L’Europa tutta è attraversata da un vento di indipendenza. Dopo il referendum in Scozia, tenutosi lo scorso settembre, che pure ha visto prevalere il no all’indipendenza, e comunque quasi una metà invece a favore, si è svolto ieri quello in Catalogna. Qui, ha votato tra un terzo e metà degli aventi diritto al voto, e ha prevalso, all’ottanta per cento, il sì a uno stato autonomo. Non era un referendum “reale”, e anzi la stessa consultazione era stata vietata e preventivamente dichiarata nulla dalla Corte costituzionale spagnola. Però ha avuto un significato simbolico. Anche in Veneto, a marzo di quest’anno si è tenuto un “web referendum” che, tra il lusco e il brusco – nessuno ha mai considerato ufficiali i numeri, nemmeno i promotori –, ha però visto esprimersi due milioni di voti a favore di uno stato indipendente. In questo caso, è stata la stessa Regione, e il governatore Zaia, a promuoverlo, pur senza darvi un valore istituzionale. E pare che pure il Friuli abbia intenzione di promuoverne uno.
Se mettiamo assieme questi referendum con alcune spinte indipendentiste e separatiste che attraversano l’Europa – in Finlandia e in Belgio, in Spagna e nell’Est europeo, dove anzi si sono moltiplicate le repubbliche, fino alla drammatica situazione dell’Ucraina – ne viene comunque una forte sensazione di crisi delle identità nazionali così come si sono andate costruendo nell’Ottocento e nel Novecento. È ragionevole credere che a parte alcune situazioni estreme, storicamente e geopoliticamente, all’incirca metà della popolazione di un determinato territorio europeo sembra incline a guardare con favore le spinte indipendentiste. Magari a referendum reali vincerebbe il no, però circa una metà in cuor suo sarebbe per il sì.
Assume perciò un carattere ben più che di curiosità il sondaggio condotto dalla Demos, per conto del quotidiano «Repubblica», a proposito dei diffusi sentimenti sociali e regionali sull’indipendenza in Italia. In questa “classifica” la Calabria si trova agli ultimi posti. Solo il 18 per cento del segmento di sondaggio intervistato si è espresso a favore di un’ipotesi di Calabria come regione autonoma e indipendente. I calabresi sono ultranazionalisti? I calabresi sono così realisti che rispondono con indifferenza tanto sanno che è una cosa campata per aria, un tanto per dire? I calabresi sono più lealisti del re, più repubblicani del presidente?
Conformemente, diciamo così, allo spirito del tempo, gli intervistati di Piemonte, Lombardia e Lazio votano più o meno allo stesso modo, poco più del trenta per cento si dice favorevole. E stanno subito sotto i veneti, che sono i più determinati – e comunque i più sensibilizzati a un questionario simile, non foss’altro perché da poco hanno già discusso e ragionato in merito – ci sono la Sardegna e la Sicilia. Ora, la Sardegna e la Sicilia sono “storicamente” regioni dove l’indipendentismo e il separatismo hanno avuto una forza di opinione, ma anche politica, di un notevole spessore. Sono anche regioni che godono di uno statuto autonomo. Che non gliel’ha regalato nessuno.
Per un qualche scherzo della memoria, sembra che la Lega Nord abbia inventato il federalismo e il secessionismo e l’indipendentismo come rivendicazioni politiche. Senza necessariamente fare a gara sulle radici della storia, quanto siano più profonde, basta rifarsi alla modernità: mentre l’Italia è spaccata in due, dopo la caduta del fascismo, e gli americani stanno al Sud e al Nord c’è la Repubblica di Salò, a cui appartiene anche Milano e il Veneto eccetera eccetera fino a Roma città aperta, in Sicilia scoppia un fortissimo movimento separatista. La concessione di uno Statuto autonomo per l’Italia che verrà viene concessa dal “governo” – che sta ben al riparo in Puglia – proprio per stroncare le gambe a un movimento che, tra spinte reazionarie e aspirazioni libertarie e democratiche, aveva comunque messo in crisi l’idea stessa di una nuova repubblica italiana prima ancora che potesse nascere davvero. Come d’altronde, fu la risposta “politica” del governo centrale negli anni Cinquanta al diffuso sentimento tedesco nel Tirolo – che non era proprio condotto con rose e fiori –, che ha concesso al Trentino e all’Alto Adige tutto quel ben di dio di favori e deroghe che hanno.
In Calabria no. In Calabria non c’è mai stato un movimento separatista. C’è, certo, in Calabria una tradizione di pensiero anticoloniale, cioè che ha letto – sin dagli anni Sessanta – il processo storico di costruzione dell’Italia unitaria come una forte penalizzazione per la regione. E per il Sud tutto. Ecco, si può dire, che mentre in Calabria lo spirito critico contro l’accentramento statalista ha sempre avuto un connotato meridionale e meridionalista, in altre regioni, come la Sicilia e la Sardegna si è sempre pensato che si potesse fare da sé. I calabresi non hanno mai pensato che qualsiasi cambiamento si potesse fare da loro. Ci volevano, quanto meno, gli altri meridionali.
