Il 21 aprile, sulla sua pagina facebook Gianni Morandi scrive il suo post del giorno: «A proposito di migranti ed emigranti, non dobbiamo mai dimenticare che migliaia e migliaia di italiani, nel secolo scorso, sono partiti dalla loro Patria verso l’America, la Germania, l’Australia, il Canada… con la speranza di trovare lavoro, un futuro migliore per i propri figli, visto che nel loro Paese non riuscivano ad ottenerlo, con le umiliazioni, le angherie, i soprusi e le violenze, che hanno dovuto sopportare! Non è passato poi così tanto tempo…».
Apriti cielo. Insieme a tanti bei pensierini – qualcuno forse un tantinello eccessivo: «Sei una speranza per la civiltà!» –, e parole di incoraggiamento, con tanti nomi di stranieri, dell’Est soprattutto, arriva pure una valanga di insulti. «Ma non diciamo minchiate – uno dei commenti cattivi – noi andando lì facevamo la fame nera… altro che albergo a 3 stelle e lamentarsi del cibo». E un altro: «Potevi risparmiartela questa uscita infelice. Gli Italiani emigravano per lavorare dove la mano d’opera era richiesta, non invadevano i continenti per farsi mantenere. Capito la differenza?» E ancora: «Si fa presto a parlare col portafogli pieno, caro Gianni. Accoglili nelle tue ville!»
La pagina facebook di Gianni Morandi ha un milione e duecentomila “mi piace”. È gestita in prima persona dal cantante, che quasi quotidianamente posta foto e “clippini”. Cose semplici, Morandi che corre a una mezza maratona, Morandi che compra le caramelle a una sosta in un autogrill, Morandi che mangia le orecchiette fatte in casa mandategli dalla signora Taldeitali. Lui sorride sempre. I suoi fan sorridono con lui, negli “autoscatti”. Non so quale possa essere un termine di paragone, ma per una star che ha già compiuto i settanta anni e continua a essere amato e seguito in questo modo, credo si possa parlare di un fenomeno.
I fan di Morandi hanno stilato una playlist dei suoi pezzi considerati i migliori, o forse meglio: i più amati. Prima classificata: Uno su mille, il pezzo che lo rilanciò dopo un decennio di crisi, dopo le contestazioni nei concerti, dopo la lunga traversata degli anni Settanta, 1985. Seconda classificata: In ginocchio da te, 1964. Terza: C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones. Quella che faceva: «Capelli lunghi non porta più / non suona la chitarra ma / uno strumento che sempre dà / la stessa nota ra-ta-ta-ta. / Non ha più amici, non ha più fans, / vede la gente cadere giù: / nel suo paese non tornerà / adesso è morto nel Vietnam».
Nel 2007 Vittorio Zincone gli fece un’intervista per «Magazine», e parlando proprio di quella canzone, Morandi raccontò: «La canzone non nasce per me. La melodia la portò un ragazzo, Mauro Lusini, al mio produttore, Franco Migliacci. Franco si mise lì e, in cinque minuti cinque, scrisse il testo e confezionò il brano. Meraviglioso. Pretesi di cantarlo. Migliacci diceva: “Ma tu che c’entri col Vietnam? Tu sei il cantante delle mamme”. Alla fine lo convinsi. Per fortuna». È il 1966, siamo ancora prima del Sessantotto. Fu davvero strano che una canzone come quella – scritta nei giorni della guerra in Vietnam – nel panorama melodico italiano, da un cantante che faceva i musicarelli, che andava a cento all’ora per veder la bimba sua, che chiedeva alla sua ragazza di farsi mandare dalla mamma a prendere il latte, riuscisse a sfondare in quel modo. Il “cantante delle mamme” portava il dolore del Vietnam nelle case degli italiani. Doveva essere anche straordinaria l’Italia in quegli anni, per accogliere così le cose.
Ricorda Alberto Piccinini che lo storico Guido Crainz ha notato una volta come in una delle sue canzoni si sottolinei bene il carattere pionieristico del “grande balzo” italiano negli anni Sessanta. Sembra un pensiero esagerato, però qualcosa di vero dev’esserci, per potersi spiegare perché il ragazzo di Monghidoro, Bologna, figlio di un ciabattino comunista in un paese dove vincevano i democristiani, che ogni mattina gli faceva leggere «tre metri» de l’Unità, e poi gli faceva incollare le tomaie, che andava in giro per balere a cantare e raggranellare i primi soldini, che si sposò giovanissimo con Laura Efrikian e dovette partire soldato e glielo fecero fare tutto e allora erano diciotto mesi, fosse così amato. Qualsiasi cosa facesse, canzoni, filmini, fotoromanzi,
Morandi disse una volta di sé che si sente come Forrest Gump, uno che attraversa la storia senza poterla determinare. È un pensiero intelligente, perché è un pensiero modesto. E forse è la chiave di lettura per capire perché, dopo la crisi degli anni Settanta, sia tornato nel cuore delle mamme e delle nonne. Qualsiasi cosa abbia fatto, dagli anni Ottanta in poi. Canzoni, televisione, il conduttore, la fiction.
Morandi risponde personalmente a tutti i messaggi sulla sua pagina facebook. A tutti. Sembra incredibile ma è proprio così. Da quando ha iniziato questa avventura nei social network ha fatto sempre tutto da solo, insieme alla moglie Anna. Nel 2014 lui e sua moglie stanno una notte e un giorno davanti al computer a leggere migliaia di commenti con i quali i fan suggeriscono una scaletta di canzoni per l’antologia natalizia in via di pubblicazione.
E così, si è messo di buzzo buono, e ha risposto con puntiglio a ogni commento velenoso dopo il suo post sui migranti. Senza perdere la calma, senza urlare. Come è lui, insomma. Ieri si è arreso, almeno per il momento: «Sono sorpreso dalla quantità di messaggi al mio post di ieri. Sto continuando a leggere ma penso sia impossibile arrivare in fondo… 14mila messaggi! Ho anche risposto ieri sera per un paio d’ore. Forse non mi aspettavo che più della metà di questi messaggi facesse emergere il nostro egoismo, la nostra paura del diverso e anche il nostro razzismo. A parte gli insulti, che sono ormai un’abitudine sulla rete, frasi come “andrei io a bombardare i barconi” o “sono tutti delinquenti e stupratori” oppure “vengono qui solo per farsi mantenere”, mi hanno lasciato senza parole… Magari qualcuno di questi messaggeri ha famiglia, figli e la domenica va anche a messa. Certamente non ascolta però, le parole di Papa Francesco… Ciao, sto andando vicino a Lecco».
Dopo cinquant’anni, il ragazzo che amava i Beatles e i Rolling Stones torna a stupirci. Che stia per succedere qualcosa di enorme, come per il Sessantotto, che attraverseremo senza poterlo determinare? O, forse, lui è rimasto sempre lo stesso, ma l’Italia è diventata un posto dove il “grande balzo” lo si va facendo all’indietro?
Nicotera, 22 aprile 2015