salari più alti, così cresceranno le nostre entrate fiscali e la nostra potenza economica come nazione. C’è bisogno d’essere più attenti in quelle aree dove la nostra superiorità tecnologica ci assicura ancora un vantaggio. E questo include le stampanti 3-D, l’intelligenza artificiale e il confronto cibernetico.
Un grande paese si prende cura dei propri guerrieri. Il nostro impegno verso di loro è assoluto. Un’Amministrazione Trump darà ai nostri uomini e donne in servizio il miglior equipaggiamento e li sosterrà in ogni parte del mondo loro siano impegnati, e la migliore assistenza del mondo quando ritorneranno da veterani alla vita da civili.
Infine, noi dobbiamo perseguire una politica estera basata sugli interessi americani.
Non si fanno affari quando si perde di vista l’interesse principale, e così accade per le nazioni. Guardiamo a cosa accadde negli anni ’90. Le nostre ambasciate in Kenya e Tanzania furono attaccate e diciassette coraggiosi marinai vennero uccisi sulla USS Cole. E noi, che facemmo? Sembrò che tutti i nostri sforzi fosse concentrati per l’ingresso della Cina nella World Trade Organization – che è stato un disastro per gli Stati uniti – piuttosto che impegnarci a fermare Al Qaeda. Avemmo persino un’opportunità per acciuffare Osama Bin Laden, e non lo facemmo. E dopo, fummo colpiti al World Trade Center e al Pentagono, il peggior attacco mai accaduto sulla nostra nazione nella sua storia.
Gli obiettivi della politica estera devono basarsi sugli interessi principali americani della sicurezza nazionale, e seguirli sarà la mia priorità. Nel Medio Oriente, i nostri obiettivi sono sbaragliare i terroristi e promuovere la stabilità nella regione, non cambiamenti radicali. Dobbiamo essere molto lucidi riguardo a gruppi che non potranno essere mai altro che nostri nemici. E mostrarci molto generosi con quelli che dimostrano d’essere nostri amici.
Noi desideriamo vivere in pace e amicizia con Russia e Cina. Ci sono notevoli differenze con queste due nazioni, e dobbiamo osservarle con gli occhi ben aperti. Non siamo inclini di principio a esserne avversari. Cercheremo ogni possibile terreno d’intesa basato su comuni interessi. La Russia, per esempio, ha già vissuto l’orrore del terrorismo islamico. Credo che un allentamento di tensioni con la Russia e una facilitazione di relazioni – da una posizione di forza – sia possibile. Il senso comune dice che questo ciclo di ostilità debba avere termine. Qualcuno dice che i Russi non siano ragionevoli. È mia intenzione verificarlo. Se non possiamo fare un buon affare per l’America, vorrà dire che abbandoneremo rapidamente ogni tavolo di trattativa.
Definire le nostre relazioni con la Cina è un altro passo importante verso un secolo di prosperità. La Cina ha rispetto per la forza, e avergli lasciato prendere vantaggio in economia su di noi ha significato perdere il loro rispetto. Noi abbiamo un enorme deficit commerciale con la Cina, e dobbiamo rapidamente trovare un modo per equilibrarlo. Un’America forte e astuta è un’America che troverà un amico migliore nella Cina. Possiamo beneficiarne entrambi o ciascuno di noi può prendere la sua strada.
Dopo che sarò eletto presidente convocherà un summit con i nostri alleati della Nato, e un successivo summit con i nostri alleati in Asia. In questi incontri, non discuteremo solo di riequilibrare i nostri impegni finanziari, ma di dare un nuovo sguardo su come adottare nuove strategie per fronteggiare le sfide comuni. Per esempio, discuteremo di come aggiornare la missione e la struttura della Nato – cresciuta con la Guerra fredda – per far fronte alle nuove sfide, in cui si annoverano le migrazioni e il terrorismo islamico.
Non esiterò a dispiegare la forza militare quando non c’è alternativa. Ma se l’America combatte, combatte per vincere. Non manderò la nostra gente migliore in battaglia a meno che non sia necessario – e lo farò solo se abbiamo un piano dettagliato per vincere.
I nostri obiettivi sono pace e prosperità, non guerra e distruzione.
Il modo migliore per raggiungere questi scopi è per mezzo di una ponderata, strutturata e significativa politica estera. Con il presidente Obama e la Segretaria di Stato Clinton noi abbiamo fatto l’esatto opposto; una sconsiderata, alla deriva e priva di scopo politica estera – che la sciato nella sua scia un percorso di distruzione.
Dopo aver perso migliaia di vite e speso miliardi di dollari, ci ritroviamo adesso in Medio Oriente in una situazione peggiore mai sperimentata prima. Sfido chiunque a spiegare la visione strategica di politica estera della coppia Obama-Clinton – è stata un completo e totale disastro.
