Quarant’anni ci misero le dodici tribù di Israele guidate da Mosè. Dopo l’uscita dall’Egitto, vagarono per il deserto. Poi passarono il fiume Giordano e entrarono nella terra di Canaan. E giunsero alla Terra promessa.
Da sessant’anni i meridionali superano il Garigliano per entrare nella Terra di mezzo e spingersi verso il nord. Da quando cominciò il miracolo economico e le fabbriche del nord avevano bisogno di braccia. Da sessant’anni i meridionali passano il ponte di Piacenza. Ma non arrivano mai a una Terra promessa. Yahweh non è stato di parola con loro, con noi. Forse che le nostre piaghe non sono orribili abbastanza? Non abbiamo l’invasione delle rane né quella delle cavallette e il nostro Nilo non è rosso di sangue. Però, c’è un tasso di disoccupazione tra i più alti al mondo, e figli ne nascono sempre meno perché i giovani non si sposano e sapete quanto costano i pannolini?, e i mutui delle case sono impossibili, e le banche non fanno credito che si tengono stretto il buco del culo come quello di una gallina, e quei pochi operai che ci sono vengono stipendiati ormai dalle Pro Loco con fondi regionali e europei, tanto per far vedere che ancora c’è un po’ di industria. E il deserto è lo stesso del Negev. C’erano le cattedrali nel deserto una volta, il Petrolchimico di Melilli e Gela e Porto Torres, la Raffineria di Milazzo, l’Omeca di Reggio Calabria, l’Italsider di Bagnoli e di Taranto. Ora il deserto s’è mangiato tutto. Le cattedrali sono di ruggine. Neanche i cinesi le vogliono, per farci il ferro vecchio.
Continuiamo a migrare. È l’unico lavoro che sappiamo fare bene, noi meridionali. Siamo rimasti solo noi, d’altronde. Un tempo si migrava dal Friuli e dal Piemonte, dal Veneto e dalla Lombardia, verso le Americhe o il nord dell’Europa. Come la Grande guerra, l’emigrazione ha cementato questo paese dal nord al sud. Nelle trincee e nei piroscafi si era uguali, contadini e montanari analfabeti. Adesso, si sono aggiunti a noi nuovi migranti. Sono scuri di pelle o biondi di capelli come il grano. Sono stranieri. Proprio come per le dodici tribù di Israele, che partirono anche con stranieri e non ebrei per fuggire il Faraone e la schiavitù. Per raggiungere la Terra promessa. A noi non è andata bene.
Racconta questo il Rapporto 2014 sulle migrazioni interne in Italia, curato da Michele Colucci e Stefano Gallo dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Issm-Cnr). Alcuni dati emergono con evidenza: nel 2012 si è spostato un milione e mezzo di persone; Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Toscana sono le destinazioni preferite; la Campania è la regione da cui parte più gente; gli stranieri si muovono moltissimo, forse seguendo l’andamento della campagna e delle raccolte o chiunque da badare; le politiche sociali sono una forte motivazione alla migrazione.
Pezzi di regione se ne vanno via dal sud. Di più ne soffre Napoli. Nel biennio 2011-12 ha perso più del sei per mille dei residenti. In due anni. Seguono Puglia (meno 10.850 persone), Sicilia (meno 9.910) e Calabria (meno 8.031). Come se paesi interi scomparissero, come Africo in Calabria perché la frana dell’Aspromonte l’aveva smottata a valle o Craco in Basilicata. Come Gibellina, in Sicilia, per il terremoto.
Partono braccia e partono teste. Partono manovali e insegnanti, lavoratori e studenti. Uomini e donne. Dice il Rapporto che gli stranieri tendono a spostarsi in proporzione maggiore: sono stati 258.871 nel 2012 a cambiare residenza, con un tasso di mobilità triplo rispetto agli italiani: il 64,3 per mille contro il 21,6, ma su distanze più brevi, 96 chilometri di media contro i 126 degli italiani. Le donne straniere tra i cinquanta e i sessantaquattro anni in particolare presentano tassi di mobilità elevatissimi. Partono quelli che erano già partiti, quelli che il deserto lo hanno attraversato davvero, e hanno nuotato nel Mediterraneo, come se non potessero più fermarsi. Diceva Troisi che i meridionali non viaggiano, non si spostano, emigrano. Lo stesso può dirsi di loro, dei nostri stranieri. Partono le donne a cui affidiamo i nostri vecchi che però non durano in eterno per quanto siano curati e badati – il loro è il lavoro più a tempo determinato che esista. E partono per cercare altri anziani da tenere in vita, per trovare altro tempo determinato di lavoro. Ci si muove per contatti personali, di lingua. Centro per l’impiego del passaparola. Come si dice in ucraino “passaparola”?
Tra le province del nord, quelle che hanno i saldi positivi migliori, che hanno attratto più persone, sono Bologna, Rimini e Parma. E in proporzione agli abitanti la regione più scelta dai migranti è il Trentino. Si emigra lì non solo per il lavoro, anche perché i servizi sociali e le politiche pubbliche sono più aperti, più accoglienti, più disponibili. Ancora.
Tra le province del Mezzogiorno, i saldi negativi più elevati in proporzione ai residenti, dopo Napoli, si registrano a Vibo Valentia, Reggio Calabria, Caltanisetta, Foggia e Crotone. Già solo a metterli in fila i nomi di queste province ti viene tristezza e dolore. Come un accanimento del destino.
Dice il Rapporto che i dati rilevanti, peraltro, sono spesso sovrapponibili a quelli dei rapporti curati dal «Sole24Ore» o da Legambiente su qualità della vita urbana e servizi. E se leggi i rapporti curati dal «Sole24Ore» o da Legambiente su qualità della vita urbana e servizi in cima alla lista ci trovi Bologna, Parma e il Trentino. E in fondo alla lista ci trovi Vibo Valentia, Reggio Calabria, Caltanisetta, Foggia e Crotone.
Yahweh non è stato di parola con noi meridionali.
E neppure con i nostri stranieri.
Nicotera, 4 novembre 2014