Alla fine, tutti possono rivendicare qualcosa, e anche lamentarsene. Il partito popolare di Rajoy non ha la maggioranza ma rimane il primo partito, imprescindibile. Il Psoe di Sanchez perde un pezzo di elettorato ma è il secondo partito e arresta un’emorragia che si prevedeva peggiore. Podemos di Iglesias ha un buon venti percento di elettori, che forse è un po’ meno di quanto speravano perché risultassero secondi ma anche più di quanto si è temuto, e così sono terzi, ma si è terzi significativamente se a concorrere sono in quaranta, ma se a correre si è in quattro sei pure penultimo. E ultimi, lo sono i Ciudadanos di Rivera che non sono riusciti a erodere ancora più voti a Rajoy ma si attestano come forza significativa e ormai nel grande giro; anche se, dato che non sono un’alternativa ma un complemento al Partito popolare, sembrano per un po’ condannati a una diretta proporzionalità: sale il Partito popolare scende Ciudadanos, scende il Partito popolare sale Ciudadanos. Madrid è un po’ il riassunto di questa tornata elettorale: la città della Puerta del Sol, del movimento degli indignados premia difatti Podemos più che altrove con settecentotrentanovemila voti, ma rimane la più “conservativa”, con il Partito popolare saldamente al primo posto, con un milione e quattrocentomila voti, Ciudadanos con il miglior risultato, con seicentosessantacinquemila voti, e i socialisti, in fanalino di coda, con seicentotrentatremila voti, però qui Rajoy potrebbe tranquillamente fare il suo governo, a due forni, coi socialisti, e pure con i Ciudadanos. Sarebbe interessante studiare la composizione del voto per età, oltre che per area geografica e sociale: per ora, superficialmente, il voto più giovane sembra andare ai nuovi partiti, e quello più agée ai partiti più tradizionali; d’altronde, siamo società in invecchiamento, e se in un qualche progetto di riforma del sistema elettorale – tipo uno Juvanilium – non si introdurrà, come per la patente di guida, per il diritto di voto, passata una certa età, una revisione annuale, che contempli anche la revoca per manifesta impossibilità, il voto anziano, di stabilizzazione, moderato, sarà sempre più significativo, anche nell’astenersi, oltre che nel partecipare. Il “modello Italia” dell’ultima tornata elettorale d’un tempo ormai lontano, che però nel frattempo è diventato anche il “modello Francia” – dove tre forze, i socialisti di Hollande, i républicains di Sarkozy e il front national di Le Pen, si spartiscono i voti – si è riprodotto anche in Spagna. Rimangono segnate dal bipolarismo – popolari e socialdemocratici, tories e labour – Germania e Inghilterra. Il sistema elettorale qui c’entra poco – il sistema inglese è il più semplice e secco possibile – e magari un po’ di più il fatto che siano le due nazioni più bipolari rispetto il senso dell’Europa – l’una perché la governa di fatto, l’altra perché ci sta dentro nel modo più anomalo possibile e discute di exit. Angela Merkel può tirare mezzo sospiro di sollievo, e anche le banche tedesche: Rajoy si fidava troppo dei sondaggi nel comunicarle che Podemos sarebbe arrivato secondo – destando la preoccupazione della Cancelliera – ma sembra chiaro che ora la partita si sposta a Berlino. Non sarà re Felipe a trovare la quadra, ma re Angela che darà le dritte giuste al “suo” popolare insieme ai “suoi” socialisti che daranno le dritte giuste al giovane Sanchez: l’unico modo di garantire stabilità alla Spagna – e allentamento di vincoli e liquidità europee per affrontare la disoccupazione che ha livelli italiani e consolidare un qualche segno di sviluppo – e d’altronde questo è un voto di stabilità, più che di cambiamento, è un accordo tra popolari e socialisti, e pazienza se questo non è antropologicamente e politicamente nella storia di Spagna. La Storia delle nazioni europee va cambiando, e da mo’.
