«Ci vediamo alle 18 a Bussoleno, di fronte al negozio di Mario il barbiere (a pochi metri dalla stazione)». È questo l’appello lanciato dopo la sentenza di ieri del tribunale di Torino contro gli imputati del NoTav. Da Mario il barbiere. Non in una piazza, in una sezione, in un cinema, in un albergo. Non in una galleria sotterranea, in una cantina oscura, in un luogo segreto e inaccessibile. No, dal barbiere. Da Mario. Dovranno conoscerlo tutti, Mario il barbiere. Tutti quelli che combattono, hanno combattuto, combatteranno in Val di Susa. È il senso che lì c’è una comunità, che conosce luoghi e persone dove ha vissuto e vive. Se chiedi a chiunque, chiunque ti saprà dire. È difficile che la batti una comunità così, che la sradichi una comunità così. A meno che non radi al suolo anche Mario il barbiere e il suo negozio. Per molti lì, è proprio quello che il Tav, la linea alta velocità fra Torino e Lione, sta provocando.
Quarantasette condanne per un totale di circa centocinquant’anni di carcere e sei assoluzioni. L’accusa ne aveva chiesti 193. Quasi due anni di processo con un centinaio di udienze a cadenza settimanale, con continue occasioni di conflitto tra procura e difese. Centinaia di testimonianze, e decine di filmati in visione, con le immagini degli scontri. Sotto accusa due giorni d’estate: il 27 giugno e il 3 luglio 2011, quando i manifestanti si scontrarono con le forze dell’ordine al cantiere di Chiomonte. Lì dove c’era la Libera Repubblica della Maddalena.
Nel maggio 2011 gli attivisti NoTAV avevano formato un presidio permanente a Chiomonte ribattezzato Libera Repubblica della Maddalena, nell’area che doveva essere utilizzata per realizzare un tunnel, per bloccare l’inizio dei lavori. All’alba del 27 giugno più di duemila poliziotti provano a sgomberare l’area. I NoTAV sparano alcuni fuochi d’artificio per segnalare l’arrivo della polizia agli abitanti della valle. La polizia usa gas lacrimogeni al CS – quello, per capirsi, usato a Genova 2001 e che viene considerato come un’arma chimica in caso di utilizzo in guerra – per disperdere i manifestanti. Alla fine della giornata l’area viene sgomberata.
I comitati NoTAV organizzano quindi una manifestazione di protesta il 3 luglio 2011, sempre a Chiomonte, alla quale partecipano decine di migliaia di persone. È la valle intera. Del corteo fanno parte anche numerosi sindaci. Nel pomeriggio, dal corteo si distacca una parte di manifestanti che decide di assediare la zona presidiata dalla polizia per tentare di rioccuparla. Lo scontro è durissimo, con centinaia di feriti da una parte e dall’altra, ma alla fine la polizia mantiene il controllo dell’area. La Libera Repubblica della Maddalena va in esilio. L’anno scorso, Marisa e Gildo Meyer di Chiomonte hanno ritirato, a nome della Libera Repubblica della Maddalena in esilio, il riconoscimento Patrimouanë dla Jan – Patrimonio della Collettività 2013, conferito con questa motivazione: «Libera Repubblica della Maddalena, esperienza nata dalla volontà popolare, sviluppatasi tra il maggio e il giugno del 2011 e interrotta in modo arrogante e violento il 27 giugno 2011. Nonostante la sua breve esistenza, la Repubblica della Maddalena ha saputo opporsi fieramente a interessi corporativistici, lobbistici e neoliberistici che minacciano non solo gli individui e le comunità locali e che attentano non solo alla salvaguardia dell’ambiente montano da essi abitato, ma vanno ben oltre, minando i principi fondamentali e universali dell’uomo. La Libera Repubblica della Maddalena ha rappresentato un baluardo di resistenza in difesa di tutto ciò». Lo stesso riconoscimento andava a un alpeggio e ponte in pietra, a un alambicco consortile per la grappa e alle piccole scuole di montagna. Insomma, è la valle.
