Non intendo parlare qui de La grande bellezza, il film [anche perché ho paura che Servillo arrivi di corsa a menarmi]. Intendo piuttosto parlare di quel particolare fenomeno per cui, da circa un mese, dopo averlo sostanzialmente sottovalutato o sfanculato, il film di Sorrentino, candidato agli Oscar, è diventato una “impresa collettiva italiana”, un orgoglio di cui andare tutti fieri, un caloroso sostegno da profondere e un augurio sincero da nominare nelle preghierine della sera perché vincesse. Non fare questo sarebbe stato – come dicono gli americani – profondamente unitalian.
Questo in dichiarazioni di politici di mestiere, di professionisti della critica. Con una pervicacia e un appassionamento che, soprattutto se messi a petto della precedente sottovalutazione e sfanculamento, lasciano perplessi.
Nel 1948, dopo l’attentato a Togliatti del signor Pallante che gli sparò davanti al parlamento, mentre i comunisti duri cominciavano a tirare fuori le armi che avevano nascosto e preparavano una insurrezione, con Togliatti che già a terra e mezzo intontito invitava alla calma i suoi come aveva fatto per circa vent’anni, il ciclista Bartali vinceva il Tour de France.
Un trionfo nazionale, il mondo intero ciclistico si inchinava davanti quel toscanaccio indomito e sgraziato. Benché nella lista dei campioni che hanno ispirato il nostro Sorrentino non ci stia [ci sono invece Maradona e i Talking Heads], io credo che Bartali c’azzecchi assai.
Una metafora dell’orgoglio nazionale – la dura fatica, la volontà di riscatto – che poteva e doveva tenerci uniti nella ricostruzione dopo le macerie della guerra, senza stare a dividerci sulla politica.
La leggenda della storia dice che il gran battage fece presa, che il popolo fu in festa per Bartali e non ci pensava proprio all’insurrezione, che diventava una cosa pure di pessimo gusto nel momento.
Bartali ha sempre negato, non gli piaceva farsi coinvolgere in queste cose, e per quanto fosse un democristiano, lo era in modo anomalo, fece cose per la Resistenza e fece cose per salvare gli ebrei.
Però, ci si ricorda sempre di quel suo “Tutto da rifare”, che in quel momento più che parole della delusione suonavano come parole di un riscatto di popolo.
Ora, con tutto questo battage programmato, con tutta questa retorica nazionale su un film che ha vinto un concorso, non è che Sorrentino sta interpretando la parte che fu assegnata a Bartali?
Allora c’era la faccia della fatica e del lavoro: oggi sento parlare di talento e creatività, che a noi italiani non mancherebbero – e il premio lo dimostrerebbe a iosa -, e insomma, sì, c’è la crisi, e la disoccupazione, e le tasse, e le imprese col culo per terra, e le scuole sono in dismissione e non parliamo di cultura e università, e però vedi che si può vincere?
La faccia opposta di Schettino che ci fece inorridire e fece inorridire il mondo, eccola qua.
Come Italo Balbo che attraversò per primo l’Atlantico con i suoi idrovolanti e fece festeggiare il fascismo.
Basta lamentarsi, che cazzo. Fate film, che vincerete gli Oscar.
O vincete il Tour de France o trasvolate l’Atlantico.
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