Dal sito “Viaggiare informati” del Centro di Coordinamento Informazioni sulla Sicurezza Stradale – la centrale operativa che diffonde notizie in tempo reale sulla situazione delle strade attraverso Onda Verde, Isoradio e cose così – si può leggere per quanto riguarda il 4 marzo, ieri cioè: «Ore 11:44, A3 Salerno-Reggio Calabria, regolazione traffico con chiusura ad intermittenza causa lavori tra Bagnara Calabra (Km. 412) e S. Elia (Km. 408,2) in direzione Salerno dalle 14:30 del 05 mar 2015 alle 15:30 del 05 mar 2015 dal km 411+643 al km 411+504 operazione di pilotaggio della durata massima di 20 minuti. Ore 11:11, A3 Salerno-Reggio Calabria, tratto chiuso causa lesioni a strutture tra Altilia-Grimaldi (Km. 285,5) e Rogliano-Grimaldi (Km. 273,2) in direzione Salerno a causa del sollevamento di un giunto termico, al km 279+900 in direzione nord sul viadotto “Stupino” è in atto il divieto di circolazione per tutti mezzi (pesanti e leggeri) con uscita obbligatoria a Falerna ss18 ss585 e rientro in autostrada a Lagonegro nord. Ore 10:31, A3 Salerno-Reggio Calabria, tratto chiuso causa rilievi su luogo incidente tra Laino Borgo (Km. 153,4) e Mormanno-Scalea (Km. 163,6) in entrambe le direzioni. Chiusura del viadotto “Italia” con deviazione del traffico pesante in direzione sud con uscita a Lagonegro nord percorrere ss585 proseguire sulla ss18 con rientro allo svincolo di Falerna; in direzione nord uscita obbligatoria Spezzano Terme/Tarsia ss283, ss534, ss106, ss653 con rientro a Lauria nord; oppure uscita consigliata a Falerna ss18, ss585 con rientro a Lagonegro nord. Per il traffico leggero in direzione sud uscita a Laino Borgo, sp 133, sp241, sp134 con rientro a Mormanno, percorso inverso in direzione nord. Scadenza non determinata!!!!»
È un incubo. Mi fermo qui. Sembra un bollettino di guerra – buona parte delle informazioni del CCISS riguarda solo la Salerno-Reggio Calabria – e i punti esclamativi (quattro), insieme all’indeterminatezza della scadenza, dovrebbero metterti sull’allarme. Per chi viaggia sulla Salerno-Reggio Calabria non c’è bisogno di punti esclamativi: uno sta già in allarme di suo. Guidare un Hammer, uno dei veicoli americani usati negli scenari di guerra, capaci di resistere anche a un IED, Improvised Explosive Device, che so un’autobomba o un ordigno collocato in una buca sul terreno, piuttosto che la tua automobile ti sarebbe di conforto, ti darebbe un po’ di sicurezza.
Quella coi quattro punti esclamativi è la disposizione dopo l’incidente – il quarto mortale negli ultimi due anni – sul viadotto Italia, 1160 metri di lunghezza, 225 di altezza, con 19 campate, il più alto della Penisola e il secondo in Europa. La campata stradale ha ceduto di schianto. Nel crollo è morto un operaio, un venticinquenne, Adrian Miholca, rumeno. Miholca era alle prese con la demolizione della quinta campata del viadotto, direzione Reggio Calabria, quando c’è stato il crollo che ha fatto sprofondare la fetta di asfalto su cui stava spostandosi il trattorino guidato dall’operaio. Ottanta metri di volo. Adesso hanno chiuso tutto, anche perché precipitando la campata è andata a sbattere su un altro pilone rendendo instabile tutta la struttura. I lavori sul viadotto sono stati appaltati nel 2005. Poi, tra contenziosi vari, il cantiere è stato aperto un paio d’anni fa. Il progetto prevede la messa in sicurezza del collegamento, con una parziale demolizione «dell’impalcato del vecchio viadotto», per stare alle parole ufficiali dell’Anas. Cioè, su una carreggiata si viaggia in doppia corsia e sull’altra si facevano quelle che l’Anas ha definito «prove di demolizione». Poteva essere una tragedia. Che la giungla di appalti e subappalti, costringendo a lavorare anche dodici ore al giorno in condizioni di precarietà di contratti a termine, sia la causa principale della mancanza di sicurezza appare talmente scontato da ritenere irritanti le parole del sottosegretario alla presidenza Delrio: «Fatto indegno di un Paese civile». Già, lo si scopre solo quando muore qualcuno.
