E adesso Della Valle scarica il suo pupillo

C’è adesso chi spiega la sfuriata di Della Valle contro Renzi – «inadeguato» è stato l’epiteto più garbato che gli abbia rivolto tra giornali e televisioni – con il suo carattere fumantino, con uno scatto di pancia. Un travaso di bile nel vedere quel suo “pupillo” – verso cui aveva speso per mesi parole di miele e lanciato petali di rosa nella sua inarrestabile corsa da sindaco di Firenze a presidente del Consiglio – andare a braccetto e fare lingua in bocca con un odiato nemico, Marchionne. E dopo aver promosso un altro odiato nemico, Moretti, a Finmeccanica.
Gli elementi, d’altronde, ci sarebbero tutti. Della Valle ha un ego smisurato, è vero. Però, ha pure numeri buoni: ha il suo miliarduccio di fatturato in una Tod’s che cresce da anni e che macina profitti senza pause, ha fatto qualche investimento oculato – i soli magazzini Saks gli hanno dato una plusvalenza di 150 milioni –, ha messo cento milioni in Ntv – la società del treno Italo, insieme a Luca Cordero di Montezemolo – che gli sta dando tante sofferenze ma che non fosse per le distorsioni operate dalle Ferrovie e da Moretti non starebbe nelle condizioni di dover trattare il proprio debito con le banche, e ha una bella fetta del «Corriere della Sera», in cui ha immesso quasi duecentocinquanta milioni, e che, senza più patto di sindacato e con i due elementi stabilizzatori – Mediobanca e Intesa – in uscita, è ormai una partita tra i due principali azionisti di minoranza: Fiat Chrysler e Mister Della Valle, appunto, per il controllo.
L’imprenditore Andrea della Valle è un rottamatore e forse era questa stessa furia che vedeva in Renzi a entusiasmarlo. Con i salotti della finanza non è mai andato d’accordo. Con Cesare Geronzi, nel 2011, fece una guerra a oltranza, cacciandolo dalle Generali. Poi si mise a guerreggiare con Giovanni Bazoli, il grande banchiere cattolico, presidente di Intesa, che ultimamente ha annunciato che lo avrebbe querelato nei tempi e nei modi che riterrà. Li chiamava «arzilli vecchietti». E con Mediobanca furono scintille, ai tempi della formazione del Consiglio di Amministrazione del «Corriere», che Della Valle cercava di rendere indipendente, senza riuscirci.
Sul petto però mostra altre medaglie, che considera ancora più significative, quando la battaglia era titanica – «questi, dice, non sono poteri forti, forti erano ai miei tempi». E i «suoi tempi» sono le battaglie epiche contro Maranghi e Romiti. Ai tempi della scalata dei “furbetti del quartierino” guidati da Stefano Ricucci tenne salda la barra del timone. Gliene è rimasto il ricordo: a Marchionne e John Elkann che gli sbarrano la strada al «Corriere», riserva la locuzione «furbetti cosmopoliti».
Per non parlare dello storico disprezzo che esibì sempre nei confronti di Berlusconi. Anche se il suo cavallo era Clemente Mastella, che insomma, e andava pure alle feste dell’Udeur a Telese Terme – galeotto era stato l’amico Montezemolo che li aveva fatti incontrare.
E questa, insomma, quella della sua disponibilità lasciata intravedere a impegnarsi in politica direttamente in prima persona, sembra davvero la parte più improponibile della sua sfuriata contro Renzi, chi ce lo vede Della Valle in politica?
Sta già preparando una squadra di governo? Mavvia. Appoggerà l’esangue Passera e il suo Italia unica? Mavvia, non si spese neppure per l’Italia futura dell’amico Montezemolo. E allora, che succede? È solo la guerricciola dei paperoni italiani, la fine del capitalismo relazionale – quella degli aiutini di Stato e dei consigli si amministrazione delle banche e delle aziende che vedono nomi sovrapposti e famiglie sovrapponibili –, e la crisi da cui non si riesce a mettere fuori il capino sta scatafasciando tutto?
Magari le cose non sono spicciativamente spiegabili con uno scatto bilioso.
Però, per provare a capirle bisogna andare da un’altra parte. O, quanto meno, lì vicino. L’editoriale del «Corriere della Sera» di Ferruccio de Bortoli contro il governo Renzi e il patto del Nazareno, qualificato come «stantio odore di massoneria». De Bortoli pensa al Quirinale e al prossimo passaggio di consegne da parte di Napolitano – non è che lo tiri per la giacchetta, è stato lo stesso Napolitano a lasciar intendere che vorrebbe mollare, nel suo solito modo, che non è chiaro se in realtà vuole essere pregato per restare. Però, insomma, gli anni pesano.
De Bortoli e Della Valle non si amano per nulla, e Mister Tod’s non ha mai fatto mistero del fatto che non capisce perché debba restare a dirigere il giornale un direttore che è già stato licenziato, o meglio: che è licenziando, aprile 2015.
De Bortoli e Della Valle però hanno in comune un certo fiuto dell’aria che tira: Renzi è stata una soluzione emergenziale voluta da tutti per fermare l’avanzata, che sembrava inarrestabile, di Grillo, l’ultima spiaggia della politica dei partiti. Renzi è stato il compromesso di tutta la politica italiana. Ci ha messo del suo, nel far fuori Letta, nel giocarsela tutta insomma. E ci sta mettendo del suo nel non dare retta a nessuno, nel cercare sponde impensabili. Insomma, sembra ingovernabile – Della Valle lo definisce «in stato confusionale», ma questo è. L’emergenza grillesca è finita, d’altronde, anche grazie a Renzi.
Mentre la crisi non è finita, e l’Europa potrebbe metterci in mora e mandare una troika, per sistemare i nostri conti. Se Draghi finisse pure al Quirinale, la quadra ci sarebbe.
Su una cosa però Della Valle sembra aver proprio ragione: Renzi non ha opposizione.
Opposizione politica alla luce del sole.

Nicotera, 29 settembre 2014

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