Piazza Tahrir, quattro anni dopo: Shaimaa è stata uccisa con un fiore in mano

Era il 25 gennaio del 2011, quattro anni fa, quando decine di migliaia di manifestanti si accamparono a piazza Tahrir per chiedere pacificamente la fine del regime trentennale di Mubarak. Era la prosecuzione della rivoluzione dei gelsomini, quell’enorme moto di protesta che aveva avuto inizio con il suicidio del giovane ambulante Mohamed Bouazizi, in Tunisia, e che aveva acceso le speranze di un’intera generazione araba, nordafricana, mediterranea. Le speranze del mondo intero. Era la primavera araba.
Quattro anni dopo, molte di quelle speranze si sono spente. I mutamenti di regime hanno dato origine, spesso, a una deriva fondamentalista, al rafforzamento delle aree politiche e religiose più integraliste. Ma questo non significa che ogni cosa è perduta. Quella generazione non ha smesso di lottare. E non è facile sapere da che parte stare.
Il 25 gennaio scorso, Shaimaa al-Sabbagh, va in piazza Tahrir per ricordare quella rivolta. È una giovane donna di trentadue anni, ha un bambino di cinque. Shaimaa è di Alessandria. Uno dei centri della rivolta del 2011. Appartiene a un partito di opposizione, Alleanza popolare socialista, una piccola formazione politica. Shaimaa era nelle piazze nel 2011, era nelle piazze quando s’è trattato di opporsi alla Fratellanza musulmana e appoggiare al-Sisi, che ha deciso di mandare a casa e in galera governo e ministri fondamentalisti. Era in piazza ancora ieri l’altro. Stavolta per protestare contro al-Sisi. Non è facile sapere da che parte stare. Ma Shaimaa aveva le idee chiare: «Pane, libertà, giustizia sociale». Era lo slogan di piazza Tahrir. Pane, libertà e giustizia sociale. Lo gridava anche contro i Fratelli musulmani. Aveva deciso di gridarlo anche ieri l’altro, contro al-Sisi.
Sapeva che la polizia avrebbe presidiato quelle zone, coi veicoli cingolati, i posti di blocco e i cavalli di frisia. Con i suoi compagni si erano dati un piano per arrivarci. Lei era abile. Non fanno altro che sgattaiolare sotto gli occhi della polizia, i militanti. Arrivano alla spicciolata, passano le zone di controllo, si radunano in un luogo già concordato. Stavolta era davanti l’ufficio dell’Air France. Iniziano la protesta. Con altri manifestanti – qualche decina di attivisti –, Shaimaa srotola uno striscione e grida degli slogan. Hanno delle corone di fiori e vogliono lasciarle a Talat Harb, vicino piazza Tahrir, in onore delle decine di militanti caduti.
È a questo punto che la polizia carica: sono decine di militari, mascherati, che sparano gas e proiettili. I video lo mostrano chiaramente. Ci sono decine di video di una sequenza dolorosa e straziante. Ci sono centinaia di foto. I poliziotti mascherati sparano. Sparano a pallettoni o sparano proiettili di gomma. Lo fanno sempre. Lo fanno a distanza ravvicinata. I manifestanti stanno per scappare. Shaimaa si accascia a terra. Uno dei suoi compagni prova a sollevarla. Poi la prende sulle braccia, la solleva. Il volto di Shaimaa è già una maschera di sangue. I proiettili l’hanno colpita al petto e al viso. È ancora viva. È ancora bella.
La portano via. Mentre i poliziotti inseguono i manifestanti continuando a sparare. L’ordine deve regnare sovrano, nessuno deve più ricordare piazza Tahrir. È lui, al-Sisi, l’uomo al quale l’occidente ha affidato la stabilità dell’Egitto, che lo pretende. Lui è il nostro macellaio, lui è il nostro figlio di puttana che dobbiamo tenerci buono. Sennò arrivano i musulmani. Gli integralisti. I fondamentalisti. Non è facile sapere da che parte stare.
All’ospedale Shaimaa arriva morta. Non è la sola di questo maledetto 21 gennaio. Almeno una decina solo al Cairo. Ci sono stati altri morti, a Suez, a Alessandria. Forse una ventina. Sono militanti dei Fratelli musulmani. Sono militanti armati. In due sono saltati in aria su una bomba che stavano lasciando vicino una palestra frequentata da poliziotti, nel delta del Nilo, a duecento chilometri dal Cairo. Un altro è stato ucciso mentre sparava con un mitra. Un altro, ancora, mentre con una carabina faceva fuoco contro i poliziotti. Almeno tre poliziotti sono morti. Ma Shaimaa non aveva armi. Aveva dei fiori, uno striscione e uno slogan. Pane, libertà, giustizia sociale.
Anche Sondos Reda Abu Bakr, una studentessa di diciassette anni, non aveva armi. Era tra i manifestanti di Alessandria contro il governo di al-Sisi. È un’islamista Sondos Reda Abu Bakr. Protesta per i Fratelli musulmani. Ma la polizia non va per il sottile. Spara. Anche Sondos Reda Abu Bakr è morta. Il Partito della Libertà e della Giustizia, che è il braccio politico dei Fratelli musulmani fuorilegge, l’ha identificata attraverso il profilo facebook. C’è la foto di una ragazzina con l’aria sorridente che mangia patatine fritte da un cartoccio. Ha un velo sul capo. Forse lo metteva per andare a scuola. Forse per andare a scuola poteva andare solo nelle scuole dei Fratelli musulmani. Forse per andare a scuola dai Fratelli musulmani devi poi andare alle manifestazioni dei Fratelli musulmani. Non è facile sapere da che parte stare.
Il ministro dell’Interno dice che farà chiarezza su ogni cosa, e che chiunque sia stato verrà punito con rigore. Però, lascia intendere che a sparare contro Shaimaa possa essere stato un seguace dei Fratelli musulmani. È provato che qui e là abbiano sparato, no? Si saranno infiltrati nelle manifestazioni pacifiche, ecco cosa sarà successo. Intanto, quelli che erano con Shaimaa sono stati arrestati per manifestazione illegale.
Fu la violenza della polizia in piazza Tahrir a rinvigorire la protesta. Fu la resistenza di piazza Tahrir contro le violenze della polizia a costringere Mubarak alle dimissioni. Oggi al-Sisi è accusato di far rivivere i peggiori aspetti del precedente governo del Faraone. Il Faraone è sempre lo stesso. L’esercito del Faraone è sempre lo stesso.
Lamees Hadidi, la giornalista che dirige un talk show sulla televisione governativa, si chiede: «Abbiamo bisogno di una risposta chiara: chi ha ucciso Shaimaa al-Sabbagh?» Come fosse un mistero. Come ci volesse la zingara.
Il generale al-Sisi respinge ogni accusa. Sottolinea la sua vasta popolarità e il sostegno per il suo pugno di ferro contro ogni manifestazione. Le manifestazioni danneggiano la ripresa economica. Lui lo sa di essere il nostro figlio di puttana.
Ecco, quando dite che c’è un problema tra l’islam e la democrazia, quando dite che la primavera araba è finita, sciacquatevi un poco il cervello prima di parlare. Ecco.

Nicotera, 26 gennaio 2015

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