Una lunghezza di 443 chilometri. Nel 1962, l’allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani prevedeva la pratica risolta in due anni e invece n’è venuto fuori un cantiere lungo più di cinquant’anni. Solo le profezie sono rimaste incessanti. «La Salerno-Reggio? Pronta nel 2003», giura nel ’98 il sottosegretario diessino Antonio Bargone. «Sistemata in cinque anni», puntualizza nel 2000 il ministro Nerio Nesi (governo Prodi). «Finiremo nel 2004-2005», conferma l’anno dopo il berlusconiano Pietro Lunardi. «Nel 2008», rettifica l’Anas. «Ce la faremo per il 2009», assicura Berlusconi nel 2006. A febbraio 2009 Altero Matteoli profetizza: «Per fine 2011 o inizio 2012». Finché nel settembre 2010, in parlamento, il Cavaliere decreta: «Sarà completata nel 2013». Nel 2011 Giulio Tremonti, ministro all’Economia in carica, fece un blitz a sorpresa sulla Salerno-Reggio Calabria e scoprì che tanti cantieri erano aperti, ma senza uomini al lavoro. Se sulla A3 «ci sono molti cantieri, vuol dire che qualcosa è in atto però serve l’autostrada». Qualcuno chiese: bisogna finire questi cantieri? «Infatti. Prima è meglio è», rispose Tremonti. Entro il 2013? «Vediamo, vediamo». Sì, ciao.
Tutto era iniziato con una legge del 1961. Voluta dall’allora leader socialista Giacomo Mancini. E centrata sulla convinzione che quella strada rappresentava dopo un secolo «il compimento dell’Unità d’Italia». Craxi, nel 1987, allora premier, assicurò: la Salerno-Reggio Calabria sarebbe stata sistemata con mille miliardi di lire, ovvero 983 milioni di euro di oggi. Cinque anni più tardi i miliardi erano diventati già cinquemila. Altri cinque anni e il preventivo salì a seimila. E ancora: su a 6,9 miliardi di euro nel 2004, a nove nel 2008, a nove miliardi e 698 milioni nel 2010. In un articolo del 2007, sul «Corriere della Sera» Sergio Rizzo scrive che ogni chilometro dell’A3 è costato 20,3 milioni di euro. Una cosa senza possibilità di paragone nel mondo. L’Europa a un certo punto s’è stufata. Nel 2012, dopo le ripetute testimonianze riguardanti pizzo e mazzette accertate nei tribunali, l’Unione europea ha ingiunto all’Italia di dirottare su altri progetti i 388 milioni di euro di fondi europei destinati al tratto autostradale.
Certo, la Salerno-Reggio Calabria non è solo una storia di mazzette, pizzo, sprechi, errori, morti. D’altronde, la pessima condizione dei viadotti e delle strade è dappertutto in Italia. In Sicilia, l’ultimo viadotto a crollare, lo Scorciavacche sulla statale 121 tra Palermo e Agrigento, ha battuto tutti i record restando transitabile appena una settimana: inaugurato alla vigilia di Natale del 2014 è stato chiuso alla fine dell’anno. All’inizio di luglio 2014 collassò il viadotto Petrulla sulla statale 123 tra Licata a Ravanusa. Subito dopo si accorsero che il vicino ponte Ficili era a rischio e lo chiusero. Nella stessa estate fu sprangato il ponte Gurrieri a Modica e quello della Balata Baida sulla statale 187 a Castellammare in provincia di Trapani. Poco più di un anno prima, febbraio 2013, s’era ammosciato il Verdura sulla statale 115 tra Trapani e Siracusa e il 28 maggio 2009 nella provincia di Caltanissetta venne giù un pezzo del ponte Geremia II.
Succede anche al nord: il caso più grave, con un autista di camion morto, risale a una decina d’anni fa sulla statale 42 in provincia di Brescia dove si spezzò il viadotto Capodiponte. L’incidente più clamoroso è però quello del ponte sul Po tra San Rocco al Porto e Piacenza. Lì la mattina del 29 aprile 2009 sprofondò nel fiume un’intera arcata trasformando la strada in una botola. Nello stesso anno si verificarono due crolli sulla Teramo-Mare mentre il 2 marzo 2011 le impalcature del ponte sulla statale 407 Basentana a Calciano in provincia di Matera si abbassarono all’improvviso di 2 metri. Nello stesso periodo sempre in Basilicata chiusero il ponte di Baragiano. Otto giorni dopo in Puglia crollò una parte del ponte tra Vieste e Peschici sulla statale 89. L’11 maggio di due anni fa toccò a un ponte Anas in Abruzzo sulla linea ferroviaria tra Terni e Rieti all’altezza di Scoppito.
