Paula Cooper, dal braccio della morte a un colpo di pistola in testa

PAULA-COOPERAveva fruttato dieci dollari quella rapina. Dieci dollari da dividere in quattro. E una vecchia automobile scassata. Dieci dollari e una vecchia automobile scassata, questo era tutto quello che erano riuscite a portarsi via. Per quei dieci dollari e quella vecchia automobile scassata – una Plymouth del 1976 –, Paula Cooper aveva colpito trentatré volte con un coltello. Un coltello lungo venticinque centimetri, un coltello da macellaio. Trentatré coltellate a Ruth Pelke, un’anziana donna di 78 anni che insegnava la Bibbia.
È il 14 marzo del 1985. Paula e le sue amichette – Denise Thomas, 14 anni, Karen Corder, 16 anni, e April Beverly, 15 anni – avevano saltato la scuola, s’erano bevute quello che avevano potuto e avevano fumato quello che avevano trovato. Erano ragazze cattive, di quelle che non vanno in paradiso. A un certo punto decisero di andare a prendersi i soldi a casa della Pelke. La Pelke era una loro vicina, loro la conoscevano, si conoscevano tutti, in quella parte di Gary, Indiana. È difficile che vai in paradiso se nasci e vivi in quella parte di Gary, Indiana. A meno che non insegni la Bibbia, come Ruth Pelke.
Una volta Gary era una capitale dell’acciaio. Una volta a Gary la popolazione arrivò fino a duecentomila persone, venivano da ogni parte per entrare in fabbrica. Una volta, nel 1919, a Gary ci fu una rivolta degli operai dell’acciaio contro i grandi padroni delle ferriere, e venne imposta la legge marziale. Una volta. Poi l’acciaio cominciò a declinare e pure Gary cominciò a declinare. La popolazione si ridusse di più della metà. Da Gary si andava via, non si arrivava più. Intere zone vennero abbandonate, la città si divise in due, quella dove ancora si lavorava e quella dove si concentrava la criminalità, l’illegalità. L’inferno.
Suonarono. La Pelke aprì. Le ragazze dissero che volevano imparare la Bibbia. I profeti e quelle cose lì, la Genesi e quelle cose lì. La Pelke le fece entrare. La Pelke faceva entrare chiunque volesse imparare i Profeti e la Genesi. Non appena l’anziana donna si girò, la colpirono con un vaso da fiori in testa. La Pelke cadde tramortita. E fu a quel punto che Paula tirò fuori il suo coltellaccio da macellaio e cominciò a colpire, a colpire, a colpire. Perché dicesse loro dove erano i soldi. Al petto, allo stomaco, dove capitava. Poi rovistarono la casa in cerca di gioielli, di soldi, di tutto quello che potesse valere qualche dollaro. È difficile che ci sia qualcosa che valga qualche dollaro in casa di un’anziana donna che vive in quella parte di Gary, Indiana, e per tirare avanti insegna la Bibbia. Trovarono quei dieci dollari e la chiave della Plymouth del ‘76. Trentatré coltellate per dieci dollari e una vecchia automobile scassata. Non era proprio un grande affare.
Quando le presero tutte e quattro, le portarono dritte davanti al tribunale. L’accusa si concentrò su Paula. La “ragazzina assassina” era il capo banco. Era una disadattata sociale senza speranza di redenzione, così disse l’accusa. Il pubblico ministero fu spietato. In quegli anni, si costruivano grandi carriere politiche con i processi in cui ci si mostrava inflessibili. E quell’assassinio era brutale. L’avvocato difensore – uno d’ufficio, chi poteva pagarsi un penalista? – provò a snocciolare l’infanzia terribile della Cooper: era stata abusata sessualmente, aveva assistito allo stupro della madre. Niente sembrò smuovere la corte di Lake County, Indiana. All’epoca dell’omicidio della Pelke la Cooper aveva quindici anni. Quando venne condannata a morte, l’11 luglio del 1986, ne aveva sedici. Alle altre diedero dai venti ai sessant’anni di carcere. Così aveva deciso il giudice Kimbrough. Paula Cooper entrò nel braccio della morte della prigione femminile di Indianapolis. Aspettava di andare a friggere sulla sedia elettrica.
Il fatto è che in Indiana potevi andare sulla sedia elettrica pure se avevi quindici anni, e pure se ne avevi quattordici, e pure se ne avevi tredici. In Indiana, potevi andare sulla sedia elettrica, purché avessi compiuto dieci anni. Questa era la legge dell’Indiana.
