Bravo Ben, ora sì che siamo sulla strada giusta: è il lavoro, l’occupazione il primo problema della crisi. Spiegaglielo a questi cazzoni che comandano in Europa. The Bernanke’s put

Non so che cosa ne dirà Paul Krugman, di solito sempre critico con le decisioni della Fed di Ben Bernanke perché insufficienti. A me questa decisione assunta ieri di intervenire acquistando mortgage bond, cioè titoli coperti da asset immobiliari, invece, sembra sorprendente e per molti versi inattesa. Soprattutto dopo il recentissimo incontro a Jackson Hole di tutti governatori delle banche centrali del mondo in cui Bernanke, rivisitando tutti gli interventi della Fed dallo scoppio della crisi a ora e pur rivendicandone l’utilità, aveva ammesso di muoversi a tentoni, con pragmatismo e senza ideologismi di sorta. Il che aveva lasciato perplessi tutti gli operatori finanziari che si aspettavano il nuovo quantitative easing, il QE3. Però, sì, lì qualcosa era pure emersa, quando aveva detto che la disoccupazione era un grave concern, una preoccupazione seria.

La decisione è importante per due motivi: il primo, perché ha come obiettivo non il salvataggio di un’istituzione finanziaria, il calmieramento del mercato dei titoli, o lo sblocco della liquidità, bensì direttamente il lavoro, cioè il bisogno di risollevare quel settore produttivo che tanta importanza ha in ogni parte del mondo, cioè l’edilizia; il secondo, perché con l’obiettivo di ridurre i guadagni della comunità finanziaria derivanti dagli alti rischi che oggi hanno i mortgage bond – e che Ben può ridurre intervenendo negli acquisti –, costringerà la speculazione a spostarsi su altri asset, più rischiosi, e cioè questo, a me sembra, il primo intervento specifico contro il parassitismo della rendita finanziaria.

Ora, vediamo di mettere a fuoco alcune cose. La prima: la Fed sta intervenendo avendo come obiettivo il lavoro. Non la stabilità dei prezzi, non l’inflazione, non il costo del denaro, non la massa monetaria, non il debito pubblico, non i titoli di Stato, ma il lavoro. Una Banca centrale – diciamo meglio, la Fed americana – ha messo al primo posto dei propri obiettivi oggi il lavoro, l’occupazione, la lotta alla disoccupazione. La crisi è crisi del lavoro. E io trovo quindi questa decisione un completo rovesciamento rispetto a quanto è stato fatto sinora dalla Fed stessa, che interveniva indirettamente verso il lavoro, e da quanto invece è l’obiettivo primario delle banche centrali del mondo, cioè tenere a bada l’inflazione e smuovere la liquidità, come in Europa, aggravando la crisi e buttandoci in recessione.

La seconda – e questo, permettetemelo, è motivo di soddisfazione personale – è che Bernanke sta intervenendo sulla madre di tutte le crisi, il mercato immobiliare, da cui i subprime folli, i Cds fuoriditesta, i derivati impazziti ecc ecc. Ho sempre pensato e scritto che non bisognava demonizzare quella “leva finanziaria” – cosa che è stata fatta finora, provocando l’insolvenza di milioni di mutui, il blocco dell’edilizia, la morte del credito basato sulle ipoteche – ma intervenirvi di nuovo. Ecco, ora Ben chiude il cerchio: da lì è partita la crisi, qui è la battaglia per ricominciare. Ovvero: un intervento selezionato – ecco perché questa non è come una cartolarizzazione all’incontrario – su un segmento della finanza, per rimuovere la frammentazione dei mercati finanziari, quella che tiene la liquidità bloccata hai voglia a immettere denaro, e agire sulla loro interdipendenza. Trovo straordinaria la frase usata da Joel Naroff, capo del Naroff Economic Advisors, insomma uno di quelli che consiglia come investire, per commentare la decisione della Fed: «Housing or nothing».

Bernanke, quasi anticipando le critiche che gli si muoveranno perché ha già stabilito l’ammontare dell’intervento – 40 miliardi di dollari –, ha pure detto che non si fermerà [come non si fermerà nel mantenere il costo del denaro prossimo allo zero almeno fino al 2015] ma non perché sarà “illimitata” la sua riserva di denaro, ma perché aspetta che i risultati siano soddisfacenti sui livelli di occupazione. E, per metterci pure il carico da undici, ha spiegato che non si fermerà finché il mercato del lavoro non sarà substantially migliore. E ha aggiunto di non usare un termine quantitativo ma uno qualitativo [sostanzialmente, non è una cifra, che possa dire se il 7 o il 6 per cento di disoccupazione – oggi siamo all’8 – sia migliore], because no single number sufficiently represented the health of the labor market, perché nessun numero può sufficientemente rappresentare la salute del mercato del lavoro. Wow, Ben, grande.

Per finire, forse per dare pure un contentino a Krugman e ai neokeynesiani – ma già parlare di salute del mercato del lavoro si avvicina tanto a quel sogno della piena occupazione di Keynes –, ha detto che si potrebbe salire un po’ sul livello di inflazione, dal 2 in cui ci si trova adesso.

Ovviamente, i repubblicani – che gliel’hanno già giurata da tempo – stanno sparando a palle incatenate: e che è un aiuto a Obama, e che non funzionerà, e questo e quello.

Stiamo a vedere. Da ieri forse comincia una strada nuova contro la crisi.

Nicotera, 14 settembre 2012

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