Il documento di Negri e Mezzadra [Rompere l’incanto neoliberale: Europa, terreno di lotta, lo si può leggere qui] ha creato scandalo o interesse “a sinistra” per quella apertura a Tsipras, e alla sua candidatura a presidente della Commissione europea. Il testo è ben più ricco e articolato – troverò modo di parlarne – di questa opzione, d’altro canto è sciocco fingere sia una cosa buttata lì, tanto per dire qualcosa. Non avendo da un pezzo alcuna pregiudiziale sul voto e acconciandomi, di volta in volta, a decidere un atteggiamento a seconda delle “conseguenze politiche” di opportunità che può significare [ho votato Grillo alle ultime politiche, per quell’effetto di “stallo” che avrebbe comportato piuttosto di una vittoria del Pd che veniva data per certa; ho scelto l’astensionismo alle amministrative di Roma, per quella “fragilità” di cambiamento che Marino sembrava rappresentare] mi sembra stimolante, senza diventi un’ossessione o un’esclusione, discutere di questa “circoscritta questione” – ovvero, quale voto a maggio.
C’è una affermazione iniziale curiosamente sciatta, che funge da premessa concettuale, nel testo di Negri e Mezzadra, ed è la seguente: «È facile prevedere, nella maggior parte dei Paesi interessati, un elevato astensionismo e una significativa affermazione di forze “euroscettiche”». Le due cose – elevato astensionismo e affermazione di forze euroscettiche –, invece, non “combaciano” politicamente: le forze euroscettiche tendono a prosciugare il serbatoio dell’astensionismo, così come, oltre alla rivitalizzazione del proprio elettorato, è a quel serbatoio che guardano le forze più europeizzate. Pensiamo allo scenario italiano: il movimento di Beppe Grillo [classificabile fra gli euroscettici] punta moltissimo alle elezioni di maggio, per ridare patina a un’immagine un po’ offuscata e vi si sta impegnando con dispendio: l’Europa è un cavallo di battaglia del “grillismo” e quindi un’occasione per invertire quella tendenza che ovunque ha visto ridurre quando non dimezzare l’exploit di consenso elettorale raccolto e un altro flop aprirebbe emorragie inarrestabili; Matteo Renzi [classificabile tra gli europeizzati] si gioca parecchio a questa prima prova elettorale, soprattutto nel “controllo” del partito e nell’immagine di un leader nuovo che è capace di vincere, e quindi metterà il Pd ventre a terra a raccogliere voti; lo stesso Berlusconi [non classificabile], che sta cercando di ricostruire una qualche macchina elettorale e assumere toni apocalittici, vorrà dimostrare d’essere l’unico vero interlocutore “a destra”. Insomma, se è vero che in generale le elezioni europee sono abbastanza disertate dagli elettori anche perché le macchine dei partiti le hanno finora considerate di secondo piano, questa inerzia non vale per queste elezioni di maggio. Non saprei dire con dovizia di altri paesi [la Francia o la Germania, a esempio, che pure sembrano divergere, ma mi è difficile credere che il “nuovo patto” tra la Merkel e la Spd venga incrinato dai risultati delle europee], ma per l’Italia le cose stanno così: l’impegno di tutte le forze politiche sarà
considerevole a mobilitare le proprie macchine organizzative e a prosciugare l’astensionismo.
Parafrasando Henry Ford [«Ogni cliente può ottenere una Ford T di qualunque colore desideri, purché sia nero»], io dico subito: «Alle prossime Europee, schieratevi con qualunque partito vi stia a cuore, purché vi asteniate dal voto».
A queste elezioni se l’astensionismo sfonderà il muro del settanta per sento [considerando che a tutte le ultime amministrative è stato superato quello del cinquanta per cento] qualsiasi rappresentanza politica, euroscettica o europeizzata che sia, è dichiaratamente illegittima a rappresentare alcunché in Europa, a decidere in Europa. So bene che qualsiasi sarà la soglia dell’astensionismo, la governance europea proseguirà i propri processi di organizzazione e comando, cercando e trovando punti di equilibrio. Ma politicamente, simbolicamente, la frattura fra bisogni e desideri di Europa, di una qualsivoglia idea nuova d’Europa, e una minoranza che governa [una minoranza sociale, beninteso, non solo partitica] sarà evidente e irreversibile. Lo sarà, non perché i numeri lo mostrano [altre volte i numeri hanno mostrato indifferenza], ma perché i numeri lo mostrerebbero dentro la crescita di una sofferenza sociale e di un desiderio di cambiamento che in altri momenti non ha avuto questi stessi caratteri d’adesso.
Approfondire la crisi politica dell’Europa, di questa Europa – senza il timore dei populismi, dei nazionalismi, che pure sono presenti – mi sembra piuttosto il “compito dell’ora”. La premessa per ingigantire la crisi di questa rappresentanza [che sia sovranazionale, piuttosto che territoriale, non ne modifica gli odiosi meccanismi] e l’irrobustimento dei processi di aggregazione e di costruzione della forza dei movimenti sociali europei.
Con tutto il rispetto per Tsipras, e pure per il testo di Negri e Mezzadra.
Nicotera, 12 gennaio 2014