Milano: quei tredici spari per colpire al cuore il nemico

Tre morti e due feriti, uno molto grave: è questo il bilancio della mattina di terrore al Palazzo di giustizia di Milano. Una cosa che non si vedeva dai tempi di Notarnicola e Cavallero, negli anni Sessanta. Una cosa che non si vedeva dai tempi della banda Vallanzasca, negli anni Settanta. Una cosa che non si vedeva dai tempi di Francis Turatello, negli anni Ottanta. Una cosa che non si vedeva dai tempi del Tebano, di Angelo Epaminonda, negli anni Novanta. Tredici colpi di 7.65 per compiere una strage.
Claudio Giardiello, 57 anni, ha sparato dentro un’aula del terzo piano, nel corso del processo in cui si discuteva del fallimento dell’Immobiliare Magenta, di cui era socio di maggioranza. Appena il suo avvocato ha rimesso il mandato, si è alzato e ha iniziato a sparare. Prima ha colpito il suo ex avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani, che nel processo era testimone; poi, Giorgio Erba, suo coimputato nel processo. Poi è sceso di un piano e è entrato nell’ufficio del giudice Ferdinando Ciampi, che avrebbe dovuto testimoniare contro di lui, e gli ha tirato contro due colpi. Si è nascosto, ha aspettato, è uscito, ha preso la moto e si è diretto a Vimercate. Secondo gli investigatori, Giardiello voleva colpire ancora, a Vimercate vive un suo ex socio. È lì che l’hanno fermato. «Volevo vendicarmi di chi mi ha rovinato», avrebbe detto ai carabinieri, subito dopo la cattura. Prima che gli pigliasse un coccolone e svenisse.
Forse sarà entrato dall’ingresso di via Manara, quello riservato ai magistrati, agli avvocati e agli ammnistrativi del tribunale, che non si passa il metal detector e si mostra soltanto un tesserino. Forse è entrato col suo avvocato, uno mostra il tesserino e l’altro che sta con lui – che si suppone sia un suo collaboratore e quindi uno fa garanzia per l’altro – si imbuca. C’è una routine quotidiana, se sei un avvocato o fai il cancelliere entri tutti i santi giorni e pure se cambiano gli addetti alla sicurezza finisci col conoscerli tutti: «Buongiorno, avvocato». E quello si imbuca. Si sarà messo seccante con il suo avvocato – allora, mi raccomando, avvocato, ci vediamo all’angolo, prendiamo un caffè e poi entriamo insieme –, e quello pur di toglierselo di torno, che seccante era seccante, e tanto avrebbe rimesso il mandato e si toglieva dalle scatole sta camorrìa, avrà detto di sì. Oppure, ha rischiato grosso e è entrato con un tesserino falso, forse ci aveva già provato e era andata bene, ti metti un vestito buono e provi. A fare un tesserino falso ci vuole poco, e poi lui s’è imparato bene, frequentando avvocati e aule di tribunale. Il Palazzo di giustizia sembra conoscerlo come le sue tasche. Un testimone ha detto: «Aveva una borsa, giacca e cravatta, poteva passare per un avvocato». È quello che deve aver pensato Giardiello. S’è messo una cravatta gialla, che a Milano deve fare avvocato.
C’era in quello stesso momento la riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza con nientepocodimeno che il ministro dell’Interno, Alfano, che si discuteva di come bisogna intensificare i controlli che fra qualche giorno comincia l’Expo e quella è una calamita, come il miele per le mosche, per i terroristi. Tutto il mondo dei terroristi starà discutendo di come fare un qualche cazzo di sbrasata grande all’Expo a Milano, e allora si riuniscono tutti i comandanti delle Armi, e c’è la polizia, e i carabinieri, e la guardia di finanza, e mitra spianati e tiratori scelti sui tetti e i cani, non dimentichiamo i cani che quelli trovano l’esplosivo.
Poi, c’è un omino che il cervello gli è andato in papa e ha maturato una vendetta contro tutta la giustizia del mondo che lo ha rovinato e ha deciso che si deve vendicare di tutti quelli che gli hanno fatto male. E si organizza. Perché una pistola ce l’ha e la tiene a casa regolarmente e forse ha pure qualche caricatore che gli avanza e se li porta dietro. E quest’omino non può fermarlo niente, né tutti i mitra spianati del mondo né tutti i metal detector né tutte le armi di polizia e neppure i cani che sanno trovare l’esplosivo che lo fiutano da lontano.
