E così, Renzi non ha staccato la spina a Marino. Avrebbe potuto, e forse lo avrebbe pure voluto. Ma farlo mentre il mondo ti urla contro – ieri «Le Monde», l’altro ieri il «New York Times», non passa giorno che la stampa internazionale non spari contro il grande degrado di Roma, come si sentissero delusi, piccati di avere voluto così tanto bene alle immagini de La grande bellezza di Sorrentino –, non è politicamente una gran mossa. E farlo mentre tutti chiedono la testa di Marino – e i grillini, e quelli con Salvini e la Destra – sperando di diventare gli utilizzatori finali della Grande crisi romana, è molto rischioso.
Marino è da oggi sotto tutela diretta del governo. E questo è per Renzi un buon risultato politico. Dopo Rosario Crocetta – un’anomalia autonoma, contro un Pd in guerra per bande – che riceverà, dopo aver fatto tutti i salamelecchi del caso e omaggiato Renzi, una buona fetta di denari per salvare la sanità siciliana e l’isola tutta dal default, ora rientra anche l’anomalia di Marino: senza l’apporto del governo, la “creatività finanziaria” del nuovo assessore al Bilancio non potrebbe nulla. Renzi recupera al controllo due situazioni amministrative “per conto proprio” – e due granai elettorali. A Milano – un’altra anomalia –, Pisapia ha già detto che non si ricandiderà e, queste sono le voci, se invece lo farà accadrà perché glielo chiede il governo. In un mese cruciale, Renzi riporta a casa sua dei randagi. Forse l’uso del governo non starà dando grandi risultati sul piano della crescita, dello sviluppo, del superamento della crisi, però almeno gli sta dando l’occasione di diventare davvero l’uomo forte del Pd. Poi, un giorno si voterà, forse.
Certo, lo hanno aiutato molto Pignatone, procuratore capo di Roma e gran maestro dell’inchiesta Mafia Capitale, che aveva assolto Marino con formula dubitativa, e il settimanale «l’Espresso», con le sue intercettazioni a boomerang. A chi verrebbe mai in mente di dire che Pignatone e «l’Espresso» si siano mossi “per conto” di Renzi? Sono poteri “autonomi e indipendenti”, no?
Crocetta fa già programmi fino al 2017, Marino, ieri, ha detto cose fino al 2019. Lo sanno entrambi che ci vuole un attimo, e potrebbero finire in allarme rosso, in coma profondo. Se mancasse l’ossigeno, metti.
D’altra parte, e il siciliano e il genovese adottato da Roma, meritavano davvero di non finire nella polvere in quel modo indecente. Che abbiano un’altra chance. Così, ieri Marino ha presentato la nuova giunta, anzi la nuova “squadra” come gli piace dire: entrano Marco Rossi-Doria, già sottogretario, alla Scuola, una cosa che conosce davvero bene; Luigina Di Liegro, nipote del famoso sacerdote della Caritas e già assessore regionale, al Turismo; Marco Causi, che ha già fatto con una buona dose di “creatività” questo stesso mestiere con Veltroni e eredita una poltrona da cui sono scappati via già due assessori, al Bilancio; e il senatore Esposito, noto per i suoi trascorsi pro-Tav e da qualche tempo commissario Pd al litorale di Ostia, ai Trasporti.
Il senatore, uomo determinato, ha già fatto sapere che non intende dimettersi dal Senato e che riuscirà a ottemperare al suo impegno. Ha chiesto novanta giorni per poter entrare nella parte, ma promette già di “ridurre i disagi dei cittadini”. Marino ha parlato di nuovi autobus, di strade presto asfaltate. Insomma, la squadra è pronta e vuole mettersi al lavoro. Vuole governare, come ha chiesto Renzi.
Sel intanto se n’è tirata fuori. Non si capisce perché: alla fine, paga Luigi Nieri, messo nel tritacarne dell’inchiesta di Pignatone, che si è dimesso da vicesindaco – e grandi parole sul “gesto nobile” gli sono arrivate da Marino, come da Vendola – ma Sel non entra in giunta.
Il problema ora è questo per Marino. La “percezione” che stia sul filo del rasoio non è solo politica. Roma sembra davvero ormai sfilacciata, socialmente parlando – e tutta la buona volontà dei Gassmann non ce la farebbero a riconnetterla. Governare una città così frammentata, se sei percepito “debole” politicamente non è come avere delle buone carte in mano.
Auguri.
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