A gennaio 2012 la Digos arresta ventisei persone, indagate insieme a altre di lesioni, violenza, resistenza a pubblico ufficiale. Ma metterne un po’ in carcere non sembra fare troppa paura agli abitanti della valle e ai NoTav. Neanche l’inizio del processo ci riesce. E alla prima udienza, tra urla, slogan e presenza massiccia di militanti, il presidente del collegio decide – nonostante l’opposizione degli avvocati delle difese – di trasferire il processo nell’aula bunker del carcere per motivi di sicurezza. È un posto orribile, che evoca gli anni bui del terrorismo.
Il terrorismo era stato già evocato, contro i NoTav, dalla procura di Torino che, lo scorso anno, aveva mandato in carcere e a processo quattro giovani per avere nottetempo attaccato il cunicolo esplorativo di Chiomonte bruciando un compressore. I quattro NoTav erano stati accusati di «attentato con finalità terroristiche, atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, oltre che detenzione di armi da guerra e danneggiamenti». Accusa che, per la verità, la Cassazione ci mise poco a smontare. A dicembre 2014 i quattro andarono assolti da quest’accusa, benché siano stati condannati per danneggiamento. A insistere sul “terrorismo” era stato l’ormai ex magistrato Caselli che aveva scritto in un editoriale de «La Stampa»: «In Valsusa il terrorismo c’è già. In una forma inedita, tra l’intimidazione ambientale di stampo mafioso e il cecchinaggio individuale di marca pre-brigatista, tra l’opprimente Corleone di Riina e i caldissimi picchetti nei primi anni Settanta». Con tutto il rispetto per il cursus honorum di Caselli, è difficile immaginare che i terroristi, e per quello pure i mafiosi, si diano appuntamento pubblico da Mario il barbiere.
Contro la sentenza di ieri, alcuni degli avvocati della difesa hanno già annunciato che faranno ricorso. La considerano una sentenza pesantissima, non solo per il numero di condanne e l’entità delle pene, ma anche per i risarcimenti stabiliti. Uno degli avvocati ha detto che «arriveremo fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo».
«Questa sentenza sa più di vendetta che di giustizia – ha detto Alberto Perino, leader storico del movimento No Tav. Si tratta del fallimento della politica e dell’estremo tentativo di fare fuori il movimento No Tav, ma non ci riusciranno».
In un breve comunicato sul sito di informazione del NoTav, c’è scritto: «Questa condanna oggi viene data al Movimento No Tav tutto, perché dopo decenni ancora non abbassiamo la testa e continuiamo a lottare, forti della ragione e della volontà (mai negoziabile) di difendere la nostra valle e le nostre vite».
Sarà dura. Intanto, ci si incontra da Mario il barbiere. Poi, si vede.
Nicotera, 27 gennaio 2015
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Sentenza Torino: colpita al cuore la comunità NoTAV
Quarantasette condanne per un totale di circa centocinquant’anni di carcere e sei assoluzioni. L’accusa ne aveva chiesti 193. Quasi due anni di processo con un centinaio di udienze a cadenza settimanale, con continue occasioni di conflitto tra procura e difese. Centinaia di testimonianze, e decine di filmati in visione, con le immagini degli scontri. Sotto accusa due giorni d’estate: il 27 giugno e il 3 luglio 2011, quando i manifestanti si scontrarono con le forze dell’ordine al cantiere di Chiomonte. Lì dove c’era la Libera Repubblica della Maddalena.
Nel maggio 2011 gli attivisti NoTAV avevano formato un presidio permanente a Chiomonte ribattezzato Libera Repubblica della Maddalena, nell’area che doveva essere utilizzata per realizzare un tunnel, per bloccare l’inizio dei lavori. All’alba del 27 giugno più di duemila poliziotti provano a sgomberare l’area. I NoTAV sparano alcuni fuochi d’artificio per segnalare l’arrivo della polizia agli abitanti della valle. La polizia usa gas lacrimogeni al CS – quello, per capirsi, usato a Genova 2001 e che viene considerato come un’arma chimica in caso di utilizzo in guerra – per disperdere i manifestanti. Alla fine della giornata l’area viene sgomberata.
