«Pride goes before destruction, And a haughty spirit before stumbling. L’orgoglio è prima del crollo, e lo spirito superbo prima dell’inciampo». Ecco, è tutta qui —Proverbi 16:18, King James Bible — la storia di Hillary Clinton.
Appena una settimana fa, incalzata dalle domande di un giornalista su quello che ormai è diventato “l’emailgate” — ovvero l’uso di un server privato per le comunicazioni che riguardavano anche la segretezza nazionale durante il suo periodo al Dipartimento di Stato —la Clinton ha evitato di rispondere e ha abbandonato infine la sala della conferenza stampa. È segno di nervosismo, se non di fragilità, quasi il fastidio per “lesa maestà”, quest’arroganza, e questo in campagna elettorale non è proprio permesso a nessuno.
Vero, la Clinton ha finalmente consegnato tutto il materiale — finora si era rifiutato di farlo, sostenendo che buona parte dello stesso riguardasse la propria famiglia, e Chelsea ha la febbre, e cose così, comunque private — ma è accaduto troppo tardi, e sotto l’incalzare di una crescente attenzione e sensibilità. E rimane il sospetto che questo tempo — è da mesi che ormai va avanti la storia e non se ne vede proprio la fine — sia servito per “cancellare” quanto non risulterebbe proprio un comportamento corretto e dovuto: i funzionari sono “dovuti” all’uso dei server della Sicurezza non solo perché pensati più protetti dagli attacchi degli hacker ma proprio perché ogni loro gesto, ogni loro comunicazione possa essere, finito il mandato, un giorno sottoposto a valutazione e controllo. «What with a cloth? Come, con un panno?» — è così che ha risposto la Clinton a una domanda sulla possibilità di aver “pulito” il server.
Che ci sia stata leggerezza nello staff, o che il “segreto dei segreti” riguardi la cattiva gestione dell’episodio della morte dell’ambasciatore e di altri tre cittadini americani durante l’assalto jihadista al consolato di Bengasi, che sia stata o meno la destra repubblicana a imbastire tutto l’ambaradam, la Clinton non è uscita sinora bene. In più, qualcuno comincia a porre domande anche sulla Clinton Foundation. Sembra che manchino i report dal 2010 sui donatori — la Fondazione è stata utilizzata come veicolo per la raccolta fondi per la campagna elettorale. E le domande cominciano a vertere su possibili donatori stranieri. Alcuni recentissimi sondaggi vedono in aumento chi la considera poco onesta e poco attendibile — il 60% degli elettori di Ohio, Pennsylvania e Florida. E questo non è un buon viatico per diventare presidente degli Stati uniti d’America.
E adesso ci si mette anche Joe Biden, il vicepresidente. Biden è tutto quello che la Clinton non è. La disponibilità di Biden verso gli interlocutori è considerata come un sentimento reale e non “indossato” come per la Clinton, Biden è voluto bene e molto nel suo territorio di appartenenza. Lui è lo zio Joe. Lui è il campione del cittadino comune — e forse non è un caso che la campagna della Clinton per le primarie finora si sia concentrata sul mostrarsi come “campione della classe media”. Certo, può commettere qualche gaffe, ma ha un carisma incontestabile. Biden non viene da una famiglia ricca, e in tutti i suoi lunghi anni di “servizio” non si è mai arricchito, non ha mai profittato di una carica per il proprio guadagno — e questa è una cosa che gli riconoscono tutti, amici e avversari. In tutti i sondaggi, nello scontro diretto con i candidati repubblicani negli Stati-chiave le sue percentuali sono egualmente buone o migliori della Clinton.
Finora, Biden si era tenuto alla larga dalla possibilità di scendere in campo. Peraltro, ha dovuto affrontare un lutto estremamente doloroso in famiglia — la perdita del figlio, per un tumore. Tra i rumors, per spiegare l’improvviso coinvolgimento di Biden, c’è proprio una promessa fatta in punto di morte al figlio, di correre per la presidenza. Ma forse si sta imbastendo un “lato emozionale”, mentre le questioni sono altre. A febbraio, poco prima della finale del Superbowl, il presidente Obama aveva fatto una breve intervista. Parlava della birra fatta in casa dalla moglie, cose così. Poi, la giornalista gli chiese chi preferisse fra Biden e la Clinton. Obama se la cavò dicendo «I love ‘em both», mi piacciono entrambi. Era febbraio e ancora le nubi dell’emailgate non si erano così addensate. Solo che adesso Obama dovrà scegliere. Solo che adesso Biden sembra essere diventato una risorsa per i democratici. Forse l’unico modo — certo, c’è anche Bernie Sanders in corsa, ma è troppo “di sinistra” per compattare i democratici e per sfondare al centro da contendere ai repubblicani — per tirarsi fuori da uno scandalo pazzesco e rilanciare la corsa. Chi l’avrebbe detto?
Lunedì Biden si è incontrato con il presidente. Secondo voci, dal sen democratico fuggite, è la “benedizione” di Obama per candidarsi alle primarie. Ma dallo staff continuano a giungere smentite: è stato solo un lunch privato, tra due persone private, continuate a speculare su cose di cui non sappiamo assolutamente nulla. Il fatto è che all’incontro “privato” hanno assistito anche persone con un ruolo importante nella corsa politica di Obama alla presidenza, che lo hanno consigliato, aiutato. E questo vorrà pure significare qualcosa.
Inoltre, lunedì sera, Biden ha incontrato Elisabeth Warren. La Warren — che la Clinton temeva moltissimo e che ha sempre sinora respinto ogni richiesta dei suoi sostenitori per un coinvolgimento diretto per la corsa alle primarie — ha da poco stretto un patto con Bernie Sanders a proposito della possibilità di ripristinare, se Bernie va avanti con l’appoggio dei sostenitori della Warren, il Glass-Seagall Act, la legge bancaria che fu firmata nel 1933 dopo la grave crisi finanziaria del 1929, e che fu abolita nel 1999 da Bill Clinton, il gesto madre di tutti gli inguacchi finanziari fino alla crisi della Lehman Brothers.
Che cosa si saranno detti la Warren — che gode di una enorme simpatia nel mondo più liberal americano, ma non solo, per le sue battaglie contro gli abusi di Wall Street e della finanza — e Biden?
Comunque, certo, se Biden deciderà di correre, la decisione sarà solo sua. Si è preso tempo. Per ora si è ritirato nella sua casa di Wilmington, Delaware, proprio per riflettere.
Se, come molte voci autorevoli sembrano dire riferendo di una sua forte propensione, la sua decisione sarà quella di partecipare alle primarie, per la Clinton saranno guai seri. Biden, oltretutto, ha un enorme prestigio internazionale, e si è sempre mostrato un buon interprete della strategia di Obama più incline al dialogo, alla sollecitazione democratica che a mostrare i muscoli.
Dovrà, la Clinton — sempre quasi prima fino al filo di lana, sempre battuta per un soffio, come è successo a Gaitlin contro Bolt all’ultimo running ai mondiali — pensare al suo haughty spirit, alla sua superbia. Proverbi 16:18.
Nicotera, 25 agosto 2015