Dice che la Le Pen e i vari regionalismi e novelli patriottismi nazionali mettono a rischio l’Europa che è nata per la pace, perciò mettono a rischio la pace e giocano col fuoco. Ma fosse stato per quello, per la pace, l’Europa poteva pure non nascere, bastava fare come il maresciallo Petain e mettersi dento casa il Terzo Reich a comandare, e loro, i francesi e tutti gli altri, a fargli da collaboratori domestici. Che il Terzo Reich proprio questo voleva, un’Europa in pace. Eterna. Perciò, la cosa è un’altra. No, non la cosa della Le Pen, la cosa dell’Europa. L’Europa è nata per fermare il comunismo, possiamo dircelo fuori dai denti adesso. Per non fare arrivare i cavalli dei cosacchi a abbeverarsi alle fontane di piazza San Pietro. E l’unico modo per fermare il comunismo, di fuori e di dentro, era mettere assieme cattolicesimo popolare e socialdemocrazia a fare riforme, a creare sviluppo, a dare occupazione e benessere. E assieme ci riescono. Solo che quando viene giù il muro di Berlino, mica va solo in crisi la Democrazia cristiana, la sua ragion d’essere, e arriva Tangentopoli. Va in crisi l’Europa. Quando Kohl riunifica la Germania, e è il momento politico più alto, il risultato più straordinario, l’Europa va a pezzi. Il senso politico di quell’Europa. Il più grande successo politico dell’Europa fu la riunificazione della Germania. L’Europa a trazione tedesca si portava dietro, economicamente, tutto l’Est, la Polonia, la Romania, la Bulgaria, benediceva la Croazia e smembrava la Jugoslavia, riportava insomma i russi a essere una potenza asiatica. Nessuno di questi processi fu un risultato politico diretto della politica d’Europa – la Polonia se la riportò a casa il profuso anticomunismo di Wojtyla in combutta con la Cia, il resto fu il disastroso naufragio della glasnost – ma suo fu il merito di fornire una piattaforma di aggregazione. Poi, sì, facciamo la moneta unica e l’Unione europea si allarga, e piripì e piripà. Per abbrivio e per cercare un rattoppo, un abbrivio lungo più di trent’anni, un rattoppo di più di vent’anni. Ma per cosa? Qual è il senso universalmente utile di questa cosa? Dove sono finiti i tartari, a che serve più la fortezza Bastiani? I nazionalismi e i vari novelli patriottismi combattono contro un sepolcro imbiancato, forse per quello pigliano acqua, prendono piede, che non trovano resistenza. C’è solo desistenza.
Socialfascismo, fu l’espressione coniata dalla Terza Internazionale per spregiativamente connotare i socialisti d’Europa che cercavano di barcamenarsi. Insomma, stringi stringi, per i comunisti del Comintern ogni socialista era un fascista sotto mentite spoglie. Ora, questo non solo fu disatroso, ma quella mostruosa locuzione bicefala non spiegava assolutamente nulla della contraddizione vivissima che viveva il socialismo europeo in quel periodo: certo, c’era il socialdemocratico Ebert al governo quando avevano ammazzato la Luxemburg e Liebknecht, ma tanto per dire, c’era uno come Matteotti, e l’Aventino – che i comunisti sdegnosamente considerarono – eccetera eccetera. L’espressione “socialfascismo” non servì a nulla, allora, per capire quel che accadeva dentro il socialismo, dentro la sinistra, ma come spesso accade ai concetti artefatti, che tornano utili solo quando sono fuori moda, può servire a spiegarci quello che accade oggi dentro la destra. Da sinistra a destra, era allora, da destra a sinistra, possiamo provare a capirlo oggi. La fine delle ideologie non ci ha portato la pace dei sensi, ma il sincretismo.