I comitati NoTAV organizzano quindi una manifestazione di protesta il 3 luglio 2011, sempre a Chiomonte, alla quale partecipano decine di migliaia di persone. È la valle intera. Del corteo fanno parte anche numerosi sindaci. Nel pomeriggio, dal corteo si distacca una parte di manifestanti che decide di assediare la zona presidiata dalla polizia per tentare di rioccuparla. Lo scontro è durissimo, con centinaia di feriti da una parte e dall’altra, ma alla fine la polizia mantiene il controllo dell’area. La Libera Repubblica della Maddalena va in esilio. L’anno scorso, Marisa e Gildo Meyer di Chiomonte hanno ritirato, a nome della Libera Repubblica della Maddalena in esilio, il riconoscimento Patrimouanë dla Jan – Patrimonio della Collettività 2013, conferito con questa motivazione: «Libera Repubblica della Maddalena, esperienza nata dalla volontà popolare, sviluppatasi tra il maggio e il giugno del 2011 e interrotta in modo arrogante e violento il 27 giugno 2011. Nonostante la sua breve esistenza, la Repubblica della Maddalena ha saputo opporsi fieramente a interessi corporativistici, lobbistici e neoliberistici che minacciano non solo gli individui e le comunità locali e che attentano non solo alla salvaguardia dell’ambiente montano da essi abitato, ma vanno ben oltre, minando i principi fondamentali e universali dell’uomo. La Libera Repubblica della Maddalena ha rappresentato un baluardo di resistenza in difesa di tutto ciò». Lo stesso riconoscimento andava a un alpeggio e ponte in pietra, a un alambicco consortile per la grappa e alle piccole scuole di montagna. Insomma, è la valle.
A gennaio 2012 la Digos arresta ventisei persone, indagate insieme a altre di lesioni, violenza, resistenza a pubblico ufficiale. Ma metterne un po’ in carcere non sembra fare troppa paura agli abitanti della valle e ai NoTav. Neanche l’inizio del processo ci riesce. E alla prima udienza, tra urla, slogan e presenza massiccia di militanti, il presidente del collegio decide – nonostante l’opposizione degli avvocati delle difese – di trasferire il processo nell’aula bunker del carcere per motivi di sicurezza. È un posto orribile, che evoca gli anni bui del terrorismo.
Il terrorismo era stato già evocato, contro i NoTav, dalla procura di Torino che, lo scorso anno, aveva mandato in carcere e a processo quattro giovani per avere nottetempo attaccato il cunicolo esplorativo di Chiomonte bruciando un compressore. I quattro NoTav erano stati accusati di «attentato con finalità terroristiche, atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, oltre che detenzione di armi da guerra e danneggiamenti». Accusa che, per la verità, la Cassazione ci mise poco a smontare. A dicembre 2014 i quattro andarono assolti da quest’accusa, benché siano stati condannati per danneggiamento. A insistere sul “terrorismo” era stato l’ormai ex magistrato Caselli che aveva scritto in un editoriale de «La Stampa»: «In Valsusa il terrorismo c’è già. In una forma inedita, tra l’intimidazione ambientale di stampo mafioso e il cecchinaggio individuale di marca pre-brigatista, tra l’opprimente Corleone di Riina e i caldissimi picchetti nei primi anni Settanta». Con tutto il rispetto per il cursus honorum di Caselli, è difficile immaginare che i terroristi, e per quello pure i mafiosi, si diano appuntamento pubblico da Mario il barbiere.
Contro la sentenza di ieri, alcuni degli avvocati della difesa hanno già annunciato che faranno ricorso. La considerano una sentenza pesantissima, non solo per il numero di condanne e l’entità delle pene, ma anche per i risarcimenti stabiliti. Uno degli avvocati ha detto che «arriveremo fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo».
«Questa sentenza sa più di vendetta che di giustizia – ha detto Alberto Perino, leader storico del movimento No Tav. Si tratta del fallimento della politica e dell’estremo tentativo di fare fuori il movimento No Tav, ma non ci riusciranno».
In un breve comunicato sul sito di informazione del NoTav, c’è scritto: «Questa condanna oggi viene data al Movimento No Tav tutto, perché dopo decenni ancora non abbassiamo la testa e continuiamo a lottare, forti della ragione e della volontà (mai negoziabile) di difendere la nostra valle e le nostre vite».
Sarà dura. Intanto, ci si incontra da Mario il barbiere. Poi, si vede.
Nicotera, 27 gennaio 2015
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