Io sarò anche pronto a dispiegare le risorse economiche dell’America. La leva finanziaria e le sanzioni possono essere davvero persuasive – ma dobbiamo usarle in modo selettivo e con determinazione. Useremo quanto è in nostro potere se gli altri non rispetteranno le regole. I nostri amici e i nostri nemici devono sapere che se io traccio una linea di demarcazione, poi farò in modo che sia rispettata.
Comunque, al contrario di altri candidati alla presidenza, guerra e aggressione non sono nella mia natura. Tu non puoi avere una politica estera che non si basi sulla diplomazia. Una superpotenza sa che prudenza e cautela sono segnali di forza. Sebbene non mi trovassi in un qualche ruolo di governo, ero completamente contrario alla guerra in Iraq, dicendo che molti anni avrebbe destabilizzato il Medio Oriente. Purtroppo, avevo ragione, e chi ne ha tratto maggior vantaggio è stato l’Iran, che è sistematicamente addosso all’Iraq per guadagnare accesso alle sue ricche riserve petrolifere – qualcosa che ha inseguito per decenni. E adesso, ciliegina sulla torta, c’è l’Isis.
Il mio obiettivo è stabilire una politica estera che duri per diverse generazioni. Questo è il motivo per cui cerco in giro esperti di talento con nuovi approcci e idee concrete, piuttosto che circondarmi di quelli che hanno curricula perfetti ma molto poco di cui vantarsi considerando la loro responsabilità per una lunga storia di politiche fallite e di perdite continue in guerra.
Infine, lavorerò con i nostri alleati per ridare vigore ai valori e alle istituzioni occidentali. Invece di provare a diffondere “valori universali” che nessuno poi condivide, dovremmo renderci conto che rafforzare e promuovere la civilizzazione occidentale e i suoi risultati sarà di guida per riforme positive in tutto il mondo, piuttosto che intervenire militarmente.
Questi sono i miei obiettivi, come presidente.
Credo in una politica estera che tutti gli americani, qualunque sia il loro partito, possano sostenere e che i nostri amici e alleati rispettino e accolgano. Il mondo deve sapere che noi non andiamo in giro a caccia di nemici, che noi siamo felici quando vecchi nemici diventano nostri amici, e quando vecchi amici diventano nostri alleati.
Per raggiungere questi obiettivi, gli Americani devono di nuovo avere fiducia nel loro paese e nella sua leadership. Molti Americani si interrogano sul perché i nostri politici sembrano più preoccupati di difendere i confini di paesi stranieri che i nostri.
Gli Americani devono sapere che noi metteremo di nuovo il popolo americano avanti tutto. Nel commercio, nell’immigrazione, nella politica estera – i lavori, i redditi, la sicurezza del lavoratore americano saranno sempre la mia priorità. Nessuna nazione ha mai prosperato senza mettere al primo posto i propri interessi. Insieme, i nostri amici e i nostri nemici mettono i loro paesi davanti al nostro e noi, con estrema chiarezza, dobbiamo fare lo stesso.
Non sottometteremo più il nostro paese, e il suo popolo, alle sirene del globalismo. Lo Stato-nazione rimane il principale fondamento della felicità e dell’armonia. Sono scettico rispetto le unioni internazionali che ci vincolano e ci spingono verso giù, e non farò mai entrare l’America in qualsiasi accordo che riduca la nostra capacità o il controllo delle nostre questioni.
Il Nafta, per fare un esempio, è stato un totale disastro per gli Stati uniti e ha svuotato i nostri Stati delle nostre imprese e dei nostri lavori. Mai più. Solo il contrario accadrà. Noi ci terremo i nostri lavori e ne porteremo di altri. Ci saranno delle conseguenze per le aziende che lasciano gli Stati uniti solo per sfruttarli in seguito.
Sotto un’Amministrazione Trump, nessun cittadino americano proverà di nuovo la sensazione che i suoi bisogni vengono dopo quelli dei cittadini di paesi stranieri. Guarderò il mondo attraverso le lenti pulite degli interessi americani. Sarò il miglior difensore dell’America e il suo campione più leale. Non chiederemo scusa per essere di nuovo i migliori, e abbracceremo l’unica eredità che ci rende quello che siamo. Il mondo è un posto più pacifico e più prosperoso, quando l’America è più forte. L’America continuerà a svolgere il suo ruolo di costruttore di pace. Daremo sempre il nostro aiuto per salvare vite, la stessa umanità. Per assolvere questo compito, dobbiamo fare l’America di nuovo forte. Dobbiamo far sì che l’America sia di nuovo rispettata. Dobbiamo fare l’America di nuovo grande.
Se facciamo questo, forse questo secolo sarà il più pacifico e prosperoso che il mondo abbia mai avuto. Grazie.
(traduzione: lanfranco caminiti)
Nicotera, 1 giugno 2016
pubblicato su “il dubbio” quotidiano il 4 giugno 2016