Il sincretismo è quella cosa che mette assieme ideologie inconciliabili. Succede anche in religione. E in linguistica, quando si giustappongono, nella stessa frase, espressioni opposite: perdonerete la sottigliezza filosofica, ma un esempio di scuola è Ambra Angiolini che dichiara di lasciare il suo compagno, Francesco Renga, per preservare il loro amore. Oh, non sta pigliando per il culo, parla sul serio. Che so, la deputata repubblicana del Nevada che manda gli auguri di natale con la famiglia al completo, genitori, figli, generi e nuore, nipotini, tutti vestiti di rosso e armati di fucile d’assalto – tranne i neonati in braccio – come dovessero abbattere e puoi scuoiare le renne di Santa Klaus: è la stessa deputata repubblicana che si batte per il riconoscimento dei matrimoni gay o per il diritto all’aborto, andando controcorrente nel suo partito. Un’estrosità, direte voi, un pezzo da Circo Barnum, come la donna baffuta. O i gemelli siamesi attaccati per la schiena che vissero, si sposarono e ebbero figli. E invece no. Quel sincretismo è diventato la regola della politica. Dell’espressione politica. Che so, pensate a Beppe Grillo e a buona parte del Movimento 5Stelle, e alle loro esternazioni. Oppure, alle accuse reiterate che la sinistra del Pd fa a Matteo Renzi che da sinistra fa cose di destra – probabilmente il miglior complimento politico che gli possa essere fatto. Che so, Montanelli che diventa icona della sinistra per il suo tardo e senile antiberlusconismo, dopo averlo benedetto per quindici anni come baluardo al comunismo. Il governo Prodi che mette assieme Mastella e Turigliatto. Hai voglia a sincretismo. Ora, non è che uno nasce sincretico e sincretista, è lo spirito del tempo, l’aria che tira, il tempo che fa. Il sincretismo non è il pensiero unico dell’epoca della globalizzazione, il relativismo. In un certo senso, anzi, gli si oppone, è più superficiale e profondo. Non dice nulla di originale, non elabora concetti, proposizioni, programmi. Mette assieme cose d’altri, cose proprie, cose recuperate. Nel disporli, sta la sua originalità. Nella costruzione sintattica, sta la sua originalità. Nella finzione linguistica. È un’operazione conservatrice, certo, anzi è iniziata con i neo-con, la “guerra umanitaria”, quelle cose là, gli ex-trotzkisti a capo della potenza imperiale, l’entrismo più perfetto mai riuscito, ma tutto al contrario. Ora, non capita solo a quelli di sinistra di essere diventati modernariato, ma anche al pensiero liberale, e non dico a Gobetti, che lo porterebbero in giro come l’uomo-elefante, e neppure a Einaudi, ma già a gente come Carli e Malagodi li tratterebbero come nonni un po’ svaniti a cui magari sotto l’albero regalare la tessera di abbonamento a You Porn. La Sinistra è diventata moderna, è il secolo nuovo, bellezza. E pure la Destra, non è che si è fermata a Maurras e l’Action française. E la modernità è questa cosa qua, senza capo né coda, né carne né pesce. Questa è l’Europa senza più uno scopo ideologico.
Marine Le Pen è moderna. Una che a un questionario, alla voce: di destra o di sinistra, ha risposto: altro. Ecco. Oh, non sta pigliando per il culo, parla sul serio. Come se Berlusconi, Bossi e Fini fossero stati lessi assieme e poi mescolati con il minipimer, fino a farne un golem politico a cui insufflare un’anima. Ha preso a calci l’antisemitismo del padre, ha nel suo think tank un omosessuale dichiarato, appoggia i matrimoni gay e il diritto all’aborto. Certo, la votano pure le teste rasate, gli antisemiti francesi che non sono mai stati pochi di principio, quelli contrari all’aborto e quelli che odiano i froci. Ciascuno può scegliere dal menu una voce che gli aggrada, e trascurare il resto, o quel che proprio non gli andrebbe giù. La vota il “proletariato” del Nord, che è solo un’entità residuale, dato che lì è finita quasi dappertutto come al Lingotto – una fabbrica riciclata per “eventi” – e la votano i borghesucci del terroir del Midi e del Sud, assediati dai maghrebini che si riproducono come conigli. Forse domenica non riuscirà a conquistare la regione del Nord Pas de Calais né la Provence-Alpes-Cote-d’Azur e forse si porterà a casa qualcos’altro, e