Dal familismo amorale al moralismo sociale: perché vince il boldrinismo

A metà degli anni Cinquanta, un giovane e brillante professore americano di trentott’anni, Edward Banfield, un politologo, se ne venne da Chicago – dove era stato amico di Leo Strauss e Milton Friedman, il fior fiore di quella che sarà l’ideologia conservatrice repubblicana per tutti gli anni a seguire – in Basilicata. Se ne venne con la moglie, di origini italiane, Laura Fasano, e i loro due figli. E si fermarono per nove mesi. Nove mesi di “ricerca sul campo”. Quattro anni dopo, pubblicava, per la Free Press dell’Università di Chicago, The Moral Basis of a Backward Society. È il libro in cui formula il concetto di “familismo amorale”, come cardine di comprensione dell’arretratezza di una società. Attraverso lo studio di Montegrano (un nome inventato, dietro cui si celava la comunità di Chiaromonte), Banfield voleva dimostrare che certe comunità sarebbero arretrate soprattutto per ragioni culturali, per le loro regole “etiche”. La loro cultura, la loro “etica” presenterebbe una concezione estremizzata dei legami familiari che va a danno della capacità di associarsi e dell’interesse collettivo. Gli individui sembrerebbero agire come a seguire la regola: «massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo».
Benché non mancassero diverse critiche anche accademiche sia sulla qualità dello studio – insufficiente nelle descrizioni, debole nell’analisi, non generalizzabile a altre aree del Mediterraneo rurale senza la conferma di altri studi indipendenti – sia sul nucleo della teoria, il fattore culturale inteso come causa, il lavoro di Banfield ebbe un successo straordinario e divenne una sorta di “monumento interpretativo” del Meridione, di molte regioni dell’Europa del Sud e del Mediterraneo.
Seppure Banfield fosse convinto del contrario, il concetto di familismo amorale sembrò adatto a descrivere anche i processi durante il miracolo economico e quindi indicare un fenomeno niente affatto arcaico, capace di sopravvivere anche dopo la modernizzazione. A esso – insieme alla civicness o alla mancanza d’essa, di Putnam – si fece ricorso anche durante gli anni più recenti, nel “sorprendente” verificare come si fosse esteso alle altre regioni. Una nuova forma di mancanza di virtù civiche veniva individuata da sociologi e politologi proprio nelle regioni del Nordest a più alto tasso di sviluppo, dove si erano diffusi nuovi modelli di comportamento caratterizzati da egoismo, rancore, insofferenza alle norme, mancanza di solidarietà.
Il familismo amorale non era più una prerogativa del Meridione d’Italia – o dei meridionali in genere, ovunque risiedessero. Non era più condensabile nella battuta che nel Padrino Clemenza fa a Rocco Lampone che ha appena ammazzato a freddo in automobile Paulie Gatto, facendogli saltare le cervella: «Leave the gun. Take the cannoli / Lascia la pistola, prendi i cannoli», che glieli ha promessi alla moglie per il pranzo della domenica, e questa cosa, sacra è.
Ha finito col descrivere – almeno per un certo punto di osservazione – lo scarso senso di legalità, la cura del proprio particolare interesse, la disaffezione per la cosa collettiva, la mancanza di un senso dello Stato, propri del “carattere nazionale”.
È diventato perfino banale, vero o meno che sia, far risalire la responsabilità di questo alla mancata “riforma protestante”, ovvero alla persistenza e invasività del cattolicesimo, storicamente “nemico dello Stato” – e non solo fino al Risorgimento – e attento sempre al nucleo familiare come fondazione d’ogni senso di comunità.
È perciò stupefacente lo “slittamento” del senso comune pubblico degli ultimi anni, il giustizialismo spiccio, il civismo esibito e aggressivo, un vero e proprio rovesciamento dal familismo amorale al “moralismo sociale”. Una sorta di puritanesimo da New England dei Padri Pellegrini, da streghe di Salem, una cosa da Lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne.
Nell’un concetto, come nell’altro, è assente la politica; nell’un concetto – Banfield fu minuzioso in questa parte di descrizione dei comportamenti – come nell’altro, la politica, i politici sono i nemici.
