Qualcuno ricorda la formazione della Francia – i bleus – campione del mondo di calcio del 1998? Sì, certo c’era Zinedine Zidane. E chi se lo dimentica, Zizou? Ma anche Thuram, Desailly, Vieira, Henry, Trezeguet, Djorkaeff, Boghossian, Karembeu. Origini algerine, ghanesi, senegalesi, martinicane, guadalupensi, della Nuova Caledonia, armene. I “bianchi” erano pochini, benché straordinari, il portiere Barthez, Didier Deschamps, qualcun altro. Era l’orgoglio della Francia, quella squadra, era l’orgoglio del mondo intero quella squadra. Chissà perché, tu li guardavi, mentre erano schierati prima della partita in mezzo al campo, e sentivi la Marsigliese che suonava e ti commuovevi. Guarda un po’, nel cuore della Vecchia Europa davvero il melting pot americano. Non era più solo la “mappa dell’impero francese”. Era la forza della Repubblica francese. Il sogno dispiegato dell’integrazione, del diritto di cittadinanza. Oggi è come se quella squadra, quella storia fosse implosa, disintegrata. La Francia repubblicana è implosa, disintegrata. Si divora.
Clarissa Jean-Philippe, 25 anni, era in prova da quindici giorni. Clarissa è stata ammazzata mentre svolgeva il mestiere che stava ancora imparando: il vigile. Ci sarebbero stati quarantacinque giorni di apprendistato prima di diventare titolare. Era venuta dalla Martinica a Montrogue, un comune a sud di Parigi, a circa quattro chilometri dalla capitale, per questo: partecipare al concorso, trovare un lavoro, avere uno stipendio. A ucciderla, Amedy Coulibaly. Coulibaly, che è di origini africane, era uscito di prigione da due mesi. Ma la sua vita era costellata da numerosi precedenti penali. I primi guai con la giustizia arrivano all’età di 17 anni nel 1999. Piccolo spaccio, violenze. Nel 2009 però è a Grigny dove hanno aperto una nuova fabbrica della Coca Cola e lui è stato assunto come apprendista. Quando il presidente Sarkozy viene a Grigny e vuole incontrare i nuovi assunti, per le foto di parata, un giornale locale intervista Coulibaly, per sapere quali emozioni avrebbe provato. Lui dice che avrebbe chiesto un autografo al presidente. Per la sua famiglia. In questi cinque anni dev’essergli crollato il mondo addosso. Come alla sua compagna, di origini nordafricane, Hayat Boumeddiene, 26 anni, quasi la stessa età di Clarissa.
Mustapha Ourrad aveva appena ottenuto la cittadinanza. Dopo oltre trentacinque anni in Francia e lo stesso mestiere: correttore di bozze. Camus sarebbe stato fiero di conoscerlo: solo fuori di Francia si conosce davvero il francese. Era emigrato clandestino in Francia intorno ai vent’anni, il viaggio in nave da Algeri a Marsiglia pagato da amici e parenti. Orfano, era cresciuto sulle montagne della Cabilia, e cabilo piuttosto che algerino si sentiva e voleva essere chiamato. Un berbero che, arrivato a Parigi, si era iscritto alla Sorbona. Aveva lavorato per quasi un decennio alle edizioni Larousse, ma era stato licenziato per tagli al personale da poche settimane e così aveva aumentato l’impegno con la redazione di Charlie Hebdo, dove prima andava solo il lunedì. Il giorno della strage – quando i fratelli Kouachi irruppero nella redazione sparando nel nome di Alllah – non sarebbe dovuto esserci. Mustapha Ourrad aveva due figli.
Come Ahmed Merabet, 42 anni, il poliziotto freddato con un colpo alla testa mentre già ferito alza le mani. Aveva sparato verso i due terroristi, che gli urlano «Ci vuoi ammazzare?» Lo finiscono. Agente di quartiere, sindacalista, aveva superato l’esame per entrare nella polizia giudiziaria. Di origine algerina era nato in Francia a Livry, dipartimento della Senna-Saint-Denis nella regione dell’Île-de-France. Era un agente di quartiere, si spostava in bicicletta. Era musulmano. Come i fratelli Chérif e Said Kouachi, di origini algerine.
Non poteva andare peggio la caccia all’uomo, dopo l’attentato alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo. Ottantottomila uomini impiegati, di cui ventimila di forze speciali, per due giorni. Hanno ucciso tutti, i fratelli Kouachy, la coppia di Montrouge. E diversi ostaggi. Quelli presi da Coulibaly nel negozio kosher ebraico. Ci saranno anche degli ebrei tra le vittime? Un altro pezzo della Francia repubblicana. Proprio quello che non doveva succedere. Nella Francia dirigista e centralizzata, l’operazione di polizia sembra essere stata dominata da improvvisazione, emozione, protagonismo, confusione. Bastava solo cercare di seguire le informazioni per ricavare notizie che si sovrapponevano e si elidevano a vicenda. Ancora adesso è così. Non si sa neppure il numero degli ostaggi vittime nel negozio ebraico. Scuole chiuse, quartieri isolati, la Francia intera sull’orlo della guerra. Per tre attentatori. L’urgenza di eliminare gli assalitori ha prevalso su tutto. Bombe, esplosioni, sparatorie. Per quello non erano certo necessarie le forze speciali. Proprio quello che non si doveva fare. Ricorda i giorni dell’attentato a Moro e i 55 giorni del sequestro. L’Italia intera setacciata e non si veniva a capo di nulla. Se l’Europa affronterà il terrorismo islamico interno in questo modo siamo fritti. Adesso proveranno a togliere l’acqua ai pesci. Il che significa un bel casino se si pensa che i musulmani in Francia sono circa cinque, sei milioni.
Nella notte tra giovedì e venerdì, sono stati incendiati alcuni luoghi di culto musulmano e alcuni negozi, qui e là in Francia. Proprio quello che non doveva succedere. Oh, Zizou.
Nicotera, 9 gennaio 2015