Podemos è davvero uno strano movimento. Benché le rivendicazioni sociali siano parte costitutiva del loro bagaglio politico, sono precipuamente caratterizzate dalla battaglia contro la “vecchia casta” – che non è una questione di generazione, la Spagna ha il più giovane parterre des rois di nuovi leader politici, altro che battibecchi tra Boschi e Di Battista. Per dire, tra i suoi candidati a testa di serie, e che hanno passato il turno, a parte tante facce giovani, moltissime femminili, c’è il giudice Juan Pedro Yllanes Suárez, quello che ha in carico il procedimento per lo scandalo dell’Infanta. Che sarebbe un po’ come se Grillo e il Movimento 5Stelle candidassero a sindaco di Roma il procuratore Pignatone, quello che ha fatto scoppiare lo scandalo di MafiaCapitale. C’era anche il giudice Victoria Rosell, tra le teste di serie, portavoce fino a ieri l’altro di Giudici per la democrazia, indicata da Iglesias come futuro ministro della Giustizia, se avessero vinto loro e che ce l’ha fatta, a essere eletta. E c’è l’ex portavoce della Guardia Civil, Juan Antonio Delgado, un po’ come se da noi il rappresentante sindacale del Coisp o del Siap si fosse candidato coi 5Stelle. E c’è anche il generale dell’Aviazione José Julio Rodríguez Fernández, proposto da Iglesias come futuro ministro della Difesa, se avessero vinto loro. Podemos, cioè, è entrato nelle istituzioni della società civile, o è riuscito a diventare un veicolo credibile per rappresentanti di istituzioni della società civile e le loro legittime ambizioni politiche e di cambiamento. Il movimento 5Stelle qui non è riuscito a tanto, e non so se per la sua inaffidabilità o piuttosto per un maggiore conformismo di rappresentanti delle istituzioni. Che so, voi ve l’immaginate Raffaele Cantone, l’incarnazione propria dell’anti-corruzione, che si candida coi 5Stelle? Semmai, come fa, assorbe potere all’ombra del governo. La mossa vincente di Iglesias però a me sembra l’estrema disponibilità verso le rivendicazioni territoriali: in Catalogna, nella Comunidad Valenciana e in Galizia, Podemos si è presentata come alleanza con forze politiche regionali, rispettivamente: En Comú Podem, Compromís-Podemos-És el moment, En Marea, e ha ottenuto risultati brillanti. Anzi, in Catalogna e nei Paesi Baschi, Podemos è il primo partito, e stiamo parlando delle realtà più ricche e produttive della Spagna, oltre che di quelle più “indipendentiste”. Iglesias, che mostra una straordinaria flessibilità vincente, ha promesso che rispetterà le volontà di referendum: nenie, per le orecchie dell’indipendenza.
E qui va forse fatta la morale di questa storia. La sprezzanteria politica vigente tacciava prima di “populismo” ora di “antieuropeismo” nuove realtà politiche in aggregazione. In via di decadenza la prima – forse si è capito che piuttosto d’essere uno stigma finisce con l’assommare materiale combustibile – rimane la seconda. E qui dobbiamo fare a capirci: i movimenti indipendentisti che hanno forza e radicamento e programmi in Europa non sono contro l’Europa. Forse vale la pena andarsi a leggere i loro documenti, le loro proposte – parlo della Scozia, della Catalogna, della Navarra, della Corsica. Il “nemico” degli indipendentisti non è l’Europa, ma lo Stato nazionale, la forma-Stato. E l’Europa in quanto forma di aggregazione degli Stati nazionali. Il “cuore” delle rivendicazioni indipendentiste è in genere un’autonomia fiscale e una ridistribuzione sociale decisa sulla base del proprio gettito e della propria realtà produttiva e sociale, assistenziale. La questione del welfare, che è anche, insieme, il ripensamento della propria vocazione produttiva, è quasi ovunque centrale. Ora, il welfare – quello di Beveridge e Keynes e Roosevelt – è fallito, va fallendo, non perché il debito pubblico degli Stati nazionali sia diventato insostenibile a causa sua, ma perché, viceversa, sono gli Stati nazionali che sono diventati insostenibili per il welfare. É il fallimento dello Stato nazionale che sta trascinando a picco il welfare. La questione che si va ponendo è se sia possibile salvaguardare il welfare – la sicurezza sociale dei cittadini – in un ripensamento del governo dei territori. La questione che si pone è quella dell’indipendenza dei territori, non per la finis Europae ma per un suo nuovo assetto: il resto – le classi, vecchie e nuove, il sopra e il sotto, il dentro e il contro – è, spero perdonerete la franchezza anche se può suonare brutale, un fraintendimento.
Nicotera, 21 dicembre 2015