È, in buona parte, il portato del lungo ventennio berlusconiano, del suo declino e del trionfo dell’antiberlusconismo, che ha “vinto” sul piano del moralismo, del bunga-bunga, delle olgettine, del Gran puttaniere, del comportamento da consegnare alla giustizia, perché “assolutamente pubblico” e quindi penalmente rilevante, per ristabilire il “decoro del Paese”. La delegittimazione del regime berlusconiano è passata attraverso la sfera della sessualità, esibita, svergognata, marchiata.
In un breve testo, titolato Il perturbante della sessualità, Cristina Morini scrive: «È un’Italia primitiva quella del Berlusconi processato per la sua condotta “amorale”. Più ancora dell’Italia anni Ottanta, plasmata sui valori del mercato, del denaro, del self made man, viene a galla l’immarcescibile Italia anni Cinquanta, un’Italia che sostiene la famiglia, la chiesa, i sani principi, suddivide tra il bene e il male, mentre la stampa mainstream butta dettagli piccanti in pasto al pubblico. Pubblico di guardoni e consenzienti, esempio contemporaneo di quel “consenso passivo” che connota la storia italiana».
Il moralismo sociale, con la sua appendice di giustizialismo, è qualcosa di diverso dal “politicamente corretto”. Anzi, ne è una sistematizzazione sul piano dell’agire pubblico. E dell’agire istituzionale. Mentre il “politicamente corretto” si limita al relativismo, a scartare di lato di fronte a ogni rigidità e rigorosità, a rimanere e riportare ogni conflitto comunque sul piano delle opinioni, sul piano del non-agire, il moralismo sociale “chiede” azione pubblica. Il diavolo è sempre tra noi, ma esporne il ludibrio al mondo gli farà sapere che noi non lo temiamo e siamo pronti. Le istituzioni della comunità si rafforzano attraverso la punizione esibita. È il nocciolo del “boldrinismo”, esemplificato a proposito della cancellazione del vitalizio a politici condannati a più di due anni – non me ne voglia il presidente della Camera, è un modo per dire, una metafora, un’allegoria. Si parla di cose simboliche.
Certo, forse non siamo davvero nel New England, ma questo puritanesimo, questo moralismo sociale è anche effetto della morte del cattolicesimo in politica. Da Woytjla in poi, la Chiesa si è concentrata sulla lotta globale contro il male del comunismo, prima, contro la finanziarizzazione e la povertà poi, perdendo di vista il suo terreno proprio, la politica italiana. La morte della Democrazia cristiana, sta tutta lì, proprio come per il comunismo, nel crollo del muro di Berlino nell’89. Sta nella fine della logica del compromesso nella società, nel pubblico, lasciando la lotta indefettibile tra bene e male solo al foro interiore, alla coscienza, al privato. È Todo modo di Sciascia – “Ogni mezzo per cercare la volontà divina”, come si dice negli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dell’Ordine dei Gesuiti –, il libro che ci parla ancora di queste cose.
In un testo del 1956, Furore Simbolo Valore, Ernesto De Martino scrive: «La vita religiosa tradizionale ha perso autorità nel mondo moderno, mentre la democrazia laica, con i suoi ideali mondani, non riesce a colmare il vuoto lasciato dalla religione e a sostituirsi a essa con forme istituzionali di efficacia sociale e psicologica equivalente… gli individui non trovano ancora nella società i modi adatti per partecipare attivamente all’esperienza morale che alimenta la democrazia laica, e per sentirsi protagonisti del suo destino».
Il “boldrinismo”, moralismo istituzionale, è scambiare l’esperienza morale della partecipazione alla democrazia laica, con l’acquiescenza verso il moralismo sociale – «Cinquecentomila cittadini ce l’hanno chiesto!». Non ne è la causa, certo, ma ne fa sistema. L’arretratezza della nostra società – il suo non essere al passo, l’aver ecceduto nel tempo, l’aver vissuto sopra i propri mezzi – sarebbe da colmare con l’asciuttezza moralista delle istituzioni.
Credo ci sia più d’un nesso tra il boldrinismo e l’incedere accelerato del presidente del Consiglio, Renzi, tra il moralismo e l’efficacia. Renzi, da fiorentino rottamatore della repubblica, savonaroliano, l’ha colto. La Boldrini, non saprei.

Nicotera, 8 maggio 2015

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