Con le budella dell’ultimo papa / impiccheremo l’ultimo re

Easter Vigil Is Held In The Vatican BasilicaPer la verità, la canzonaccia recitava così: «Bruceremo le chiese e gli altari / bruceremo i palazzi e le regge / con le budella dell’ultimo prete / impiccheremo il papa e il re». Poi, la metrica degli slogan ha accorciato le parole. Si entrava nel Novecento — il verso precedente: «Alla stazion di Monza / arriva un tren che ronza / hanno ammazzato il re / colpito con palle tre» —, e Bresci c’era venuto dall’America a vendicare i morti operai della strage a cannonate di Bava Beccaris, a cui il “re buono” aveva concesso una medaglia d’oro per le sue gesta gloriose. Era la risposta dello stato all’invito della chiesa — la Rerum novarum di Leone XIII è di pochi anni prima —, intimidita dall’avanzare del socialismo, una nuova religione, a guardare con carità al lavoro e ai lavoratori. Il papa si ritirò a pregare. Gli anarchici a scrivere canzonacce.
Parliamo di un secolo fa, mica l’alto Medievo, mica i Catari o fra Dolcino, ma noi — quanta ragione hai, Benedetto, nell’opporti al relativismo — siamo ormai senza memoria, senza patria e senza padri. Senza comunità, senza chiesa. Così, da sinistra eh, mica da destra, tutti a scappellarsi di fronte al gran gesto, preoccupati a «non provincializzare», a «prendersi una pausa di meditazione», a farsi commuovere dallo spiritualismo della cosa, «a chinarsi con rispetto».
Ma dico: chissenefrega, no? Niente di personale.
Ha ragione Isnenghi [Storia d’Italia, I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla società dello spettacolo]: siamo un paese a doppia cittadinanza, al papa e al re, con i due sovrani sempre in conflitto — o in compromessi in cui ciascuno tira la coperta dalla propria parte — su chi debba essere davvero il dominus. Altro che “Libera chiesa in libero Stato”, come chiedevano i risorgimentali. L’una e l’altro hanno avuto poco a che vedere con la libertà. E allora: che siano canzonacce.

Nicotera, 13 febbraio 2013

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