Cretinismo istituzionale, il comitato dei saggi è come l’intergruppi degli anni Settanta

napolitano_giorgioFacciamo come in Olanda. No, facciamo come in Belgio. Sembra la riedizione delle inveterate chiacchiere sul tipo di sistema elettorale — facciamo come la Francia; no, facciamo come la Germania — solo che le dimensioni di riferimento si sono ridotte. Perché mai due paesucoli europei dovrebbero essere di modello alla nostra storia costituzionale e politica, e alla complessa e italianissima situazione del dopo voto, è davvero il sintomo di una irrefrenabile corsa verso la demenza politica. Uno lancia lì una battuta, e questi ne fanno costituzione.
Adesso abbiamo un comitato di saggi, distinti in ben due commissioni. Chiunque abbia un po’ di pratica di assemblee e congressi, sa benissimo come si decida a un certo punto di istituire delle commissioni dove si mettono i “compagni” brillantissimi e comunque fedelissimi e senza alcun potere decisionale: i giochi si fanno altrove. Cosa mai potranno decidere tipi come Violante e Giorgetti e Quagliarello e Mauro resta proprio un mistero — sembra di quegli incontri anni Settanta, l’intergruppi, con il manifesto, potere operaio, avanguardia operaia, lotta continua, cose così: mai sortito alcunché, bellissimi e oscurissimi documenti, certo. Tradizione comunista, d’altronde; Napolitano è a casa sua, quante volte hanno messo lui nelle commissioni inutili. Il cretinismo istituzionale è una malattia congenita della sinistra italiana.
Napolitano ha portato tutti esattamente dove voleva arrivare: la determinazione con cui aveva negato la presidenza del Senato a Monti — la cui richiesta era stata da tutti definita come volgare ma che in realtà apriva una prima occasione di trattativa, di partizione e sblocco — era lo specchio dell’irritazione con cui aveva accolto l’ascesa in campo del professore: significava che voleva lasciarlo lì proprio per poter certificare che un governo esiste già e non c’è bisogno di strapparsi i capelli se un altro non ne sortisce.
La sua monarchia costituzionale — è vero: in Olanda c’è una regina e pure in Belgio c’è un re, e entrambi sono stati determinanti per la formazione di governi da partiti in impasse, il “modello” ora diventa calzante — fa da contrappeso alla fragilità del parlamento e dei partiti. In realtà, se ne alimenta: quanto più quelli si pongono veti l’un l’altro, tanto più lui si fa forte. Napolitano è il problema, non la soluzione.
Camera e Senato sono completamente svuotati d’ogni potere — si avviano verso la normale attività amministrativa — come se non avessimo neppure votato per dare potere al parlamento, per dare responsabilità al parlamento. Quanto più si accendono incensi di retorica attorno le due Camere e i loro presidenti — persone eccellentissime, sia chiaro — tanto più si attesta la loro assoluta inutilità.
Eppure abbiamo votato.
I partiti e i loro leader hanno giocato questa partita sotto il segno della paura: Bersani e Berlusconi sotto quella dell’avanzata di Grillo, Grillo stesso sotto quella del proprio successo, inaspettato in queste forme, e quindi difficile da mantenere. Eppure tutti e tre avevano vinto, in realtà. Berlusconi con la sua incredibile rimonta, Grillo col suo 25 per cento che lo ha proiettato in una dimensione di assoluta rispettabilità istituzionale, Bersani con una Camera dove poteva fare sfracelli. Lui, che aveva più voti di tutti, ha giocato malissimo la sua partita, intrappolato dal cretinismo istituzionale: il potere dell’eccezionalità è rimasto nelle mani di Napolitano, invece che d’essere nelle sue. L’unico che aveva davvero perduto era Monti: più del 90 per cento degli elettori avevano condannato i sedici nefasti mesi del suo governo. Più del 90 per cento. E ora ce lo ritroviamo premier, a andare in giro in Europa, a decidere sull’Italia.
Eppure abbiamo votato.
Potevamo risparmiarcelo. La prossima volta, Grillo non avrà il 40 per cento, succederà invece come in Sicilia, di cui tanto si decanta: più del 50 per cento degli elettori se ne fottono. Se ne fottono del loro cretinismo istituzionale. Mi pare di capire che pure i partiti — vecchi e nuovi — se ne fottano dell’essere ormai minoranza sociale.
Forse non è un male neppure rendersi conto di questo.

Nicotera, 1 aprile 2013

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