Raccogliere il dieci per cento di elettori – dentro una forbice che va dal sette al quattordici per cento, nelle varie circoscrizioni –, in una votazione dove l’astensionismo ha di nuovo raggiunto il cinquanta per cento – ormai un dato stabile, un fattore che rende praticamente insignificanti tutti i sondaggi e i calcoli preelettorali –, senza fondi, senza strutture di partito, con una campagna stringentissima dei due avversari e contendenti principali alla mobilitazione ideologica e clientelare dei propri apparati, in un tempo brevissimo per la presentazione della lista e la diffusione sul territorio, è una affermazione politica strepitosa. C’è gente (gente della politica, che campa di politica) che darebbe un rene per avere quel dieci per cento.
Che questo dieci per cento finisca col non avere rappresentanza istituzionale è un insulto alle decine di migliaia di cittadini che hanno votato Michela Murgia e uno sfregio barbarico alla democrazia.
Per me sono questi – astensionismo e affermazione della Murgia – i due dati politici importanti delle elezioni regionali in Sardegna. Che abbia vinto Pigliaru un po’ sull’onda renziana e tanto per demerito di Cappellacci (un governatore disastroso) che aveva pure goduto del (sinora) miracoloso appoggio di Berlusconi, mi pare stia nell’ordine delle cose.
La vera novità era la lista di Michela Murgia. Certo, si poteva sperare che i pasticci e i pastrocchi delle liste grilline e del grillismo sardo lasciassero fuoriuscire un significativo numero di voti verso la Murgia. Ma i grillini militanti le hanno fatto una intensa campagna contro (cosa di cui peraltro la Murgia si è fregiata) –- e i voti di quell’area si sono probabilmente distribuiti in buona parte verso il Pd (e comunque sono proprio quella piccola parte di scarto su Cappellacci che ha permesso a Pigliaru di vincere) e in parte verso l’astensionismo.
Murgia è una scrittrice, non un comico, il suo livello di popolarità, per quanto alto nella sua terra, deve rompere diverse barriere del suono. Inoltre, il suo indipendentismo, la sua “idea repubblicana” non era nel solco né del vaffanculismo né dello storico separatismo sardo, e mi sembra piuttosto una proposta, un progetto innovativo e complicato, tutto ancora da costruire.
Bene, un dieci per cento di “peso elettorale” – benché nella vergogna di non-rappresentanza istituzionale – avrà modo, io penso e spero, di trasformarsi in “peso sociale”, in iniziative, eventi, battaglie, proposte puntuali, opposizioni.
E anche in prossime tornate elettorali, perché no? E anche in una tessitura di rapporti e relazioni in altri territori meridionali, perché no?
È solo l’inizio di un percorso, una cosa nuova. Auguri.
Messina, 18 febbraio 2014