Contrariamente alle aspettative di Houellebecq, che attribuisce la serie di attentati in Francia a «precise responsabilità politiche» da passare al vaglio – «È assai improbabile che l’insignificante opportunista che occupa la poltrona di capo di Stato esca con onore da questo riesame» –, monsieur Hollande è riuscito in un colpo solo a fare cose inaudite. Ha invocato l’état d’urgence, ottenendo il quasi unanime consenso di Assemblea e Senato, e ha preannunciato il bisogno di modificare la Costituzione perché tra lo stato d’urgenza, forse insufficiente, e l’état de siège, lo stato d’assedio, articolo 36 della Costituzione, forse eccessivo, e i poteri eccezionali del presidente, articolo 16, forse inadaptés, bisogna creare una nuova forma alla bisogna; ha notificato al Consiglio d’Europa una deroga all’articolo 15 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo, dato che con tutta probabilità con lo stato di emergenza non si potrà mo’ stare lì a sofisticare sui diritti, quelle cose per cui la Francia è sacra ma che sono un po’ di intralcio adesso che si va impitoyablement a caccia di nemici interni; ha richiamato il comma 7 dell’articolo Politica di sicurezza e di difesa comune del Trattato di Lisbona, chiedendo l’aiuto degli altri Stati europei; ha ristabilito, che la cosa vada bene all’America o meno, un rapporto privilegiato con Putin, creando un’Alleanza Parallela, dopo l’ultimo incontro, insieme alla Merkel, in cui si era parlato di possibili sanzioni per la Crimea e l’Ucraina; e, forzando ogni procedura, ha iniziato i suoi bombardamenti sulla Siria, riprendendo un ruolo “coloniale”. Politicamente, insomma, è riuscito a rimettere la sua figura, molto sfilacciata, al centro del sentimento dei francesi – vedremo alle amministrative di dicembre se questo ha un riscontro o meno, anche se la partita vera è per le presidenziali –, e la Francia a fare da trazione all’Europa, costringendo la Germania a giocare di rimbalzo, prima avrebbe mandato solo un po’ d’uomini in più nel Mali, qualche istruttore – da 200 a 650 –, poi ha deciso che schiererà i Tornado. Houellebecq avrebbe dovuto chiedere un parere alle madame di Hollande, per avere un giudizio più pertinente sull’uomo, alla signora Ségolène Royal, alla signora Valérie Trierweiler, alla signorina Julie Gayet: quell’uomo insignificante è capace di cogliere e trasformare ogni emozione in politica. In potere.
Loi n. 55-385 du 3 avril 1955 instituant un état d’urgence et en déclarant l’application en Algérie. È questo per esteso il titolo della legge sullo stato d’emergenza applicato da Hollande. Fu varata dopo la giornata di Toussaint rouge o Toussaint sanglante, insomma Ognissanti di sangue, 1 novembre 1954, cioè la serie di attentati compiuti in Algeria dal Fronte nazionale con cui iniziò la guerra di liberazione – tutt’oggi lì è giorno di festa. Pierre Mendès France, allora presidente, pensò che magari non era proprio il caso di dichiarare lo stato d’assedio, che conferisce tutti i poteri all’esercito, e s’inventò questa cosa qua, l’état d’urgence. Serviva ai generali francesi per fare quello che volevano in Algeria, e ai politici in Francia per avere l’apparenza che riuscissero ancora a gestire la situazione. Ma dopo il tentativo di colpo di Stato dei generali del 1958 – i paracadutisti s’erano presi la Corsica! –, quando per ventotto giorni la Francia resta in balia degli eventi e arriva il salvatore della Patria, de Gaulle, la legge serve per tenere a bada i generali e riprendersi il potere. La Quinta repubblica comincia così. Nel 1961, de Gaulle lo proroga ancora, dopo il putsch dei generali. Fino al 1963, dopo gli accordi di Évian del 1961, il cessate il fuoco del 1962, il referendum e la dichiarazione d’indipendenza. Non era stato più usato. Fino al 1984, quando il primo ministro Laurent Fabius lo invoca per la Nuova Caledonia. Quando i kanak iniziarono e ribellarsi e a organizzarsi in un Fronte per la propria indipendenza. La Nuova Caledonia sta proprio far away, nel Pacifico. Fu fondata come colonia