Vi faccio un giochino, tipo: Trova le differenze, della «Settimana enigmistica». Allora, trovate le differenze tra una mondina dell’inizio del Novecento, quella de “Sciur padrun da li beli braghi bianchi”, e un negro che raccoglie arance a Rosarno, all’inizio del Nuovo millennio. Trovate? Nessuna. Bravi, è vero, non ce ne sono. E adesso, più difficile: trovate le differenze tra Paola Clemente, 49 anni, morta sotto il sole implacabile e cocente il 13 luglio a Andria mentre lavorava all’acinellatura dell’uva, un lavoro massacrante, pagato due euro l’ora, e Karola Kapuscizki, o un nome così, del magazzino Amazon di Harrisburg, Pennsylvania, tenuta a lavorare al chiuso a 37 gradi e forse più, senza aria condizionata, però i “manager” avevano messo un’ambulanza all’ingresso che costava di meno, hai visto mai. Trovate? Nessuna. Siete proprio bravi, è vero, non ce ne sono. Le meraviglie dell’era della New Economy, del “lavoro immateriale”, dei social network, della “fine del lavoro” di Rifkin eccetera eccetera eccetera, somigliano terribilmente alle “condizioni della classe operaia in Inghilterra” descritte da Engels nell’Ottocento. Di mezzo c’è stata la rivoluzione industriale, il socialismo reale, la postmodernità, la rivoluzione digitale e il postindustriale. C’è un sacco di post, dentro, ma per il lavoro le cose stanno sempre ante. Il lavoro è sempre una cosa di merda. Per il lavoro, il cammino è all’indietro, e manco al Novecento, non no, proprio all’Ottocento.
E forse bisogna partire da qui per capire che sta succedendo in Gran Bretagna e negli Stati uniti, nel mondo anglosassone insomma, lì dove Marx pensava che forse ci sarebbe stata la rivoluzione, perché era l’unico posto dove le condizioni erano mature, e che invece c’è stata dappertutto meno che lì (sui tedeschi, Marx non ci faceva gran conto, che se fanno le barricate, poi chiamano la polizia per rimuoverle). Però, adesso, ci sono due signori – Jeremy Corbyn e Bernie Sanders -, ultrasessantenni, con l’aria dimessa, che hanno sempre detto e pensato di essere “socialisti” e che corrono per diventare i prossimi leader delle potenze più importanti del mondo. E il fatto è che la cosa, numeri alla mano, è davvero possibile e un sacco di gente inizia a preoccuparsi. Tanta quanta continua a appassionarsi.
Tony Blair ha scritto un’accorata lettera aperta sul «Guardian» ai militanti e ai candidati alle primarie che si terranno in settembre: «The Labour party is in danger more mortal today than at any point in the over 100 years of its existence. Even if you hate me, please don’t take Labour over the cliff edge. Il partito è a rischio mortale in un modo che non ha mai neppure sfiorato in cento anni d’esistenza. Anche se mi odiate, vi prego, non portate il Labour oltre l’abisso».
Elisabeth Warren – ex docente di legge a Harvard, il senatore democratico che è diventato lo spauracchio di Wall Street, delle banche e della finanza, e che ha detto di no ai suoi sostenitori, anche di Occupy, che spingevano per una sua candidatura alle primarie democratiche americane del gennaio 2016 e ha sinora appoggiato apertamente la Clinton, perché Obama appoggia la Clinton – ha dichiarato: «Bernie’s out talking about the issues that the American people want to hear about. I love what Bernie is talking about. Bernie tira fuori questioni di cui gli americani vogliono sentire parlare. Adoro le cose che dice Bernie».
Blair è allarmato dalla scalata di Jeremy Corbyn, un outsider che adesso tutti i sondaggi danno come possibile vincitore. La Warren sta parlando di Bernie Sanders, un outsider, senatore “socialista” del Vermont, che potrebbe scombinare tutti piani della Clinton.
Nella sua lettera aperta, Blair arriva a citare Michael Foot, Tony Benn, Neil Kinnock, tutti leader della sinistra socialista – di matrice trotzkista, massimalista, sindacalista radicale -, tutti sempre regolarmente sconfitti dai Tories e da quel “mostro” che fu la Thatcher, esaltando la loro competenza, serietà e rigorosità a confronto dell’inetto Jeremy. Anche se fu proprio “asfaltando” questa storia di sinistra del Labour che il giovane Tony arrivò alla segreteria del partito – da lui ribattezzato New Labour, dal 1994 al 2007 – e poi al governo – dal 1997 al 2007: il decennio d’oro in cui la finanza internazionale ballò la samba e faceva il Carnival de Rio a Londra, dato che le trattenute fiscali erano irrisorie, facendone uno dei centri mondiali della globalizzazione. Il periodo in cui “il mondo di sinistra” blaterava di “terza via” – che sembrò soprattutto una indicazione di Exit grande così mentre la casa prende fuoco per tutti quelli che erano stati socialisti e comunisti e non sapevano esattamente che pesci pigliare dopo la Caduta del muro e adesso pensavano fosse venuto il tempo di buttarsi a capofitto dentro il capitalismo, senza se e senza ma. Insomma, per parlare di noi italiani, il periodo in cui Palazzo Chigi, dove sedeva D’Alema e il suo think tank dei Lothar, veniva definito una “merchant bank”.