Perché questo è il terrore con il quale dovremo convivere, che ci farà piangere lacrime di sangue e ci porterà lutti e dolore. Non ha una bandiera nera alle spalle, non ha un asciugamano in testa, non blatera in nome di una qualche religione, non porta la barba lunga e le babbucce. No, è il nostro vicino di casa a cui il cervello è andato in pappa. Porta borsa, giacca e cravatta, e può passare per un avvocato. E odia a morte il caporeparto che forse lo vuole licenziare oppure l’amministratore del condominio che non gli ha fatto chiudere la verandina sul balcone oppure i commessi del grande magazzino che gli hanno dato la mutanda di taglia sbagliata, che lui gliel’aveva detto che è ingrassato e forse ci vuole la sesta e gli fanno fare una figura di merda, solo per divertirsi alle sue spalle.
I cani non lo sanno che cos’è un’implosione. E se per quello neppure i metal detector. E così noi ci mettiamo di vedetta nei nostri fortini, aspettando che arrivino i barbari coi loro cammelli e le loro scimitarre, e ci prepariamo a un lungo assedio, mettiamo i sacchetti di sabbia e le mitragliatrici coi treppiedi, perché ogni società elabora una teoria del nemico, che è questa che la tiene assieme, sapere chi saranno i predatori e poterli riconoscere da lontano e farli fuori se si avvicinano troppo. E la nostra teoria del nemico è già bell’è pronta, e ha una scia lunga lunga che parte da lontano, che arrivano dal mare, come fossero ancora i feroci saracini e non milioni di sventurati per fame e per guerre, e stanno nelle nostre strade, nei nostri quartieri e cucinano cibi che ci fanno vomitare – hai voglia a organizzare l’esposizione mondiale del cibo – e li alleviamo e li facciamo studiare e poi ci si rivoltano contro, vade retro, tornatevene nei paesi vostri.
Poi, invece c’è l’implosione. Poi, arriva il signor Giardiello Claudio, che non è Francis Turatello, non è Angelo Epaminonda detto il Tebano. È il proprietario della Immobiliare Magenta, sita in via Magenta, Milano, rispettato membro della nostra comunità – sì, beh, ha qualche fallimento, ma chi non ce l’ha – e fa una strage. E nessuna intelligence del mondo, nessun monitoraggio dei siti jihadisti che ci minacciano un giorno sì e l’altro pure che vengono a farci il culo, niente potrebbe mai aver individuato Giardiello Claudio. Ve l’ha fatto lui, il lavoro sporco, jihadisti del cazzo. Noi ci ammazziamo da noi, jihadisti del cazzo.
Che scacco, signor ministro. Avete tanta paura che vengano gli antagonisti dei centri sociali a sporcarvi la vostra bella facciata linda e pinta, che vengano a urlare i loro slogan contro un mondo di merda e la parata del piffero, che vengano a tirare qualche uovo – rigorosamente e direttamente dal culo della gallina a terra – e poi un tal Giardiello Claudio mostra che tutto si regge solo su una fragile linea di avamposto. Il procuratore Bruti Liberati filosofeggia: «Di fronte a un gesto isolato le difese difficilmente possono essere assolute». Già, perché cosa ci si aspetta che arrivi la carica dei Sioux a cavallo?
Il nemico viene sempre da fuori. Ci sono quattro metal detector al Palazzo di giustizia, e stando a quanto viene riferito dalle fonti ufficiali tutti perfettamente funzionanti. Servono a impedire che “da fuori” qualcuno porti un’arma dentro. Poi c’è l’ingresso laterale, quello per il “dentro”. E lì non ci sono metal detector, perché sono “i nostri”, magistrati, avvocati, segretarie, cancellieri. E chi lo dice che a un magistrato non vada il cervello in pappa, o a un avvocato o a un cancelliere?
È un giorno di lutto e non ci si mette a fare polemiche. E poi, certo, il punto non è che dobbiamo diffidare di ognuno e passare allo scanner ognuno, ovunque. Il punto è che la nostra idea del nemico è proprio sciocca. E, soprattutto, non serve a nulla. Quanto meno non è servita a fermare Claudio Giardiello.

Nicotera, 9 aprile 2015

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