Ci fu una mobilitazione. L’assassinio era stato orribile, ma quella legge lo era ancora di più. L’avvocato Monica Foster lanciò una campagna di opinione, che ebbe una grande eco in Europa. Furono raccolte due milioni di firme, perché l’esecuzione venisse sospesa, e furono mandate ala Suprema Corte dell’Indiana. Anche papa Giovanni Paolo fece un appello al governatore dell’Indiana. Un milione di firme furono mandate alle Nazioni unite.
L’avvocato Foster fece appello. Intanto il giudice Kimbrough morì, e tutto si rallentò, mentre che si sceglieva il suo sostituto. Nel 1987, l’Assemblea generale dell’Indiana decise di alzare l’età in cui si poteva essere condannati a morte dai dieci ai sedici anni. Specificò che la sentenza non era retroattiva, e quindi non poteva essere applicata a Paula Cooper. Anche la Suprema Corte degli Stati uniti decise che l’età minima in cui si poteva essere condannati a morte doveva essere di sedici anni al momento del crimine. Entrambe queste decisioni spinsero la Corte dell’Indiana a rivedere la sentenza della Cooper, commutandola in una condanna a sessant’anni di carcere. Il «New York Times» scrisse che era una sentenza coraggiosa e che fosse un fatto “medievale” che potessero essere uccisi bambini di dieci anni. Non so perché fosse meno medievale che potessero essere uccisi a sedici anni. Era il 1989. Paula Cooper iniziava i suoi sessant’anni in prigione.
La legge dell’Indiana dice che per ogni giorno di buon comportamento in prigione guadagni un giorno sulla tua sentenza. La Cooper si mise a fare la brava. Non credo potesse fare altro. Si mise a studiare. Giurisprudenza. Le carceri americane sono piene di avvocati.
La Cooper fu rilasciata il 17 giugno del 2013, dopo avere passato ventisei anni, tre settimane e tre giorni in carcere. Aveva quarantatré anni.
A aspettarla c’era il nipote di Ruth Pelke, Bill. Bill all’inizio aveva urlato la sua sete di vendetta. Voleva vederla friggere, Paula Cooper. Era andato davanti il carcere, era andato davanti il tribunale. Non era solo. Portavano cartelli e urlavano i loro slogan. C’è un sacco di gente che è convinta sia una cosa giusta uccidere una ragazzina assassina. Poi, nel 1987 si era convertito. Forse aveva preso una delle Bibbie di sua nonna e s’era messo a studiare i Profeti e quelle cose lì, la Genesi e quelle cose lì. Insomma, era passato dall’altra parte della barricata, di quelli – e sono tanti in America – che credono che sia una cosa orribile la pena di morte. Nel 2003 pubblicò un libro, Il viaggio della speranza, in cui spiegava il suo perdono a Paula Cooper. Era andata a trovarla in carcere, le disse che pregava per lei. Le raccontò delle sue iniziative contro la pena di morte, le disse che quando sarebbe uscita avrebbero lavorato insieme. Continuarono a restare in contatto, anche quando Paula uscì. Bill ora era in Alaska, per i suoi giri del Forgiveness Project, il progetto Perdono. La aspettava. La Cooper disse che sarebbe andata.
Bill Pelke era convinto che sua nonna sarebbe inorridita al pensiero dell’odio e della rabbia che s’erano scatenate contro la Cooper, e che l’avrebbe perdonata se avesse potuto. Disse che Paula voleva aiutare i giovani a evitare le insidie in cui era rimasta intrappolata. Disse che lei sapeva benissimo di avere fatto qualcosa di orribile alla società, e che tutto quello che voleva era provare a ridare indietro quello che poteva.
Tutta la forza spirituale di Bill non dev’essere bastata a Paula.
L’hanno trovata martedì fuori da un residence a Indianapolis. S’era tirata un colpo alla testa. La polizia parla di un evidente suicidio. Forse ha pensato che non c’era altro modo per restituire alla società quello che aveva tolto. Forse si sarà riunita con l’anima di Ruth Pelke e insieme avranno letto la Bibbia, lì dove il Levitico (24:19-20) dice: «Quando uno avrà fatto una lesione al suo prossimo, gli sarà fatto come egli ha fatto: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro».
Magari Ruth non era d’accordo e avrà provato a fermarla. Ma Ruth sta in paradiso. E le cattive ragazze come Paula stanno sempre all’inferno.

Nicotera, 27 maggio 2015

Questa voce è stata pubblicata in cronache e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...