C’è un sito, legato a Indymedia Usa, che si chiama “Copwatchers” – quelli che sorvegliano i poliziotti. Il loro slogan è: “We need more copwatchers! Not more cops with cameras”. Abbiamo bisogno di più persone che sorvegliano i poliziotti e meno poliziotti con le videocamere. Se le attaccano alle divise, le videocamere, sui giubbotti antiproiettili, insieme a una miriade di gadget, torce, stringitubi di plastica come manette, spray urticanti eccetera. Forse si può partire da qui per capire quel che sta succedendo a Ferguson, Missouri, dove il 9 agosto è stato ucciso da un poliziotto il giovane nero Michael Brown.
Probabilmente, l’idea dei Copwatchers è la riproduzione di quello che accadde fortuitamente con Rodney King, il tassista nero che il 3 marzo 1991 subì un violento pestaggio da parte di quattro agenti del Los Angeles Police Department da cui era stato fermato per eccesso di velocità, quando le immagini girate da un videoamatore inchiodarono i poliziotti al loro folle comportamento. Al processo, però, l’anno dopo i quattro poliziotti autori del pestaggio furono assolti: e lì scoppiò la rivolta della comunità nera di Los Angeles. Furono sei giorni di rabbia e dolore: il governatore della California richiese l’intervento della Guardia nazionale. Il presidente di allora, il vecchio Bush, dichiarò che era sua intenzione «impiegare tutta la forza necessaria» per restaurare l’ordine: unità dell’Esercito, una compagnia della Polizia militare e millecinquecento Marines arrivarono a supporto della Guardia nazionale. I morti furono cinquantaquattro, i feriti duemila, tremilaseicento incendi vennero appiccati, e millecento edifici rimasero distrutti; alcune stime parlarono di un miliardo di dollari di danni.
Purtroppo non ci sono immagini di quello che è successo a Michael Brown. Piaget Crenshaw, una residente del sobborgo di St. Louis che ha detto ai giornalisti di avere assistito alla morte di Brown guardando dal proprio appartamento che si trova nelle vicinanze, non è sembrata sorpresa dallo scoppio dei tumulti, a causa dei quali le scuole sono state chiuse e parecchi negozi saccheggiati. «Questa comunità aveva un bel po’ di problemi ben prima che scoppiasse questo casino, ha detto. And now the tension is finally broken. E adesso la tensione è finalmente esplosa».
Dei cinquantatre funzionari della polizia locale solo tre sono neri, e mentre il rapporto fra popolazione nera e bianca è del 63 contro il 33 per cento su ventunomila abitanti, tra gli arrestati si conta il 92 percento di neri e solo il 7 percento di bianchi. Eppure Ferguson non è un’area violenta di criminalità, messa a confronto con altri sobborghi della città – Jennings, Hazelwood, Berkeley – sembra una zona relativamente tranquilla. Un sondaggio di questi giorni del Pew Research Center mostra che gli americani sono profondamente divisi per linee razziali in reazione all’uccisione di Michael Brown. L’ottanta percento dei neri intervistati pensa che dall’episodio ne possano venire fuori istanze significative intorno alla questioni di razza che vanno discusse e approfondite; ma solo il trenta per cento dei bianchi lo pensa. Un’altra cosa che il sondaggio dice è che il 76 per cento dei neri ha scarsa o nessuna fiducia nelle indagini perché si venga a capo del caso; tra i bianchi, la stessa percentuale mostra invece di credere che sarà la polizia a sistemare le cose.
Ieri la polizia ha arrestato numerosi manifestanti: alcuni di loro venivano da New York o da Oakland o da altre città, a est e a ovest. C’erano neri, c’erano bianchi. Ferguson sta diventando il catalizzatore delle proteste americane. Benché gli indici economici parlino di una ripresa della produzione e di un aumento dell’occupazione, l’America è in un momento di particolare difficoltà. Il movimento di protesta che si era coagulato contro la crisi finanziaria scoppiata dopo il crollo di Lehman Brothers e che indirizzava la propria rabbia contro Wall Street – We are 99 percent, il loro semplice ma efficace slogan – è andato lentamente esaurendosi. Eppure ha avuto momenti di grande visibilità e intensità, intorno Zuccotti Park. Occupy Wall Street si è poi riprodotto un po’ dappertutto negli Stati uniti, di volta in volta prendendo il nome della città dove si sviluppavano le proteste. È rimasto però perlopiù, a parte qualche storia particolare, un movimento di opinione. Di opinione bianca. E di middle class, di ceto medio. Né i sindacati, né le varie organizzazioni dei neri hanno fatto qualcosa più di tanto per affiancare Occupy.
Pure negli anni Sessanta accadde così: i neri erano diffidenti di tutti quegli studenti bianchi che si ribellavano ai loro privilegi. Che ne sapevano loro della miseria dei ghetti, del razzismo della polizia, della violenza quotidiana? Che ne sapevano loro della schiavitù? Fu poi l’opposizione alla guerra in Vietnam che costruì il ponte di collegamento tra i college e i ghetti: continuarono a lottare ciascuno nei propri “territori”, ma si era costituito un fronte. Che vinse, quando gli Stati uniti si ritirarono dal Vietnam.
Chissà che accadrebbe se la rivolta di adesso a Ferguson diventasse una Occupy, Occupy Ferguson.
Roma, 19 agosto 2014