penale francese. Un po’ come la Guyana francese, che sta all’altro capo del mondo, in America del Sud, anch’essa colonia penale, proverbiale quasi, quanto il nome della sua capitale, Cayenna. In verità l’articolo 1 della Legge 55-385 recita per esteso così: «L’état d’urgence peut être déclaré sur tout ou partie du territoire métropolitain, de l’Algérie, des départements d’outre-mer, des collectivités d’outre-mer régies par l’article 74 de la Constitution et en Nouvelle-Calédonie…». La Nuova Caledonia v’era già compresa, come i dipartimenti d’outre-mer. Insomma, una legge da retaggio coloniale, tutt’ora vigente. È come se, attraverso il richiamo di questa legge, la Francia ripristinasse il proprio passato coloniale, come se trattasse i terroristi da rivoltosi per l’indipendenza di un qualche territorio che le appartiene di diritto o di storto. È come se dichiarasse che i tagliagola del Daesh sono indipendentisti. Però, terroristi, non soldati. Lo stato d’emergenza non solo rende sovrano chi lo dichiara – i suoi effetti sono soprattutto sulla vita dei propri cittadini –, ma invece di rivestire di diritti il nemico, come una convenzione di guerra, lo spoglia di ogni diritto, riducendolo a nuda brutalità. Eppure, in Iraq e Siria si combatte anche una guerra convenzionale. Con le truppe, gli eserciti, i carri armati, queste cose qua. Sono le americanate del Patriot Act, di Guantanamo, del dopo 11 settembre. Quelle cose per cui i francesi storcevano il naso, e negli Stati uniti per qualche tempo si abolirono dai menu le frites. Le french fries. Per un po’, le chiamarono freedom fries. Sembra una cosa da nulla, eppure i francesi ci si incazzarono tanto. Intanto, lo stato d’emergenza è stato prorogato fino al febbraio 2016, altri tre mesi. Il Senato ha approvato la proroga con trecentotrentasei voti favorevoli, e dodici astenuti (undici comunisti e un ecologista). L’Assemblea aveva già dato il suo assenso con cinquecentocinquantuno voti favorevoli, sei contrari (tre socialisti e tre ecologisti) e un’astensione. L’astenuta è la deputata socialista Fanélie Carrey-Conte. 16 maggio 1958: l’assemblea nazionale vota l’état d’urgence. Guy Mollet, anima socialista, afferma: «La déclaration du général de Gaulle est plus inquiétante par ses omissions que par ce qu’elle contient». Votarono Non in 224 contro 329 Oui. Nessun astenuto. E era de Gaulle.
Forse faremo incazzare ancora i francesi, che già gli girano le palle, come per Bartali. Però, chapeau a Renzi. Sarà perché un po’ piccato che non lo chiamano mai quando si devono decidere le cose importanti – e pure con la Mogherini, che l’ha voluta lui là, non è che ultimamente ci si parli tanto – e poi ci si aspetta che risponda come un soldatino all’appello, ma finora Renzi ha evitato di indossare tuta mimetica e elmetto. Mettiamo a disposizione la nostra intelligence, ma sai ai francesi quanto gli impipa della nostra intelligence. Il ministro della Difesa, Pinotti, ha detto che noi eravamo già in via di aiutare, dato che aumenteremo il nostro contingente in Iraq di altri duecento uomini, salendo così a settecentocinquanta. Sarà perché Renzi è un po’ democristiano, e i democristiani non fecero che trattare con il mondo arabo perché stessero alla larga da noi. Persino quando, nelle mani delle Brigate rosse, Moro si trovava «sotto un dominio pieno e incontrollato», si ricordò del colonnello Giovannone, che “curava” gli affari arabi, perché potesse vedere coi palestinesi se potevano dire una parolina. Noi trattiamo, noi paghiamo: per giornalisti, per missionari, per volontari, per medici, per chiunque. Sottobanco, certo. Sarà perché Renzi è un po’ socialista: Craxi fece scappar via Abu Abbas che, si seppe dopo, aveva avuto un ruolo nel sequestro dell’Achille Lauro, dove era stato commesso un omicidio feroce, uccidendo Leon Klinghoffer, un ebreo anziano sulla sedia a rotelle per un ictus, e buttandolo a mare. Magari un gesto di pietà: dovevano ammazzarne uno, altrimenti non li prendevano sul serio, meglio chi era già mezzo morto. Sarà