Tutta la mia conoscenza diretta – un po’ pochino, per la verità – del Movimento 5 stelle si poggia su qualche visita che faccio al blog di Beppe Grillo, frammenti di discorsi, pezzi di dichiarazioni, post che leggo, video amatoriali che guardo. E – e è invece tantissimo – su quel che ne leggo contro d’esso sulla stampa o sul web o ne ascolto in televisione, da politici, da sociologi, da intellettuali. Data la sproporzione tra quello che ho sentito dire dal movimento e da quello che ho ascoltato e letto contro il movimento, ne ho quindi per lo più elementi di riflesso, indiretti. E negativi.
Devo aggiungere che per buona parte condivido le cose che vengono dette contro Grillo: il personalismo nella gestione politica del movimento, il populismo di certe affermazioni, la superficialità pericolosa di alcune posizioni, la fragilità delle proposte, l’ondivago sbruffoneggiare su questioni importanti, il suo sostanziale “berlusconismo”. Nello stesso tempo, visti i risultati e i numeri che finora questo movimento ha messo assieme – e non parlo dei sondaggi per le future politiche, ma delle elezioni già svolte, da Parma alla Sicilia – c’è una fetta significativa di elettorato che lo sostiene, che trova cioè in questa “offerta politica” una corrispondenza di sensi come non la trova in altre, e di cui io non so nulla e a spiegare il quale non bastano le “facce” dei più visibili, da Pizzarotti a Cancellieri agli ex Favia e Salsi, né, credo, le analisi puntuali e rigorose contro Grillo [tra le quali le migliori mi sembrano quelle di Marco Belpoliti, di Giuliano Santoro e di Francesco Merlo].
Chi lo sostiene? Voglio dire: del fenomeno del leghismo si capiva come lievito il sindacalismo di territorio contro la burocrazia e il parassitismo statale, le difficoltà della piccola impresa, lo spaesamento del lavoro di fabbrica rottamato e senza identità; pur nel passaggio a una “seconda generazione” di rappresentanza politica e con un bagaglio di capacità di amministrazione in comuni, province e regioni ormai collaudato quelle motivazioni restano ancora comprensibili e forti. Ma del “grillismo”? Del Movimento 5 stelle si capisce sinora la determinazione e la carica di attrazione contro il “sistema dei partiti”, che è poi diventato il tormentone dell’antipolitica. Si capisce solo questo, e forse sta pure qui la sua forza – come per la Lega la sua forza sta nella comprensibilità, se si vuole nella banalità della singola istanza “padana”. Alla complessità programmatica di partiti, vecchi e nuovi, che hanno decaloghi di proposte e riforme, i nuovi movimenti politici sembrano aggregarsi su una singola istanza, lasciando poi al leader di vagheggiare sul resto. Non so se sia una buona cosa, però pare funzionare.
Ora, fatta la tara di tutto il resto, a me questa cosa contro il sistema dei partiti non suona male. Se è vero, come io credo, che la sovradeterminazione dei partiti sulla cosa pubblica sia diventata più un problema che una soluzione. Anche solo come scossa, come stimolo, come incentivo ai cambiamenti. E non mi pare che a petto delle prossime elezioni i partiti vecchi e nuovi si siano davvero rinnovati. Voglio dire che la motivazione di questo movimento ha senso e lo avrà anche dopo le elezioni.
Che il prossimo parlamento risulti frammentato, che la formazione di un nuovo governo debba passare per una complessità di aggiustamenti che non gli diano la sensazione di impunità decisionale, a me sembrerebbe una buona cosa: preferisco un governo, qualunque governo, che debba “contrattare” con le istanze sociali a un governo che se ne impipi e giochi solo dentro il palazzo. Per me il concetto di governabilità, come quello di “uso del parlamento” sta qui. Non dico che sia la regola aurea costituzionale, però mi pare rifletta bene la nostra storia. E una pattuglia di eletti del 5 stelle che si dedichino a una occhiuta vigilanza può essere utile.
Perciò, senza per questo lanciare anatemi contro altre scelte, per le cose che penso, il voto a Grillo mi pare sia un voto mirato.
Roma, 26 gennaio 2013
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