A giugno si sono registrati 22mila occupati in meno rispetto a maggio e 40mila in meno rispetto allo stesso mese del 2014. Lo rileva l’Istat nei dati provvisori sull’andamento del mercato del lavoro. L’Istituto spiega che il numero di disoccupati aumenta dell’1,7% (+55 mila) su base mensile. Nei dodici mesi il numero di disoccupati è aumentato del 2,7% (+85mila) e il tasso di disoccupazione di 0,3 punti percentuali.
Ora, ci vuole un certo stile nel tirare calci ai dati, nel rovesciare la frittata. Nel prenderti per il culo, se proprio vogliamo usare un linguaggio accademico. Ecco, al signor Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, questo stile manca. Commentando i dati diffusi ieri dall’Istat, il Taddei ha detto: «Non utilizziamo il dato sul numero degli occupati di giugno per un dibattito strumentale sugli ammortizzatori sociali. Nelle economie avanzate gli aumenti dell’occupazione seguono con un ritardo di sei mesi la crescita economica. Il processo di riforma è difficile ma anche profondo e strutturale, non perdiamoci a discutere di altro». ‘A Tadde’, e va bene che stai lì a buscarti la pagnotta, sei giovane, ambizioso e duttile – proprio le doti che colpirono Renzi che lo mise a capo di un tris di teste d’uovo composto da lui, Marianna Madia e Davide Faraone – e devi suonare il violino per il tuo boss, però non è che si può strologare più di tanto: il problema è che alla ripresa della crescita nelle economie avanzate non segue “automaticamente” un aumento dell’occupazione. È questa la sfida strutturale delle nostre economie. E basta guardare agli Stati uniti, che sono ormai fuori dalla crisi finanziaria devastante del 2007, che hanno ottimi segni di ripresa economica, ma che faticano a far lievitare i numero degli occupati, che comunque crescono, e sanno che ci vogliono “politiche mirate”, politiche sociali. Investimenti, infrastrutture, spesa pubblica. Non è che bisogna essere Keynes per arrivarci. Ma sono parole che in Europa, frastornata dall’ordoliberalismo tedesco, suonano come una bestemmia, come se uno dichiarasse che le radici del continente non sono giudaico-cristiane ma mesopotamiche.
Per dire, uno che un certo stile ce l’ha è il ministro Poletti. Poletti, commentando i dati Istat, ha detto: «I numeri di giugno confermano che siamo di fronte a dati soggetti a quella fluttuazione che caratterizza una fase in cui la ripresa economica comincia a manifestarsi. Il tasso di occupazione resta sostanzialmente invariato».
È il trionfo dell’ovvio governativo. Il maestro è lui in persona, Matteo Renzi: «Il dato complessivo dell’occupazione continua ad avere aspetti positivi e negativi». Fantastico. E quali sono quelli positivi?
Ecco, la buona notizia è che quelli che si erano stravaccati sui divani, quelli che avevano deciso che manco morti sarebbero andati in giro ancora a chiedere lavoro, quelli che poco ci manca che si attaccano alla canna del gas, ecco, quelli, si sono alzati e si sono trascinati fino a qualche ufficio vicino casa, a qualche agenzia del lavoro, a qualche centro per l’impiego, a chiedere: «C’è qualcosa?» No, nulla, ripassi.
Però, ecco si sono trasformati da inattivi a disoccupati, meraviglie delle statistiche, e questo spiega perché i disoccupati sono aumentati, e pure perché gli inattivi sono diminuiti. La buona notizia sarebbe che il lavoro «è un problema di fiducia», e se stai stravaccato sul divano non è che mostri tanta fiducia nel governo. Però se alzi il culo e vai a vedere se c’è il lavoro, pure che lavoro non se ne trova, tu mostri fiducia. E il governo è contento. La chiamano «partecipazione al mercato del lavoro».
Questo governo è straordinario. Straparla, suona la grancassa e trasuda felicità e sicurezza se per un mese o un trimestre, magari per ordini congiunturali, c’è un aumento del Pil dello 0,3. Ma se lo stesso identico dato, ha il segno meno – come è il dato sull’occupazione –, stiamo lì ancora a discuterne? Allora, siete prevenuti, gufate?
Beh, ciao core, ci rimettiamo sul divano. Quando arriva il lavoro, mandateci una cartolina. Come si faceva una volta per gli arruolamenti nell’esercito.
Nicotera, 31 luglio 2015