perché Renzi vede gli americani prudenti. E anche un po’ infastiditi da tutto questo agitarsi di Hollande. Il comma 7 dell’articolo Politica di sicurezza e di difesa comune del Trattato di Lisbona, invocato da Hollande, recita così: «Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa». E l’articolo 51 della Carta delle Nazioni unite recita così: «Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale». Insomma, ci sarebbe la Nato, ecco. Ci sarebbe il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Per l’aggressione armata, per l’attacco armato. Una cosa fra Stati, ecco Però, vaglielo a dire ai francesi. Sarà pure, dico per Renzi, perché gli americani ci hanno fatto, da poco, una grande apertura di credito, consentendoci, dopo una richiesta lunga undici anni, di armare due droni due. Sono due General Atomics MQ-9 Reaper, conosciuti anche come Predator B. A differenza dei sei Predator A che pure abbiamo, i Reaper si possono armare: missili del tipo AGM-114R2 Hellfire II, costruiti dalla Lockheed Martin Corp, oltre a bombe a guida laser del modello GBU-12 e munizioni GBU-38. È un accordo dal valore di 129,6 milioni di dollari, mica bruscolini. Soltanto i britannici dispongono di armi per i loro droni, ma si sa dei rapporti particolari tra Washington e Londra. Insomma, entriamo, dopo lunga lista d’attesa, in punta di piedi nel salotto buono dei signori della guerra. I Predator si potranno usare nelle operazioni in Afghanistan ma forse anche in Libia. Forse li possiamo usare pure per combattere l’immigrazione clandestina. Si possono bombardare i barconi, ecco. Lo dice un generale dei nostri, eh, mica un leghista. Magari sono spese che vanno fuori bilancio, fuori dal patto di stabilità. Sarà per tutte queste cose, però una è sicura: ci fossero ancora i comunisti che ha rottamato Renzi, avremmo già imboccato la guerra con tutte le scarpe.
Secondo uno studio della Brown University – il progetto Costs of war – il costo della guerra al terrorismo dichiarata da George Bush W. dopo l’11 settembre, con l’invasione dell’Afghanistan, dell’Iraq e le varie operazioni, ammonta a quattromila miliardi di dollari. Proprio il costo della Seconda guerra mondiale ai prezzi di oggi, secondo i dati dell’Ufficio del bilancio del Congresso americano. Nel 1946 il debito pubblico americano arrivò a 260.1 miliardi di dollari (prezzi di allora); nel 1939 era a 48.2. Solo che questa, almeno, l’hanno vinta e quella no. Il debito pubblico americano è lievitato con le guerre dopo l’11 settembre. C’è chi ha parlato di una sorta di “keynesismo di guerra”, per la sollecitazione dal lato della domanda militare; solo che non ha mai creato posti di lavoro, e se per quello un sacco di buche scavate dalle bombe, ma nessuno per riempirle. Eppure, Hollande nel suo discorso al Congresso è stato chiaro: «Le pacte de sécurité l’emporte sur le pacte de stabilité». Il patto di sicurezza è prioritario al patto di stabilità. Addio rigore e austerità germaniche. Le prime misure: una decina di migliaia di posti militari, che erano in programma di dismissione, verrà invece mantenuta; cinquemila poliziotti in supplemento da qui a due anni; duemilacinquecento posti nella polizia penitenziaria; mille posti per le Dogane, e i controlli ai confini. La sicurezza costa, il debito pubblico lievita. C’è chi si dice perplesso e chi preoccupato per questa svolta di Hollande, per questo allentamento dei vincoli. Che diranno gli altri partner europei, la Spagna, per dire, che se ne sta zitta dato che ha deciso dopo gli attentati di Atocha di ritirarsi da ogni scenario di guerra? Che, la Spagna non è più in Europa? Pagherà per la guerra dei francesi? E l’ungherese Orbàn? E i finlandesi? C’è anche chi propone di finanziare questa guerra con gli eurobond. Ecco, se c’è una cosa che attesta lo stato di guerra è l’emissione dei titoli di guerra. All’inizio, gli americani li chiamavano Defense bond – il primo lo comprò il presidente Roosevelt –, poi li chiamarono direttamente War bond. Ogni tanto ne salta fuori ancora qualcuno.
