Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb, l’azienda di telecomunicazioni coinvolta in una truffa da centinaia di milioni di euro insieme a Telecom Italia Sparkle, ha un sito: silvioscaglia.it. Sulle pagine web campeggia una sorta di calendario-conteggio bloccato, con i giorni e le ore e i minuti che Scaglia ha passato tra carcere e arresti domiciliari, da quando esplose lo scandalo: 363 giorni, 3 ore, 35 minuti e 40 secondi. Un anno di carcere. Un anno di carcere fatto a gratis. L’accusa era di “partecipazione all’associazione per delinquere”. Tre anni e mezzo ci sono voluti, dal 23 febbraio 2010, quando scatta il mandato internazionale di cattura contro Scaglia – che si trova all’estero, e torna subito in Italia per consegnarsi ai magistrati – alla sentenza di primo grado, 18 ottobre 2013. È questo il tempo che c’è voluto per assolverlo. La tesi dell’accusa era che Scaglia, in quanto fondatore di Fastweb, «non poteva non sapere» – una di quelle formulazioni distorte e allusive spesso usate dai giudici inquirenti – quanto di illegale e fraudolento stesse accadendo, «pertanto, consapevole del ruolo essenziale assunto dalla Fastweb spa all’interno della filiera delle società coinvolte, nonché dei molteplici ed indebiti benefici percepiti ai danni dello Stato». E invece le cose stavano proprio così: Scaglia non sapeva e in realtà era parte lesa – altri i responsabili, tra cui alcuni impiegati infedeli dell’azienda –, come d’altronde la sua società Fastweb.
La prima parola-chiave per capire l’inghippo è “carosello”. La seconda parola-chiave è “società cartiera”. La base della frode sta nel fatto che le merci non si muovono realmente ma solo “sulla carta”: una prima società vende (fittiziamente) a una seconda che innesca il carosello. Questa società, detta cartiera perché produce vendite solo cartacee, generalmente non esiste, possiede solo una partita Iva ma è priva di una sede, e il suo rappresentante legale è spesso un intestario fittizio. La cartiera, ricevuto il bene dal primo soggetto lo cede a un altro acquirente che formalmente ha tutte le carte in regola. È una società filtro, dal momento che si interpone tra la cartiera e l’ultimo anello della ipotetica catena al quale spetterà il compito di immettere sul mercato il prodotto “scontato”. Può accadere che a fare da filtro siano anche società completamente inconsapevoli della frode, che semplicemente avevano acquistato una partita di prodotti da un fornitore che li proponeva a un prezzo concorrenziale, per poi rivenderla a condizioni sensibilmente più vantaggiose rispetto al prezzo normalmente praticato.
Questo meccanismo avrebbe funzionato per due “operazioni”: una denominata ‘Phuncard’, l’altra ‘Traffico telefonico’. La prima riguardava la commercializzazione di schede prepagate, che avrebbe dovuto consentire l’accesso tramite un sito internet a contenuti tutelati da diritto d’autore, in realtà inesistenti. La seconda aveva per oggetto la commercializzazione di “servizi a valore aggiunto” (del tipo “contenuti per adulti”) attraverso servizi di interconnessione internazionale per il trasporto di traffico telematico, anche in questo caso inesistente. Le operazioni fittizie sull’Iva avrebbero consentito a Fastweb e Telecom Italia Sparkle di realizzare “fondi neri” per enormi valori. In realtà, per quello che poi emerge al processo Fastweb-Telecom Sparkle, i “fondi neri” rimangono attaccati alle mani dei diversi passaggi tra società fittizie: “inventori” di queste società cartiere sono, tra gli altri, Silvio Fanella, ucciso nell’abitazione alla Camilluccia, e Gennaro Mokbel – le cui “imprese” si arricchiranno poi della storia del senatore Di Girolamo, eletto col trucco all’estero, sostenuto da elementi della ndrangheta, e poi dimessosi, nonché dell’inchiesta Finmeccanica sempre per fondi neri – insieme alla moglie. I tre vengono condannati, rispettivamente, a nove, quindici e otto anni, accusati della movimentazione di denaro in Italia e all’estero e del rientro nel nostro Paese dei capitali acquisiti con le loro società fittizie, per reinvestirli nell’acquisto di immobili, attività commerciali, preziosi e altri beni. Insomma, un piccolo impero. Fanella, assieme a Mokbel, avrebbe costituito alcune società in paesi appartenenti alla black list – per i quali vige una fiscalità privilegiata, insomma i “paradisi fiscali” –, gestendo di fatto la collocazione e la distribuzione delle enormi somme di denaro acquisite. Fanella era considerato il cassiere di Gennaro Mokbel, l’«uomo nero» di tutte queste inchieste. Fra l’altro, nessuno sa esattamente in quanto consista il “tesoretto” messo da parte. Forse qualcosa non deve essere andato come concordato.
Nicotera, 3 luglio 2014