La rissa più ricca d’Italia, tra Markionne e Montez

«Confido davvero che il Natale rassereni gli animi». Parole di Luca Cordero di Montezemolo. Tirate con le pinze, che l’uomo in genere è abbottonato. Sempre di ottimo taglio, sartoria italiana, sì, ma abbottonato. «Non intendo raccogliere provocazioni». Solo che l’altro, l’uomo col maglioncino di cashmere, l’amerikano Sergio Marchionne, aveva sparato a palle incatenate nella conferenza-stampa di Natale. «Siamo partiti indietro per colpa di scelte fatte da altre persone». Tiè. Ogni riferimento è non casuale. Si parla di un consuntivo del 2014 e di una previsione per la prossima stagione di Formula 1 e il posto che vi potrà avere la Ferrari: «Se vinciamo quattro gare è il paradiso». Coi piedi per terra, se se ne vincono due è grasso che cola. Insomma, nessuna speranza. Inimmaginabile per il mondo degli sportivi Ferrari. Mettetevi il cuore in pace che troppi errori pesano sulle scelte precedenti che hanno lasciato «una situazione difficilissima». Prendetevela con Montezemolo. Tiè.
Certo, i caratteri contano moltissimo, e i due non si sono mai amati. Montezemolo sembra uomo di cappa e spada, uno che se ti dovesse sfidare domattina all’alba dietro il convento delle Carmelitane lascerebbe a te la scelta dell’arma. E se tu prendessi la sciabola, lui verrebbe col fioretto, e se tu prendessi la pistola, lui verrebbe sempre col fioretto. L’altro, invece, va di clava. E mena. E ha la battuta pronta. Alle provocazioni di Della Valle – amico da sempre di Montezemolo – che lo ha definito «un sòla», ha risposto: «Essere definiti un sòla da uno scarparo è un complimento, la suola è parte integrante con la scarpa».
E non c’entra nulla, o poco, il fatto che Marchionne si sia opposto – niente di ufficiale, per carità – a che Montezemolo andasse a presiedere F1 Group, cioè il Gran Circo della Formula 1. «Quanto a Montezemolo non c’è stata la proposta, ma se ci fosse stata la Ferrari si sarebbe opposta. Avremmo avuto problemi con i concorrenti». Più chiaro di così. Però, in realtà qui stiamo parlando d’altro. Ferrari è il marchio più «powerful» del mondo: ovvero il più influente del pianeta, secondo la classifica di “brand-finance”. Come sempre, per spietatezza e lucidità, è Marchionne a centrare il punto: «Il mondo è cambiato e bisogna cambiare pagina».
Quando nel 1999 Gianni Agnelli andò a Detroit a cedere il 20 per cento della Fiat a General Motors, pattuì che in ogni caso la Ferrari sarebbe rimasta fuori dall’accordo. La Ferrari era cosa di famiglia. Era il fiore all’occhiello dell’Avvocato. Come la Juventus. Più della Juventus. Perché non c’è mai stato marchio italiano al mondo riconoscibile come Ferrari. Era la tradizione, era la creatività, era la determinazione, era il Novecento, era un’officina dove un genio dei motori aveva costruito un sogno per sempre, una leggenda. Era il Drake. L’Avvocato, queste cose le sapeva, le sentiva. La Ferrari era come un pezzo della sua splendida collezione d’arte. Per questo ci teneva lì a Modena il cocco di casa. A lustrare i cofani, a lucidare le cornici. A ricevere gli ospiti.
La prima esperienza di Montezemolo a Maranello risale al 1973, come assistente di Enzo Ferrari. Si faceva le ossa, ma la Rossa vince in tre anni tre campionati mondiali costruttori e due piloti. È il periodo del mito di Niki Lauda. Montezemolo, dopo esperienze in Fiat e a Italia 90, torna a Maranello nel 1991 come presidente e amministratore delegato. Sono anni bui per la scuderia e per l’azienda, altro che la «situazione difficilissima» di cui parla Marchionne per l’adesso. La Ferrari vede a malapena qualche podio, mentre a Maranello le auto invendute restano ferme sui piazzali. Montezemolo rifonda innanzitutto la squadra corse e nel 1996 ingaggia Michael Schumacher. Schumi vince cinque mondiali consecutivi, dal 2000 al 2005. È il periodo d’oro della Rossa.
A Maranello si investono milioni di euro per ammodernare la linea produttiva, e le vendite superano persino gli obiettivi, soprattutto nei mercati emergenti come l’Asia o il Medio Oriente. A Dubai viene costruito anche un parco divertimenti con la Ferrari, in cui l’azienda non ha investito un euro, ma di cui le royaltes quest’anno sono intorno ai sette milioni di euro – lo ha ricordato proprio Montezemolo ieri l’altro.
In ventitré anni alla guida della Rossa di Maranello, Luca Cordero di Montezemolo non ha solo vinto 118 gran premi, sei mondiali piloti e otto costruttori, ma il fatturato si è moltiplicato da 250 milioni a oltre 2 miliardi di euro, quasi dieci volte tanto. Lascia un’azienda sana, dal punto di vista finanziario. «I risultati economico-finanziari sono stati fondamentali per il Gruppo FCA e quest’anno saranno i migliori nella storia dell’azienda», ha rivendicato Montezemolo. Un’azienda però che in pista non vince più da tempo. E questo è stato il punto su cui Marchionne ha attaccato. È in pista che bisogna essere i numeri uno. Altrimenti il sogno declina. Vai a vedere che l’uomo con il maglioncino di cashmere, lo «spietato» Marchionne ha invece un gran motore nel cuore?
Le cose sono un po’ diverse. «Il mondo è cambiato», dice Marchionne. Lo pensano pure in azienda. Sinora, da Maranello non uscivano più di settemila vetture all’anno, nonostante le richieste. Era una questione di esclusività. Invece, a Detroit (ormai Torino conta poco), forse ipotizzano una Ferrari in grado di piazzare sul mercato fino a ventimila “pezzi”. Quello della normalizzazione di Maranello, della fine della «anomalia Ferrari» è stato forse il vero nodo dello scontro. «Hanno in testa un’altra Ferrari», dicevano ultimamente uomini di azienda e di scuderia. Una Ferrari totalmente integrata nel gruppo Fiat. In questa “nuova” Ferrari non c’era posto per Montezemolo.
E di un controllo totale dell’azienda ha bisogno Marchionne per convincere gli investitori americani e non solo a scommettere sul titolo FCA-Chrysler, di cui Ferrari è il fiore all’occhiello.
E se domani decidessero di venderla? Chissà il Drake che direbbe. Certo, il mondo è cambiato. Su questo ha proprio ragione, Marchionne.

Nicotera, 23 dicembre 2014

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