molto dipenderà dall’astensionismo, che va salendo, come ovunque. E forse tutto questo non vuol dire nulla, per le presidenziali. Intanto, contro di lei c’è la desistenza dei socialisti, che appoggiano, quasi dappertutto, i candidati di Sarkozy. La desistenza è un concetto nobile, a me pare. Quando le cose, e gli uomini, sono di dura cervice, che puoi fare altro, se non desistere? I socialisti francesi però non è che desistono, “fanno fronte”, come dovessero, di nuovo, e i gollisti e il Maquis, mandare via Petain e i tedeschi. E l’unico modo per battere la Le Pen è essere peggiore della Le Pen: Sarkozy e i suoi candidati vanno dicendo cose irriferibili nella loro campagna elettorale. Valls e i suoi candidati vanno dicendo cose irriferibili nella loro campagna elettorale. Tutta l’Europa è contro la Le Pen. É successo pure con Tsipras. E non ha funzionato. Sarebbero dovuti accadere sfracelli, dopo il referendum, e non ha funzionato. A Roma fu un continuo, per vent’anni, e se non votavi Veltroni arrivavano i barbari della destra, e se non votavi Rutelli arrivavano i barbari della destra, poi la gente s’è rotta i coglioni e è arrivato Alemanno. Stamo ‘a vvede. E si sono mangiati pure i piedi dei tavolini, si sono. Che i democristiani palazzinari erano dei signori, erano. Si poteva cancellare dalla memoria di Roma la parola “destra” per cinquant’anni almeno, che nemmeno Ottaviano, nemmeno Adriano, e invece.
Solo che la Francia non è la piccola Grecia. E nemmeno la città di Roma. Il nazionalismo di Marine Le Pen non è una novità per la Francia. Come non è una novità l’indipendentismo catalano o quello scozzese. Neppure il fatto che il nazionalismo di destra si tinga di anticapitalismo è una novità. Il fascismo italiano, soprattutto quello milanese, dei sansepolcristi, era fortemente anticapitalista. E noi eravamo la “grande proletaria”. E il nazionalsocialismo tedesco lo era, il capitalismo era ebraico, epperciò. La novità del tempo sta nel fatto che questo nazionalcapitalismo socialfascista pensa di non abbisognare più della “mediazione” dell’Europa per stare sul mercato globale. L’Europa, questa Europa può attrarre paesi minori, la Slovacchia, i baltici, la Repubblica ceca, la Serbia, l’Albania, paesi che da soli non hanno mercato e insieme non fanno mercato. La Scozia dice di volere l’indipendenza e di pensare a trattare direttamente con l’Unione europea – saltando la mediazione dell’Inghilterra. È la stessa cosa che dicono gli indipendentisti catalani: saltare la mediazione della Spagna. L’unica “appetibilità” della dimensione europea per questi territori è il mercato. La Francia, come d’altronde la Gran Bretagna che in Europa ci sta solo alle proprie condizioni, pensa proprio di non aver bisogno del mercato europeo. Ha la sua grandeur, e tanto le basta.
L’Europa è diventata come il Comecon, Consiglio di mutua assistenza economica, insomma l’organizzazione di scambio tra i paesi comunisti guidati dall’Unione sovietica, che durò dalla fine degli anni Quaranta fino all’inizio dei Novanta. Un incubo, con i suoi piani di assistenza, mutuo aiuto, controllo dei bilanci, programmazione economica. La Storia fa di queste strane cose. L’idea di un’Europa diversa può attecchire se si ha un buon Nemico. L’islam fondamentalista, il terrorismo islamico è questo Nemico? Fossimo animati da profonda e fanatica fede cristiana, probabilmente la cosa attecchirebbe. Ma non è così, i processi di secolarizzazione sono diventati minuta cosa inavvertita ormai. E abbiamo due papi, una cosa già accaduta, ma negli scismi e negli anatemi e nelle guerre, e oggi invece una risorsa, una riforma. Un’Europa contro il capitalismo globale – quello liberale americano, quello statalista cinese, e le sue varie declinazioni –, contro “questo” assetto del capitalismo globale, potrebbe essere un orizzonte politico. L’Europa in pace è una cosa contro natura. Un ircocervo, «impeto velocissimo nel primo correre, e facilità a stancarsi subito», un sincretismo mitologico. L’Europa è terra di conflitti. Oggi, però si rintracciano solo “dentro” le nazioni. E questo, da sempre, nelle crisi, è il terreno di lotta tra Destra e Sinistra.
Nicotera, 11 dicembre 2015