Deutschland, Deutschland, si grida di nuovo nel cuore dell’Europa. Ma stavolta non tremano i polsi, stavolta quell’urlo non incute paura, stavolta – come un tempo, quando la Germania era faro della civiltà europea, la luce nel buio – battono i cuori. Sono voci siriane a gridarlo, alla stazione Keleti, Budapest. Il mondo è davvero in fuga, in cammino. Le voci sono dei profughi che la Merkel ha deciso di accogliere, rompendo le regole di Dublino. Unilateralmente.
L’Ungheria non li vuole, l’Ungheria ha costruito un muro lungo chilometri con piloni d’acciaio e filo spinato e ha messo i soldati di sentinella. Il ministro della Difesa ha precisato: «I militari non avranno però ordine di aprire il fuoco per mandare via la gente». Ah, bè, grazie tante. L’Ungheria, quando li prende, li mette in vagoni blindati e li porta verso centri di raccolta, poi verso l’Austria, o almeno fino a poco tempo fa li mandava verso l’Austria. L’Ungheria li tiene nei piazzali davanti la stazione, poi li caccia dalla stazione, sparando anche i lacrimogeni, poi chiude la stazione per non farli partire. Ieri, il vicepremier ungherese Janos Lazar, intervenendo in Parlamento, ha incolpato la cancelliera tedesca Angela Merkel – non è stato il solo a gridarle contro, anche i neonazi tedeschi – del caos e dei disordini avvenuti alla stazione. «Non penso che l’Ungheria abbia bisogno di un singolo immigrato proveniente dall’Africa o dal Medio Oriente», ha detto Lazar. Io penso che la Merkel possa indossare con orgoglio l’accusa di Lazar.
Il Regolamento di Dublino è il documento principale adottato dall’Unione in tema di diritto d’asilo, e è stato sottoscritto anche da paesi non membri, come la Svizzera. Il regolamento impedisce di presentare una domanda di asilo in più di uno Stato membro, e prevede che la domanda venga esaminata dallo Stato dove il richiedente ha fatto ingresso nell’Unione. Ieri, la Commissione europea ha criticato l’Italia per non rispettare le procedure – sembra che ci siano discrepanze forti tra i numeri che vengono dichiarati e quelli reali. La Commissione sospetta che noi italiani non si facciano le procedure secondo le regole – i processi di identificazione, le impronte digitali – perché così i profughi proseguono e quando arrivano in Germania o altrove sarà quello il paese in cui la loro richiesta verrà esaminata e non l’Italia. Anche perché per esaminare una richiesta d’asilo ci vuole tempo, tanto tempo – qui da noi passano almeno diciotto mesi – e qualcuno ti dovrà pure dare da mangiare e poi un giorno le cose precipitano e succede spesso che le persone vengano rimpatriate senza che tu abbia potuto dimostrare davvero che vieni da un territorio di guerra, dove non è proprio possibile essere rimpatriato.
Rispettare il Regolamento di Dublino significherebbe mettere ancora tempo in mezzo. Per la Merkel, evidentemente, qualsiasi tempo è ormai troppo. I siriani identificati ai confini tedeschi non saranno respinti nei paesi europei dove sono arrivati inizialmente come prevede invece il Regolamento. In qualunque Stato d’Europa siano arrivati, la Grecia, l’Italia, la Germania li accoglierà. Non saranno respinti verso l’Ungheria. E chi avrebbe cuore di rimandarli in Ungheria? D’altronde, stanno arrivando in massa, dall’Austria, dalla Baviera. Il Medio oriente si sposta verso il centro dell’Europa, come l’Africa si sta spostando verso il sud dell’Europa. Sono movimenti tettonici, è un nuovo big bang dell’umanità. Deutschland, Deutschland, si sono messi a gridare i siriani alla stazione Keleti, la Merkel ha aperto loro le braccia. Fateci andare.
Dopo avere sospeso unilateralmente il Regolamento di Dublino, la Merkel ha spronato gli europei a fare di più. E ha tuonato contro chi vuole rivedere il trattato di Schengen.