Però, come dire, la Salerno-Reggio Calabria è ormai una metafora del paese. Quando i lavori dell’Autostrada del Sole ebbero inizio, nel 1956, il boom economico era dietro l’angolo e quello era l’inizio di un sogno. Doveva unire Nord e Sud, velocizzare i trasporti, dunque il mercato, e la mobilità degli uomini. Doveva rappresentare una prova concreta di quello che era, almeno a quei tempi, lo spirito italiano. Il terminale dell’infrastruttura doveva essere la Calabria, fino allora considerata la terza isola, proprio per la scarsità di collegamenti con il resto del Paese. Però, invece di raggiungere l’estremo sud, si fermò a Napoli. È così che nasce la Salerno-Reggio Calabria, declassificata nel piano dell’Iri tra le cosiddette autostrade aperte, quelle cioè che non potevano essere soggette a un pedaggio per le particolari condizioni di sottosviluppo dei territori attraversati, e la si affida all’Anas. Così, il sistema autostradale del centro nord, gestito da Società Autostrade per conto dell’Iri, cresce fino a far raggiungere all’Italia il primo posto in Europa quanto a dotazione autostradale, mentre al Sud inizia il calvario. La scelta di abbandonare l’iniziale progetto sulla litoranea tirrenica e di addentrarsi nel cuore della montagna calabrese, sulle pendici del massiccio della Sila, orograficamente molto complessa, per acconsentire il passaggio a Cosenza voluto da Mancini e Misasi – allungando il suo percorso di 40 km, entrando per 22 km in galleria e dispiegandosi per 45 km su viadotti –, fu determinante: opere di ingegneria colossale, viadotti su viadotti, il trenta per cento del percorso dentro gallerie. Quasi trent’anni dopo il termine del percorso, nel 2001, il Piano generale dei trasporti e della logistica pronuncia una sentenza inequivocabile: «L’A3, la Salerno-Reggio Calabria non ha caratteristiche autostradali, anche se è classificata come tale». Non ci sono gli standard minimi richiesti per un’autostrada. Dal 1997 in avanti l’A3 diventa un enorme cantiere senza soluzione di continuità che attraversa tutto il tracciato dell’Autostrada, montagne comprese. Le condizioni difficili permangono. L’autostrada più difficile da costruire adesso è ovviamente la più difficile da ammodernare. Di fatto, ha raggiunto l’obiettivo opposto per il quale era stata pensata, voluta, progettata, costruita: separare il Nord dal Sud, isolando logisticamente il Meridione. La Calabria rimane la terza isola d’Italia.
Dopo l’incidente mortale al rumeno Adrian Miholca sul viadotto Italia, il presidente dell’Anas Pietro Ciucci ha pensato di mandare un telegramma di condoglianze. Pochi giorni prima, è stata presentata un’interpellanza urgente alla Camera per chiarire la questione dei compensi percepiti da Ciucci. Succede che nel 2013 l’attuale presidente e amministratore dell’Anas Pietro Ciucci decida di non fare più il direttore generale. Forse un uomo e tre cariche erano davvero troppe. Così, si autolicenzia, cioè il Ciucci presidente e il Ciucci amministratore delegato licenziano il Ciucci direttore generale. Risoluzione consensuale. Succede pure però che lo stesso Ciucci direttore generale avanzi al Ciucci presidente e al Ciucci amministratore delegato riconoscimento “dell’indennità di risoluzione senza preavviso”. Questa vale circa ottocentomila euro, e quella, la risoluzione consensuale, vale circa un milione. Totale un milione e ottocentomila euro. Una somma che non potrebbe sommarsi, dato che delle due l’una, o è consensuale o è senza preavviso. Ovviamente, aspettiamo tutti di sapere quanto varrà la buonuscita del Ciucci presidente e anche quella del Ciucci amministratore delegato.
Ora, certo, l’A3 è stata una gruviera, la ‘ndrangheta ci ha bagnato il pizzo per decenni e le cosche hanno fatto affari di lusso, la follia della scelta del percorso più complesso è stata il male dell’origine e strologate dei politici succedutesi e le porcate di appalti e subappalti hanno fatto il resto.
Però, ecco, almeno i soldi del telegramma di condoglianze sentite se li poteva risparmiare Ciucci.
Nicotera, 4 marzo 2015