Forse l’unica rottura, recente, per come recenti possono essere i processi sociali e storici, è stata la rivolta di Reggio Calabria. Ma una rottura più “rappresentata” nelle cose – da una parte l’esercito, dall’altra il popolo di Reggio – che nei pensieri e nelle intenzioni, laddove mai ci fossero davvero delle intenzioni programmatiche e non, piuttosto, solo un furore degli animi. D’altronde, la rivolta era “cittadina”, e provinciale, non regionale. Anzi era separatista all’interno della Regione: il casus belli fu Catanzaro. Il carattere tutto “cittadino” lo si può ritrovare nella moltiplicazione di “repubbliche” di quartiere che allora fiorì, a Archi, a Santa Caterina. Nessuno, certo, pensò mai a una Repubblica calabrese.
Tommaso Campanella invece ci pensava, eccome.
Come è possibile che all’ingresso nella modernità – il tempo di Campanella – esistesse un pensiero repubblicano e indipendentista in Calabria, una “illuminazione” avanti tempo anzi, che era quello della sovranità, e all’uscita dalla modernità – che è il tempo che viviamo, dove tutto quello che era modernità è ormai un reperto, una archeologia, un modernariato – invece, la Calabria non abbia “spirito di sé”?
Forse, l’interrogativo va posto meglio: in Calabria è forte il senso di esclusione e di asservimento a interessi che non sono comuni. Però, tutto questo non si traduce non dico in risposta politica, neppure in domanda politica. La Calabria si accontenta delle risposte politiche che offre “il mercato”. Si badi: qui non è in discussione l’appartenenza di schieramento, l’uno equivale l’altro, probabilmente rende o ha reso gli stessi vantaggi. Che, però, alla fine della fiera sono davvero pochini. D’altronde non può esserci risposta politica se non c’è un lievito culturale, capace di suscitare animus, passione sociale.
Così, una recente fiammata di attenzione sugli orrori del processo unitario, si traduce in fazioni sulla bontà o meno dei Borboni o dei Savoia, come se la cosa potesse davvero fottercene alcunché.
Che idea sciocca, no, quella di un processo di indipendenza calabrese? Come potrebbe sopravvivere economicamente la Calabria, che non ha materie prime, non ha industrializzazione, ha perso le sue qualità agricole, non ha imprenditoria che vada e veda orizzonti ampi – e hai voglia a dire che la globalizzazione –, non ha una gioventù appassionata che possa diventare lievito di competenze, talenti, processi decisionali? Come si potrebbe porre una frontiera, e dove, a Vallo della Lucania? Quali armi ci difenderebbero, le lupare mozze? E rimetteremmo i dazi a Villa San Giovanni per il sale? E si controllerebbero i passaporti sui trenini regionali?
Dev’essere questo senso troppo pratico – le palle ce le abbiamo, no? – di impossibilità delle cose che ci fa essere ultranazionalisti – bene o male i siciliani hanno uno stretto, la Sardegna addirittura un mare, qui si è porosi e permeabili. Dev’essere questo senso troppo pratico – sì, certo, senza i soldini dell’Europa come faremmo questo e quello, quelle quattro cose che si fanno? – che ci fa preferire le lamentazioni nel deserto alle utopie repubblicane. O magari, accodarsi a questa o quella cordata “nazionale” vincente, e mendicare uno strapuntino. Siamo gente concreta, via. Terragna.
E tenersi dentro rabbia e furore per come si è trattati. E la vergogna pure. Io farei un sondaggio per vedere quanto Maalox si consuma in Calabria, Maalox politico. Forse, stavolta, risulteremmo i primi.
Nicotera, 10 novembre 2014
Non ho capito.La Repubblica di San Marino può fare Stato,un nocciolo di abitanti circondata dall’Italia,e la Calabria e la Sicilia assieme ,di cui c’è anche un confine naturale in Calabria che è il Pollino,e al di sotto un intera regione non può fare Stato?Non parlo economicamente , è un altro discorso,na geograficamente?????????A parte che Reggio Calabria ha una storia a sé in comune con la Sicilia.Andate a vedere le provocazioni indipendentiste reggine nel periodo del sindaco Nicola Siles ed l’indipendentista Andrea Finocchiaro Aprile di Palermo,dove Reggio era investita dei venti dell’indipendentismo siciliano contro l’Italia e contro la Calabria.Io sono reggino,ed il mio dialetto,accento, gastronomia,sono tutt’altro che calabresi.