Il ministro degli Interni britannico, Theresa May ha scritto una lettera al «Sunday Times» per dire che non è ammissibile che cittadini europei arrivino in Gran Bretagna senza lavoro e se la godano, profittando del loro sistema di welfare. Chissà cosa ne sarà rimasto di questo welfare inglese che prima la Thatcher e poi Blair hanno smantellato. Londra è piena di ragazzi italiani, greci, spagnoli, sloveni che fanno i camerieri o le pulizie per un minimum wage. Che è come i mini job tedeschi. Le Grandi Riforme di Schroeder e Blair sono queste qua: ti spezzi la schiena, ti diamo quattro lire. La signora May vuole rimandarli tutti a casa, quelli che non hanno un lavoro fisso. Come se fosse possibile avere un lavoro fisso e non dovessi continuare a fare due, tre lavoretti – a minimum wage – per riuscire a tirare avanti. La signora May è quella che non sa come gestire la crisi di Calais. Ogni giorno si scopre un modo – dentro le valige, dentro i cofani del motore, sotto i sedili delle auto – per passare nell’Eurotunnel, e lei ha deciso di mandare i cani per affiancare i bobbies, dopo aver scritto un’altra lettera insieme al suo collega francese Bernard Cazeneuve per dire ai migranti che «Our streets are not paved with gold», le nostre strade non sono lastricate d’oro.
Anche il ministro dell’Interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, ha chiesto alla Germania di chiarire la sua posizione su Dublino. E anche l’Austria ha deciso di rinforzare i confini per non far accedere i profughi. Intanto, mentre in Ungheria hanno praticamente finito a tempo di record il muro di filo spinato, in Bulgaria lo stanno completando – avevano iniziato alla fine del 2013. «La maggior parte dei migranti che affluisce verso la Bulgaria – ha detto il ministro dell’Interno Rumiana Bachvarova – arriva dalla Turchia e per questo stiamo completando la costruzione di una barriera di protezione al confine, come tra Ungheria e Serbia». L’Ungheria fa scuola in Europa, a quanto pare.
Non si può lasciare sola l’Italia, ha detto più volte la Merkel negli ultimi tempi. Forse, stavolta, è lei che non dobbiamo lasciare da sola. L’orrore della guerra, della divisione della patria, dei muri spinati, del totalitarismo, è una cosa che la Merkel deve portare dentro come segno. Ci siamo talmente abituati a mostrare la spaccatura tra il nord e il sud dell’Europa intorno la gestione della crisi economica, del rigore e dell’austerità e della mancanza di crescita, intorno la questione dell’immigrazione vista da sud, dal Mediterraneo, che non abbiamo guardato bene quello che accadeva a est, alla “nuova Europa” come la chiamava Donald Rumsfeld, lo stratega di George W. Bush, che vedeva nei nuovi membri della Ue, quelli che un tempo erano sotto il tallone sovietico, i più fedeli alleati atlantici, mentre la “vecchia Europa” storceva il naso a ogni nuova guerra americana.
Prima tutti i paesi baltici, e poi Bulgaria, Ungheria, Polonia, Slovacchia, sembrano volersi “autonomizzare”, o stare dentro l’Unione a proprio uso e misura. Come fossero la Gran Bretagna, come se avessero la guida a destra o sui loro palazzi sventolasse la Union Jack. L’Europa si è allargata forzosamente, e le vecchie “regole” – Schengen, Dublino, Lisbona, l’euro – sembrano non tenere più.
Solo la Merkel tiene. Sfidando apertamente i populismi dell’Est, quelli della “nuova Europa”, quelli della “vecchia”, e quelli di casa propria. Si può essere d’accordo o no – e spesso non piace la sua testarda ostinazione sul rigore dei bilanci – ma la Merkel sulla questione dell’immigrazione, la più grande sfida sociale che l’Europa abbia mai affrontato, e la “questione sociale” è il collante che ha messo insieme l’Europa del dopoguerra, sta mostrando una levatura da grande statista europeo. Forse l’unico. Se la Merkel mostrerà tutto il suo coraggio politico, la Germania non può che essere europea, come diceva Thomas Mann.
Deutschland, Deutschland, si grida di nuovo nel cuore dell’Europa. È bello sapere che siano voci siriane a gridarlo.
Nicotera, 1 settembre 2015