Le mutande di Vallanzasca e le nostre mutandis

CRONACHE
Milano, Vallanzasca arrestato per un furto in un supermercato: la semilibertà sarà forse sospesa

vallanzasca_arrestato_rubate_mutandeChissà quanti ne fermano ogni giorno, i vigilanti del supermercato Esselunga di viale Umbria a Milano. Quando entra un pensionato in un supermercato, viene quasi da vederli, che subito i vigilanti si parlano al walkietalkie: «Ehi, occhio, ne è entrato un altro, giubbino bianco, pantaloni beige, calzino verde, scarpe di corda, viene verso di te». E dall’altro lato, la voce gracchia: «Ricevuto, individuato, Roger». Neanche fosse entrato un talebano pronto a farsi scoppiare per la sua cazzo di jihad. Oggi, nei supermercati non sono i ragazzi post punk coi capelli colorati, o le donne dall’aria sfatta con la sporta grande o i pakistani che odorano di aglio che mettono subito in sospetto i vigilanti. No, sono i pensionati, le persone a rischio. Perché quelli non arrivano a fine mese neppure se fanno una full immersion di stelline in brodo, con pure la tazza di orzo la sera e il pane duro dentro, e ormai sono disposti a tutto, a spacciare erba al parchetto, a appiccare fuoco a un negozio di notte se glielo chiedi, a rubare. E taccheggiano per campare.
Ma questo, Vallanzasca non può saperlo. Lui non è mai stato un uomo qualunque. Di anni ne ha sessantaquattro adesso, l’aria proprio di un pensionato dismesso, è in regime di semilibertà: esce dal carcere di Bollate alle 7.30 di giorno, per tornare la sera alle 19.30, ma stava godendo di un permesso di tre giorni, proprio perché sta filando dritto. Da venerdì a lunedì: li avrebbe passati con la sua nuova ragazza. Perché a Vallanzasca, le ragazze non sono mai mancate. Dunque: è venerdì sera, e sono le 20. Così i vigilanti l’avevano seguito mentre girava per gli scaffali. O avevano attivato una qualche telecamera. Lui, aveva messo un po’ di roba da mangiare in una borsa, poi aveva tirato fuori due mutande dalle confezioni e infilate in uno zaino, dove aveva aggiunto un po’ di concime e un paio di cesoie – chissà magari gli passava per la testa di sistemare l’aiuola a casa della ragazza, che fa proprio tristezza.
Quando è andato alla cassa a pagare le sue cose da mangiare gli hanno detto: «E quello?» – indicando lo zaino. Lui ha fatto spallucce. Settanta euro di merce. E così hanno chiamato i carabinieri. Pare che Vallanzasca abbia detto: «Vedete che casino adesso». Non voleva mica minacciare qualcuno, solo che la sa, la tiritera. I vigilanti si saranno messi a ridere: quell’ometto smunto, con gli occhi slavati e quattro ciuffi di capelli in testa, un’aria quasi da barbone. Poi i caramba gli hanno chiesto i documenti, lui li ha tirati fuori e lì è scoppiato il casino davvero. Nessuno fino a quel momento lo aveva riconosciuto. E come potrebbe? Questo, signore e signori, era il re della Comasina, il bel Renè dagli occhi azzurri di ghiaccio che faceva innamorare le donne, l’uomo dei sequestri e delle rapine sanguinarie, il capo di una delle bande più feroci che si siano viste in Italia. Un bandito vero, come si vedono nei film americani. Uno che ha collezionato condanne a quattro ergastoli e 295 anni di reclusione. Uno che era pure scappato da san Vittore, con un conflitto a fuoco. Uno che i giornali gli sbavavano dietro per avere un’intervista, una foto. Uno su cui ancora si scrivono libri. Un’epopea insomma in carne e ossa degli anni Settanta, quando succedevano queste cose. Ora, certo, è questa roba qui – uno che ruba mutande nei supermercati –, forse ne avrebbe pure diritto a non essere più nessuno. A che noi, lo si dimenticasse.
Invece, arresto per direttissima e gli hanno tirato furto aggravato – aggravato da che? –, rischia fino a quattro mesi. E il brutto è che il magistrato di sorveglianza ha detto che dovrà pensarci, però, certo è possibile che la semilibertà gliela revochino. Per due mutande. Nelle foto, lo si vede con la testa bassa, tra un nugolo di carabinieri manco avessero preso l’assassino di Yara o scortato Dell’Utri di ritorno dal Libano, quasi incassata tra le spalle, con gli occhiali da presbite sulla punta del naso, pronti a cadere. Non fa tenerezza, questo no, però forse avrebbe diritto a essere uno qualunque per il tempo che gli resta.
Un paio d’anni fa aveva trovato lavoro, a Sarnico, sul versante bergamasco del lago d’Iseo. Commesso in prova in un negozio. La mattina usciva dal carcere di Bollate e con l’autobus arrivava a Sarnico, e ci lavorava tutto il giorno. «In modo ineccepibile», disse poi la titolare del negozio. Solo che qualcuno l’aveva riconosciuto, la notizia si era sparsa, e davanti al negozio, per tutto il giorno, sostava una folla di giornalisti e fotografi. Articoli sui giornali locali, lettere, un putiferio. Si era indignata la signora Gabriella Vitali, vedova di Luigi d’Andrea, ucciso assieme al collega della polizia stradale Renato Barborini dalla banda di Vallanzasca, nel 1977, proprio nella Bergamasca, all’altezza del casello dell’A4, e i giornali avevano pompato la cosa. Si era indignato il prefetto di Bergamo, Camillo Andreana, e aveva scritto al ministero di Giustizia, al tribunale di sorveglianza di Milano, alla direzione del carcere di Bollate e ai dirigenti dell’amministrazione penitenziaria chiedendo di rivedere la scelta, definendola «inopportuna e illogica». Indignato si era anche il sindaco di Sarnico, Mario Dometti: «Sarnico avrebbe dovuto essere preparata».
Alla fine era stata la titolare del negozio a mettere fine alla vicenda, dando il benservito al suo commesso diventato ingombrante. Vallanzasca l’aveva saputo in carcere, la sera, che l’indomani non sarebbe più andato al lavoro. E nessun altro giorno.

Nicotera, 16 giugno 2014

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