C’è una strana sovrapposizione di ruoli tra l’uomo che persegue i reati degli uomini in terra e l’uomo che cura le anime dei peccatori e le avvia verso le porte del cielo; uno strano scambio di ruoli tra il giudice e il pastore. Parlo di Nicola Gratteri e di papa Francesco. L’uno è Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria e magistrato della Direzione distrettuale antimafia, l’altro è il pontefice della Chiesa cattolica apostolica romana.
Gratteri, nell’autunno scorso, pubblica con Antonio Nicaso, giornalista, professore e storico delle organizzazioni criminali, con cui ha già scritto in precedenza libri divenuti bestseller, Acqua santissima. La Chiesa e la ‘ndrangheta: storie di potere, silenzi e assoluzioni, anche questo in breve un successo editoriale, con presentazioni affollate in molte città d’Italia. In un’intervista fatta a entrambi, spiegano «lo sviluppo narrativo» del libro-denuncia. Dice Nicaso: «Non è un libro contro la chiesa, fa una riflessione su alcuni concetti come la conversione, il peccato, il perdono… La conversione non deve essere un fatto privato, ma deve esternalizzarsi alla comunità. Il peccato e la colpa sono verso la società. È chiaro che la Chiesa deve perdonare, rischia però di entrare nella testa dei mafiosi una giustizia di Dio e una degli uomini…» Dice Gratteri: «La chiesa dovrebbe essere più incisiva e spazzare via ogni ombra sui rapporti tra alcuni sacerdoti e vescovi con uomini della malavita… C’è bisogno di una chiesa forte sul territorio. Il libro si propone di aprire un dibattito su temi come perdono e conversione ed è indirizzato a tutti. Noi riteniamo che non ci possa essere conversione che non dia frutti nella società…»
Conversione, peccato, perdono, sembra materia di preti, qualcosa di cui parlare all’oratorio, una domenica in cortile con tanto sole, a passeggiar. Perché un magistrato, nonché un professore emerito, parlano di anima, di cose di chiesa? Eppure, il libro si conclude con parole di speranza verso questo nuovo “vescovo” che si chiama Francesco, «che sta mettendo in discussione lo Ior e sta spezzando i legami tra finanza vaticana e investimenti dubbi da parte di terzi».
È una scoperta simpatia, e d’altronde tanta simpatia nel mondo intero ha suscitato Francesco. C’è qualcosa di più, però. A una presentazione del libro Gratteri si lancia senza paracadute: «Ho visto in Sud America preti che andavano nelle favelas e anche papa Francesco lo faceva quando era prete in Argentina.. è il prototipo di papa giusto… in uno dei momenti di maggiore oscurantismo della chiesa». Per carità, Gratteri ha tutto il diritto di avere una sua opinione sul passaggio storico della chiesa, ma non è un po’ fuori seminato?
Gratteri tira la volata e “il vescovo”, sorprendentemente, prende la sua ruota. Nel recente viaggio in Calabria, a Cassano, papa Francesco nel suo discorso usa un’espressione che non era nemmeno prevista nell’integrazione del testo ufficiale: «I mafiosi, dice, sono scomunicati». Gratteri ribadisce subito: «È più di un secolo che aspettavamo che un papa scomunicasse i mafiosi».
I canonisti però vanno in tilt, perché non esiste nel diritto canonico il reato di mafia. E ben si capisce. La chiesa parla alle persone, condanna le azioni malvagie delle persone e cerca il cuore delle persone per poterle redimere. La chiesa non può prevedere il reato di “associazione”. C’è l’assassino, il criminale, il ladro, il truffatore, il grassatore. “Il” mafioso. Non c’è, nelle parole della chiesa e nel diritto della chiesa, l’associazione criminale. È questo, d’altronde, il fondamento della speranza per ognuno. Mafioso o meno.
Papa Francesco, invece, introduce il peccato per “concorso morale”. Ogni associato è responsabile dei reati di tutta l’associazione, ogni associato verrà scomunicato come scomunica per tutta l’associazione.
Perché Papa Francesco introduce nelle parole della chiesa la scomunica come un 41 bis? Perché Francesco scomunica, come pure è suo diritto di monito, ogni associato mafioso come stesse facendo l’arringa da pubblico ministero in un maxiprocesso?
«Il peccato e la colpa sono verso la società», dice Nicaso. È una strana commistione tra il fondamento del diritto penale e le basi del diritto canonico. Emotivamente funziona, anche simbolicamente funziona, ma la lotta contro la ‘ndrangheta, economica, politica, militare, e anche spirituale, ha bisogno di risorse diverse dal sentimento.
Lo diciamo con tutto il rispetto per il giudice Gratteri, un uomo intelligente, tenace, coraggioso e dalla schiena diritta; e anche per papa Francesco, un uomo altrettanto intelligente, tenace, coraggioso e dalla schiena diritta.
I mafiosi – quelli associati, dico – prima erano massoni e cattolici, ora magari scopriranno il calvinismo e il protestantesimo. Al carcere di Larino, con lo sciopero alla messa, hanno già affisso le 95 tesi di Lutero.
Roma, 7 luglio 2014