L’altro giorno, un amico a cui confidavo di trovarmi in “profondo rosso” sul conto corrente mi ha detto: «Puoi sempre dichiarare default, era il piano B di Varoufakis». Sono rimasto interdetto.
Dopo lo stress mediatico del braccio di ferro tra l’Europa del rigore e la Grecia del referendum, quello che è rimasto nel setaccio della comunicazione quotidiana – quando fai chiacchiere e ti dai alle confidenze momentanee – è che i greci sono diventati i paria d’Europa, una sorta di linea di galleggiamento. Sopra di loro, anche poco, va ancora bene. Sotto di loro, è l’inferno. Proprio come fossero il galleggiante dello sciacquone, se tiene, è tutto a posto; se molla, è un continuo fluire d’acque giù per lo scarico.
Succede così, che dal Rapporto Svimez 2015 sull’economia del Mezzogiorno i titoli dei giornali, rincorrendosi l’un l’altro con poche varianti, abbiano condensato questo: «Sud Italia peggio della Grecia». Il galleggiante dello sciacquone s’è rotto, il Meridione precipita nello scarico.
Poco conta che la “citazione” sia solo un passaggio – «si nota chiaramente come l’Italia sia il Paese che negli anni 2000-2013 abbia fatto registrare la minore crescita cumulata, inferiore anche a quella della Grecia» – in cui ci si riferisce all’Italia tutta riguardo a una serie di paesi presi in considerazione, e su una serie di annualità (i primi anni Duemila, la Grecia sembrava correre, poi però quando il Fondo monetario chiese i registri ci si accorse che c’era della “creatività” nei numeri che venivano diffusi). Nel resto del Rapporto, quando si parla di Grecia, e di Spagna, Portogallo e altri paesi si mette in evidenza come ci siano economie più forti che danno segni di uscita dalla crisi, e comunque di una maggiore resistenza e adattabilità, e altri ancora molto distanti. Tra “gli altri”, ci siamo noi, la Bulgaria, la Lettonia, e «soprattutto» la Grecia.
Il paragone con la Grecia conta poco. Conta piuttosto la “storia” di noi stessi, di quello che eravamo e di quello che siamo diventati. È di questo che parla il Rapporto dello Svimez. «Il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso almeno dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat». Ecco che dice il Rapporto, parla di come eravamo nel 1977, l’annus horribilis, e di come siamo oggi. Noi, non i greci. «In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2014 è sceso al 53,7 percento del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi». Nel 2000 eravamo così così, tra Sud e Nord, oggi noi valiamo il cinquanta percento. Sta parlando di noi italiani, non dei greci. «Il tasso di disoccupazione arriva nel 2014 al 12,7 percento in Italia, quale media tra il 9,5 del Centro-Nord e il 20,5 del Sud. Nel 2014 i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unità, tutti concentrati nel Centro-Nord (133mila), mentre il Sud ne ha persi 45 mila». E ancora: «A livello di regioni il divario tra la più ricca, Trentino Alto-Adige con oltre 37mila euro, e la più povera, la Calabria con poco meno di 16mila euro, è stato di quasi 22 mila euro, in crescita di 4 mila euro in un solo anno». Parla di Calabria, di Trentino, Italia, mica del Peloponneso.
La forbice tra Nord e Sud non è mai stata così divaricata, lo Svimez parla di una “soglia psicologica” per quanto riguarda la disoccupazione, che si è ormai superata. Tutti gli indici, nel rapporto tra Nord e Sud tendono a distanziarsi. Donne e giovani, per dire: al Sud lavora solo una donna su cinque. Nel 2014, a fronte di un tasso di occupazione femminile medio in Europa del 64%, il Mezzogiorno è fermo al 35,6 per cento. Per quello che riguarda i giovani, Svimez parla di una «frattura senza paragoni in Europa»: il Sud negli anni 2008-2014 ha perso 622mila posti di lavoro tra gli under 34 (-31,9%) e ne ha guadagnati 239mila negli over 55, con un tasso di disoccupazione under 24 che raggiunge il 56%. Povertà, per dire: la regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%). Produzione, per dire: dal 2008 al 2014 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 34,8% del proprio prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-59,3%), e nel 2014 la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stata pari al Sud solo all’8%, mentre al Centro-Nord del 17,9%.
Altro che Grecia. Questo è lo Sri Lanka dopo lo tsunami del 2011. Il Rapporto ricorda anche come in tutta Italia non si facciano più figli: «Nel 2014 il numero dei nati nel Mezzogiorno, così come nell’Italia nel suo complesso, ha toccato il valore più basso dall’Unità d’Italia: 174mila». Al Centro-Nord la natalità è dell’8,2 per mille, al Sud dell’8,3 per mille. Questo è l’unico dato in cui stiamo vicini.
Se tu parli di diseguaglianze che aumentano salta sempre su un furbacchione e ti racconta la favoletta per cui quando l’economia va bene i ricchi diventano più ricchi ma i poveri diventano meno poveri, e se la forbice si allarga non è poi un gran male; mentre se si entra in depressione, i ricchi diventano meno ricchi e i poveri più poveri, e la forbice si avvicina, solo che di sicuro è meglio la prima e non la seconda.
Il Rapporto 2015 dello Svimez fotografa una situazione che chi ha a cuore il Sud – come questo giornale e chi vi collabora – descrive e denuncia da anni. È la «desertificazione», per citare lo Svimez, la piaga del Sud, quella in cui cresce criminalità e indolenza, corruzione e rassegnazione, rinuncia e apatia. Quella in cui proliferano “anime nere”. È curioso che lo Svimez citi, come riferimento storico, l’Unità d’Italia di centocinquant’anni fa. Centocinquant’anni fa, nel Sud c’era la guerra al brigantaggio.
Lasciamo stare la Grecia e i greci, e badiamo ai guai nostri. Anzi, no. Averceli noi, al Sud, la fierezza, l’orgoglio, la compostezza dei greci. Avercela noi, al Sud, una classe dirigente politica capace di sfidare e battersi contro il cinismo del Nord.
Nicotera, 30 luglio 2015