Rob O’Neill è uno dei Navy Seals che nella notte di Abbottabad, Pakistan, entrarono nella casa-fortezza di Osama bin Laden. Anzi è proprio lui che ha sparato, due colpi, a bin Laden. Due colpi precisi alla testa. E.K.I.A. Enemy killed in action. D’altronde, finché è rimasto soldato, era uno del Team Six, i migliori dei migliori. Finora, un certo mistero o riservatezza militare teneva nascoste le identità di quel gruppo di uomini. Poi, qualcosa ha iniziato a incrinarsi. Più d’uno s’è fatto avanti per raccontare questo e quell’altro – e un libro di qua e un’intervista di là – e appuntarsi qualche medaglia sul petto. O’Neill, trentotto anni, ha deciso di mettere le cose in chiaro.
David Drugeon è il francese passato alla jihad che è stato ucciso ieri l’altro da una missione di droni in Siria. Drugeon, venticinque anni, era in cima alla lista dei pericolosi da eliminare. Si era fatta la fama d’essere un temibile fabbricatore di ordigni. Si era legato al gruppo qaedista di Khorasan, vicino ai siriani di al Nusra. al Nusra non ha niente a che fare con l’Is, il Gran Califfato dell’Orrore, e anzi si combattono. Ma i droni non vanno per il sottile. È stato colpito a Idlib, nell’area tra il Pakistan e l’Afghanistan. E.K.I.A. Enemy killed in action.
Un modo per raccontare la storia di questi due uomini, su fronti opposti della guerra che sta sconvolgendo il Medio Oriente e l’Occidente, e le nostre stesse vite – sono migliaia i giovani che partono da qui per andare a combattere nella jihad –, può essere di parlare dei luoghi da dove provengono. L’uno viene da Butte, Montana; l’altro veniva da Vannes, Bretagna.
Butte è una piccola cittadina di trentamila abitanti fondata dai cercatori d’oro sul finire dell’Ottocento. Sta nell’Ovest degli States, al confine col Canada, e ci sono tante montagne e c’è un gran freddo lì. Ci sono tanti orsi grizzly, lì. È il cuore della Silver Bow County, la contea dell’Arco d’argento. Devono avere una disposizione alla poetica, da quelle parti, visto che il Montana si chiama anche The Big Sky Country (lo Stato del grande cielo), e The Land of the Shining Mountains (la terra delle montagne che brillano). L’oro finì presto, però venne fuori il rame. E allora divenne una company town, una città costruita da una compagnia mineraria, l’Anaconda. Il rame era prezioso. E attraeva. C’erano i saloon e i distretti a luci rosse, proprio come nei film western. Butte arrivò a contare sessantamila abitanti. Quando crolla il prezzo del rame, dopo la Prima guerra mondiale, la città si svuota. Si dimezza. Non è mai più cambiata da allora. D’altronde, in Montana, c’è poca gente dappertutto. E tanti spazi.
Vannes è una città antica come è antico tutto ciò che sta nel continente europeo. La fondarono i Veneti che fuggivano dall’Illiria, per quello si chiama Vannes e i suoi abitanti Vannetais. Combatterono contro Cesare e furono domati da Augusto. Nel primo secolo prima di Cristo. Duemila anni prima di Butte. Sta nel nord ovest della Francia, ma in un golfo, quello di Morbihan, che è una delle più belle baie del mondo, costellata da quarantadue isole. C’è una marea che sale e scende anche di otto metri, ma non a Vannes, che sta riparata e gode di un clima da mar Mediterraneo. A Vannes è nato il grande regista francese Alain Resnais, e Serge Latouche, l’economista nemico della globalizzazione selvaggia e amico della decrescita. A Butte non è nato nessuno di cui si possa fare una menzione che suoni familiare.
Da ragazzo, Rob O’Neill andava a caccia con il padre nei boschi intorno Butte. Non sappiamo se l’altro, David Drugeon andasse a pesca con il padre nel golfo di Morbihan, però sappiamo che andavano a seguire le partite dell’Olimpique, di cui erano tifosi, la squadra di Marsiglia dove il Mediterraneo c’è davvero.
Ecco, un altro modo di raccontarli può essere parlare dei loro padri.