Mi ha fatto piacere leggere che Stiglitz la pensa come me, che non sapremo quale potrà essere un nuovo assetto delle cose in Medio oriente, fin tanto che non ci saranno le nuove elezioni americane. Solo che lui pensa che un candidato di guerra potrebbe essere Jeb Bush, ma dev’essergli sfuggito che Jeb si è smarcato dal fratello W. e dal padre George, che fosse stato per lui quelle guerre non le avrebbe fatte. Io invece continuo a credere che un candidato di guerra sarà Hillary Clinton. La situazione è fluida, certo, e può subire accelerazioni, ma finché c’è Obama le cose non si stabilizzeranno. Non solo per gli impegni assunti a non vedere altre bare americane, ma per i guasti rapporti con Netanyahu. Troppi sgarbi reciproci, ultimamente, e a Israele non va proprio giù l’apertura verso l’Iran, anche se nessuno riesce a capire come si possa stabilizzare quell’area senza che Iran – e Libano e Hezbollah – e Israele siano insieme coinvolti. E ora ci s’è messa di mezzo pure la Francia, che vuole un suo ruolo per il dopoguerra. E Netanyahu pure con la Francia non è che ci va a nozze, per via di tutti quegli ebrei che lasciano la Ville Lumière che non si sentono tanto protetti, tanto sicuri, e arrivano in Israele. Troppe variabili. Per ora si sono messi d’accordo tutti che gli assetti di potere futuro in Siria dovranno cambiare con le elezioni democratiche, una cosa che a sentirla dire le primarie di Cozzolino a Napoli con i cinesi in fila a votare a cinque euro a botta sembrano impallidire. Ultimamente mi sono messo a pensare una cosa. La Clinton è sotto scacco da mesi – l’unico che l’ha sdoganata è stato il suo “rivale” alle primarie, Bernie Sanders – per via delle mail che avrebbe poggiato su un server privato invece che su quello dell’Amministrazione. Lei si è difesa spiegando che si trattava di cose di casa, tipo con Chelsea, come stanno i bambini, sei passata dal dentista, cose così, però invece molte mail sono “sensibili”. Perché la Clinton usava un server privato per questioni che riguardavano il suo lavoro al Dipartimento di Stato? Magari perché c’è poco da fidarsi della capacità di resistenza agli hacker dei server dell’Amministrazione, uno pensa. È già successo, con Wikileaks, e a pagarne un prezzo alto fu proprio la Clinton, coi suoi giudizi tranchant su questo o quel capo di Stato. Oppure. Il periodo “sotto osservazione” è quello dello scoppio della guerra civile in Libia. L’America non intervenne direttamente, mandò solo qualche nave per cannoneggiare da lontano, furono francesi e inglesi a darsi più da fare. Forse la Clinton cercava una soluzione, voleva un intervento più diretto, e pensò potesse essere una buona cosa poggiarsi su una parte dei combattenti, per evitare che la cosa sfuggisse di mano, che si frammentasse in una guerra tribale, che diventasse l’ambiente ideale – di armi ce n’erano a iosa, tutti gli arsenali di Gheddafi – per il fondamentalismo e al Qaeda. Forse il lavoro “sul campo” glielo faceva l’ambasciatore Chris Stevens. Che però era anche un uomo della Cia e cercava di dirottare armi verso i ribelli siriani. Finché questo “gioco” salta e al Qaeda assalta il compound dell’ambasciata e ammazza Stevens. Pensa tu. Dev’essersi detta la Clinton. Come se qualcuno – chissà chi avrà passato la dritta a al Qaeda – preferisse lo sfacelo a una trattativa, a una qualche forma di riorganizzazione sociale e istituzionale. Curioso, no?
Nicotera, 29 novembre 2015