Il 17 settembre scorso si è festeggiato – non tutti, certo: l’1% avrà mandato imprecazioni e maledizioni – un anno dalla nascita del movimento Occupy Wall Street, il più importante dei movimenti sociali che nell’ultimo periodo sono nati in Occidente, nell’Occidente vero, voglio dire. Benché il movimento sia attraversato da delusioni e difficoltà, la forza dirompente del suo manifestarsi ha avuto un’eco straordinaria, in Europa come nelle primavere arabe, da cui pure ha tratto fonte d’ispirazione e determinazione. A seguire i dibattiti che molti dei militanti hanno sviluppato su blog e siti web intorno e a ridosso delle presidenziali appena concluse, era evidente un certo scollamento e non poca frustrazione per le speranze che il movimento aveva depositato nelle mani del presidente e i risultati effettivamente ottenuti. C’era chi si dichiarava indeciso, chi diceva che non avrebbe votato di nuovo per Obama, chi avrebbe disertato le urne, chi avrebbe dato il voto con rassegnazione. E forse un po’ è andata così davvero: i voti a Obama sono minori di quelli della sfida contro McCain del 2008.
Eppure, da poco Eric T. Schneiderman, il capo della procura dello stato di New York, ha aperto un procedimento civile per frode contro JpMorgan, un nome che solo a sentirlo fa scattare sull’attenti o sdraiarsi a tappetino tanti potenti nel mondo, e che un ruolo centrale ha avuto nella crisi dei subprime, nei salvataggi e nel successivo riassesto delle banche più importanti d’America [e del mondo]. E benché in molti abbiano pensato a un’iniziativa dal forte sapore elettorale – anche se la task force voluta dal presidente si è istituita solo all’inizio di quest’anno –, Schneiderman ha già fatto sapere che non sarà la prima e unica denuncia. Non c’era, in questa “mossa” un accoglimento delle proteste dei manifestanti di Occupy?
E ancora. In Massachussetts, che è peraltro lo Stato di Romney, al Senato si è registrata la vittoria della democratica Elisabeth Warren contro una vecchia guardia e un mastino repubblicano. La Warren, che è professore di diritto alla Harvard, ha dedicato buona parte della sua attività e produzione intellettuale, oltre che alla consistenza dei diritti civili, contro l’operato in assenza di regole della finanza di Wall Street. Non stiamo parlando di una talebana avversa ai mercati, una dalla «collectivist agenda», come ha detto di lei George Will, columnist del Wall Street Journal: lei stessa recentemente ha dichiarato di aver votato in precedenza, negli anni Ottanta, per i repubblicani perché rappresentavano per lei il modo migliore di difendere i principi del mercato. Ma quando Obama volle metterla alla testa della nuova authority per la protezione del risparmiatore, la sua nomina è stata affossata al Senato di Washington dai repubblicani, che le rinfacciavano un appoggio troppo scoperto e troppo sostanziale ai manifestanti di Occupy, oltre alle dichiarazioni in cui sosteneva la necessità di tassare i ricchi. Rush Limbaugh, il demoniaco conduttore della destra estrema, l’attaccava con frasi del tipo: «È un parassita che odia il suo ospite, che vuole distruggerlo mentre intanto gli succhia la vita». Non ha il sapore di una grande rivincita questa vittoria della Warren, e non solo di lei?
Non sto dicendo – sarebbe una scorrettezza e una forzatura nei confronti di entrambi – che tra la Warren e Occupy vi sia sovrapposizione di temi e quindi una sorta di delega. Sto dicendo che la crisi finanziaria e la “leggerezza” con cui banche e fondi finanziari hanno frodato risparmiatori, ricattato l’economia con il loro “impossibile” fallimento – too big to fail – costringendo al bailout, al salvataggio sulle spalle dei contribuenti, e piccandosi di essere riusciti in breve tempo a restituire i prestiti e tornare a fare grandi profitti, nonché a distribuire somme favolose ai manager, beh tutto questo non ha lasciato indifferenti i cittadini. E parliamo di risparmiatori bianchi come delle centinaia di migliaia di neri che hanno perso la casa per l’impossibilità di fronteggiare i loro mutui crescenti. E la Warren, una studiosa e una giurista, non sarebbe mai riuscita probabilmente a raggiungere fette consistenti di elettorato se il suo “messaggio” non fosse già giunto, attraverso i movimenti di protesta, ai loro cuori, alle loro pance e alle loro schede.
Wall Street è rimasta fedele al suo spirito repubblicano, allo spirito di chi crede che i ricchi non vadano tassati perché sono loro la ricchezza del paese e se riducono i consumi ne pagano tutti le conseguenze – una sciocchezza dimostrata dalle teorie e dai dati storici, ma che si continua a ripetere e ha avuto qualche eco anche in Italia, quando qualcuno propose di tassare un pochino, solo un pochino i patrimoni oltre una certa soglia per coprire le aumentate spese degli esodati e ci fu una sollevazione di classe – di quella proprietaria – ammantata di queste ciofeche di chiacchiere.
Nel giorno in cui ciascuno tirerà un po’ per la giacchetta la vittoria di Obama – e gli ispanici, e i neri, e le donne e i nuovi occupati, e le mosse di Ben Bernanke, cose tutte vere peraltro – nel melting pot di questa straordinaria mattina io ci metto le ragioni di un movimento politico contro le barbarie della finanza. Non “contro la finanza”.
Ci saranno altri quattro anni adesso davanti per dare concretezza alle prime iniziative di Obama in merito. E ci saranno almeno altri quattro anni di Occupy, per continuare le loro battaglie.
Noi qui potremo pure continuare a chiederci perché un movimento come Occupy non sia riuscito a prendere piede. E pure a chiederci perché un politico – un intellettuale, un professore, un tecnico – come Obama non sbuchi fuori, e invece ci dobbiamo sciroppare Monti, la Fornero e Passera. Quelli – intellettuali, professori, tecnici – , cioè, che la finanza non si tocca.
Nicotera, 7 novembre 2012