Il padre di O’Neill ha detto, a chi lo intervistava per sapere se avesse paura dell’Isis, del Gran Califfo dell’Orrore, dopo che il figlio ha rivelato d’essere stato lui a sparare a Osama bin Laden: «Disegnerò un grande bersaglio sulla mia porta e gli dirò, venite pure. Mia moglie ha partorito un uomo. We shouldn’t be cowering in fear, non possiamo vivere rannicchiati nella paura».
Il padre di Drugeon aveva detto il mese scorso, a un settimanale che l’intervistava, dopo che iniziavano a girare voci sul figlio, che forse era un agente dei servizi, che forse questo e quello: «Sono preparato. Ogni sera mi aspetto che due poliziotti bussino alla mia porta e mi portino cattive notizie». E l’altro giorno, dopo aver appreso della morte del figlio, in maniera ufficiosa, attraverso internet e i giornali che niente di ufficiale è arrivato, né dallo Stato francese né dagli americani, nessuno ha bussato alla sua porta, ha detto: «Ce qui devait arriver arriva. Quel che doveva accadere, è accaduto. Je n’ai pas de mots, les mots me manquent mais comme il m’avait dit: il aurait aimé mourir en martyr. Mais, à 25 ans, mourir en martyr, tout ça pour quoi?», morire da martire a venticinque anni, per cosa?
Rob O’Neill appare nelle foto come un classico ragazzone americano, anche se è un uomo fatto ormai, grande e grosso. Ha colori da irlandese, e d’altronde con quel cognome, rosso di testa e chiaro di occhi. Vestito di tutto punto da militare, sembra minaccioso, ma non gli riesci mai a guardare gli occhi, che porta sempre degli occhiali scuri. Vestito “da borghese” – dopo aver abbandonato la vita militare s’è inventata quella di conferenziere “motivatore”: il suo slogan è: «Robert O’Neill never quit, non molla mai» – in giacca e camicia, ha un’aria qualunque, persino tranquilla, e uno sguardo sereno. Probabilmente, la scelta del gruppo di uomini che andò a eliminare bin Laden, era basata molto sulla competenza, affidabilità, capacità di gestione delle emozioni. O’Neill non era il vendicatore folle, ma uno che stava facendo bene il suo lavoro, un professionista al massimo livello, il Six Team. Dev’essere un uomo che la sera dorme tranquillo, O’Neill.
David Drugeon nelle foto sul profilo di Copains d’avant, una sorta di facebook francese – i francesi chiamano ancora puntigliosamente ordinateur il computer – ha l’aria di un qualunque ragazzo europeo, bruno, con lo sguardo mite e gli occhi dolci. Se indossa la maglietta dell’Olimpique sorride. In una foto gli occhi si sono induriti. Era inquieto, David, che si faceva chiamare Daoud dopo la conversione, e la sera andava a letto agitato. In un’altra foto ha la barbetta da salafita. Seguiva una scuola coranica e poi andò in Egitto per imparare l’arabo. Tornava a casa, d’estate o a Natale, poi ripartiva. Parlava con il padre, di questo suo abbraccio dell’islam. Tutto qui. Dove abbia potuto imparare a diventare fabbricante di ordigni micidiali, è un mistero. Si diceva che fosse stato addestrato dai francesi. Dove, quando? Un ufficiale francese di rango ha dichiarato che «non era un nostro soldato, né un membro di servizi interni o esterni. Era noto ai nostri servizi e a quelli americani, era uno di rilievo nella sua organizzazione, con qualche conoscenza tecnica. E non ha imparato a maneggiare bombe nell’esercito francese». La verità è che pare certo abbia combattuto in Afghanistan, contro gli americani. E poi da lì sarà iniziata la diaspora, come quella di tutti i mujahideen di questa guerra. Sarà finito in Siria a combattere contro Assad, e poi a trovare una qualche sua collocazione in una delle tante frazioni dell’estremismo.
Rob O’Neill e David Drugeon non si sono mai incontrati, nessuno dei due è mai stato nel mirino dell’altro. Però poteva accadere.
Da ieri, dopo il racconto di O’Neill, sappiamo qualcosa di più su quel che accadde quella notte a Abbottabad. Da ieri, dopo la morte di David Drugeon sappiamo ancora meno di quello che sta succedendo ai tanti giovani occidentali che vanno a morire nella jihad.
Nicotera, 7 novembre 2014