La Warren e Bernie hanno firmato un patto, che se Bernie va avanti, con l’appoggio dei sostenitori della Warren, allora lui si batterà per ripristinare il Glass-Seagall Act, la legge bancaria che fu firmata nel 1933 dopo la grave crisi finanziaria del 1929, quella della Grande depressione, quella quando nel giovedì nero si buttavano dai grattacieli, come sarebbe accaduto l’11 settembre. Il Glass-Seagall Act aveva due articoli: il primo garantiva i depositi e preveniva la corsa agli sportelli nel caso di crisi, quella “profezia che si avvera” che si poté osservare da noi appena la crisi americana del 2007, dopo il fallimento della Lehman Brothers, si riversò sull’Europa, con le fila alla Northern Rock; il secondo era l’introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento, in modo da mettere al riparo l’economia reale dalle eventuali crisi cicliche dell’economia finanziaria. Sapete chi abrogò il Glass-Seagall Act, dando inizio alla madre di tutte le porcherie della finanza? Fu Bill Clinton, una delle icone della “terza via”.
Il Vermont è piccolo, forse il più piccolo degli Stati americani, e ha il clima di Mosca e Stoccolma, per capirci. Sta incastonato tra il Canada, il Massachusetts e il New Hampshire. È storicamente progressista, il primo a abolire la schiavitù, il primo a far coltivare la cannabis, il primo per i matrimoni gay, o all’incirca. È il posto dove i candidati democratici vincono sempre – anche se sono pochini pochini i grandi elettori: per capirci è dove Obama prese il miglior risultato nell’elezione del 2008. Se vi stuzzica un po’ e avete tempo, leggetevi Vermont di David Mamet – sceneggiatore di film leggendari, tra i quali Americani – che ha lasciato New York e è andato a vivere lì. Bernie Sanders è uno che viene dai movimenti studenteschi dell’università di Chicago e dalle lotte per i diritti civili. Ci ha provato a farsi eleggere governatore, con il Vermont Progressive Party, ma non ce l’ha fatta. È stato sindaco di Burlington, la cittadina più grande del Vermont, e poi, invece è entrato in Senato, nel 2006, e è stato rieletto nel 2013 con il settanta per cento di voti, mica bruscolini. Si è sempre battuto contro le differenze salariali, per l’estensione dell’assistenza medica, per i diritti della comunità Lgbt, contro le restrizioni alle libertà civili causate dalle leggi contro il terrorismo, come il Patriot Act. Soprattutto si è sempre schierato per una riforma delle leggi che riguardano la finanza. E qui viene il patto con la Warren.
Jeremy Corbyn è un signore barbuto di sessantasei anni, che veste in maniera estremamente semplice e dimessa, vegetariano, militante socialista da sempre, uno che arriva in bicicletta agli incontri per la campagna elettorale, uno – per spiegarlo – che si separò dalla moglie quando questa aveva deciso di mandare il figlio alle scuole private anziché pubbliche. All’ultimo incontro-scontro tra candidati alla premiership del Labour, le primarie che si terranno a settembre, ha preso il cinquantatré per cento delle intenzioni di voto; il secondo ne ha preso trentadue. Lo appoggiano giovanissimi, che anzi si iscrivono al partito per la prima volta, proprio per spingerlo, e i vecchi radicali, quelli che ancora si mordono le mani per aver dato per dieci anni il partito a Blair, e cercano la rivincita. Il suo programma si può raccontare così: proprietà pubblica delle ferrovie e dell’energia, un progetto di investimenti pubblici per aiutare la crescita e ridurre il deficit, nuovi edifici a scopo abitativo e controllo degli affitti, paga minima salariale uguale per tutti senza differenza d’età, e via discorrendo.
Corbyn e Sanders hanno in comune questa sorta di naiveté, di innocenza – oltre all’essere presi di mira da tutto l’establishment dei rispettivi partiti. Sinora questo candore è passato come un messaggio contro i “professionisti” della politica. Jeremy è uno di noi. Bernie è uno di noi.
Può sembrare curioso che un messaggio “dal lontano passato”, da quando il lavoro era indifferenziato, da quando la paga salariale era di fame, da quando le condizioni dei diritti erano vicino allo zero carbonella, da quando c’era “un sole dell’avvenire”, torni di attualità adesso. E magari è vero che i discorsi di Corbyn e Sanders sono marginali e le loro speranze di rappresentare un’autentica leadership nazionale sono uguali a quella di indovinare il numero della lotteria vincente.
Però, hai visto mai avesse ragione il vecchio Marx?
Nicotera, 18 agosto 2015