L’effetto collaterale più insopportabile dell’orrore del fanatismo islamico non è la rivalsa del nazionalismo intollerante. Non è neppure il giro di vite, in nome della sicurezza nazionale, contro libertà e diritti e privacy di tutti e accoglienza. L’effetto collaterale più insopportabile dell’orrore del fanatismo islamico è questa bolsa retorica dell’occidente. Come noi fossimo gli agnelli sacrificali di una macelleria halal. Wolinski era innocente, Charbonnier era innocente e come loro i redattori di Charlie Hebdo. Theo van Gogh – l’autore di Submission, proprio come il titolo del romanzo di Houellebecq – era innocente. Come erano innocenti le vittime delle Torri gemelle o quelle di Atocha o quelle della metro di Londra o quelle della maratona di Boston. O i prigionieri sgozzati dai tagliagole dell’Is. Loro erano innocenti. Tutte le vittime sono innocenti. Noi no.
Noi, l’occidente, siamo colpevoli. Abbiamo una coda di paglia lunga lunga che arriva fino alle radici della nostra “civiltà”. La nostra raffinata e democratica e tollerante – e i Lumi e Voltaire e Rousseau e Hegel e e qui e là – civiltàààààà si è costruita e si costruisce con il sangue e il sudore di tutti gli altri. Ogni tanto qualcuno ci presenta il conto. Succede. O pensavate che bastassero due litanie da preti che chiedevano il perdono e la cosa era andata? Come siete delicati. Pensavate che bastasse avere un presidente nero perché il razzismo – quello dei cappucci e delle croci di fuoco – scomparisse da un giorno all’altro dall’America, vero?
E poi, che volgarità questa storia dell’occidente colpito al cuore, ora che due fanatici hanno ucciso a Parigi. Come se le duecento vittime di Mumbai fossero il resto di niente. Come se le duecento vittime di Bali fossero il resto di niente. E le centinaia e centinaia di africani massacrati perché non si convertono, fossero il resto di niente. O le migliaia di vittime di attentati kamikaze o con autobomba in Afghanistan, in Iraq, fossero il resto di niente. Io non credo che Dio metterà alla propria destra le vittime dell’occidente e alla propria sinistra o chissadove tutte le altre.
Anders Breivik ha ucciso settantasette persone, quasi tutti ragazzi, tre anni fa, a Oslo e nell’isola di Utoya. Da solo. Era stato persino riformato alla visita militare. Aveva scritto un memoriale, 2083 – Una dichiarazione europea d’indipendenza, che, al confronto, il romanzo di Michel Houellebecq è acqua fresca. Breivik si dichiara un cristiano convinto, antislamico, antimarxista, salvatore della cultura conservatrice in Europa. Disse che aveva agito contro «una decostruzione della cultura norvegese per via dell’immigrazione in massa dei musulmani». Nonostante l’orrore, nessuno allora scrisse che era stata colpita al cuore la civiltà occidentale. Eppure, era proprio così.
Vogliamo parlare sul serio? Dice che il problema non è l’islam, ma l’islam wahhabita, quello dei principi sauditi custodi peraltro della Mecca e di Medina. Che finanziano moschee e imam in Europa e nel mondo, a predicare odio. Ci capisco poco di religioni, però so che gli sciiti fecero una fatwa contro Salman Rushdie e i sunniti hanno fatto le fatwa contro i disegnatori satirici. Da questo punto di vista, sembrano pappa e ciccia. Però, cristo santo, che aspettiamo a riprendercelo sto benedetto deserto saudita e a rimandarli a prestare attenzione ai cammelli? Tagliamo la testa del serpente, no? Eppure, eppure, quel regime sembra sia il “nostro” principale alleato nella regione. Una garanzia di stabilità. Contro l’Iraq, prima. Contro l’Iran, dopo. Contro la Siria, sempre. Ci prestano le basi per far partire i droni contro lo Stato islamico del Gran Califfo dell’Orrore. Un giorno. Il giorno dopo, lo finanziano a al Baghdadi. O forse sono i principi del Qatar, che ce l’hanno coi principi sauditi e con quelli del Bahrein, che li finanziano, ai tagliagole dell’Is. O li bombardano, a giorni alterni. Magari ne discuteranno animosamente, i principi, a Mayfair, London, agitando le loro vestaglie e le loro tovagliette. Un giorno. E il giorno dopo a Abu Dhabi, che sembra essere diventata il nuovo Taj Mahal del capitale. Occidentale. D’altra parte si comprano le nostre società di bandiera e il nostro debito pubblico. Il nostro, dico. Quello della civiltà occidentale.
Chissà che ne pensa il principe al Thani, padrone della squadra di calcio del Paris St. Germain, di Houellebecq? Il principe non ha certo la faccia rassicurante del “droghiere tunisino dell’angolo” che diventa presidente dei francesi nel suo romanzo. Lui se li compra, piuttosto. Chissà che ne pensa la tifoseria ultra del Paris St. Germain, che, per usare un eufemismo, non è certo un campione di fair play e tolleranza, dell’attentato a Charlie Hebdo fatto da musulmani?
La verità è che è più facile per un ricco principe musulmano passare la cruna dell’ago della civiltà occidentale di quanto lo sia per uno scalcinato islamico qualunque. Andate a parlare di Voltaire e Rousseau nelle banlieu di Parigi, andate. Andate a parlare di tolleranza e democrazia a Tor Sapienza a Roma, andate. Andate a Dresda, a parlare di civiltà occidentale, o a Stoccarda, lì dove a migliaia si organizzano in manifestazioni di proteste contro gli immigrati e l’islam. Si chiama Pegida l’organizzazione. Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes. Europei patriottici contro l’islamizzazione dell’Occidente. Qualcosa come Breivik, ecco. Senza armi, certo. Democraticamente, certo. Al momento.
Dice che c’è un problema tra l’islam e la democrazia. Teologicamente, intendono. Non ci capisco molto di religioni, e non so. So però che c’è un problema tra la democrazia e l’islam. Politicamente, dico. Quando, in Algeria, nel 1990, le elezioni amministrative furono vinte con il 54 per cento dal Fronte Islamico di Salvezza (FIS) che si aggiudicò anche il primo turno delle successive elezioni politiche, l’11 gennaio 1992 l’esercito prese il potere con un colpo di Stato. Noi, la civiltà occidentale, ovviamente plaudimmo. Iniziò una guerra civile che è costata duecentomila morti. E quando, non più vent’anni fa ma l’altrieri, la Fratellanza musulmana ha vinto le elezioni in Egitto, dopo la caduta di Mubarak e la primavera dei giovani, il generale al Sisi destituì Morsi e sospese la costituzione. Poi si dimise dall’esercito e si candidò, dopo avere raccontato di aver sognato Anwar al-Sādāt che con una spada di fuoco gli annunciava che avrebbe avuto un grande futuro per il paese. La spada di fuoco gli portò bene. E vinse. Noi, la civiltà occidentale, ovviamente plaudimmo.
È che dovremmo deciderci su sta benedetta democrazia – e forse pure un tantinello su sta benedetta civiltà –, se vale solo per noi. O per quello che conviene a noi. O per quelli ricchi come noi. Gli altri, si arrangino.
Solo che.
Nicotera, 8 gennaio 2015