«Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto. È un vecchio proverbio messicano». Così diceva Ramon, col suo ghigno sghembo, nella vita GianMaria Volontè, a Joe, in arte Clint Eastwood, coi suoi occhi di ghiaccio, in Per un pugno di dollari di Sergio Leone, per intimargli che per lui e chiunque altro non c’era scampo. Ma nel duello finale Joe lo sfida – ciascuno dei due ha solo l’ultima pallottola –, ricordandogli le sue parole, e aggiungendo: «Vediamo se è vero». Ha la meglio lui, il nostro Clint.
Che a Tampa, Florida, alla Convention del Gop, il Partito repubblicano, che ha consacrato la candidatura di Romney come competitor di Obama per elezioni di novembre, ha detto che c’è troppa disoccupazione in America, «a national disgrace». Il giorno dopo a Jackson Hole, dove si sono incontrati i governatori delle banche centrali di tutto il mondo, pure Ben Bernanke, il capo della Fed americana, ha detto: «La stagnazione nel mercato del lavoro è a grave concern», una preoccupazione seria. National disgrace oppure grave concern: le espressioni indicano le attitudini degli uomini. Ben, un accademico per bene – niente a che vedere con Alan Greenspan il guru della Fed adorato dai mercati finanziari negli anni Novanta per avergli lasciato fare quello che volevano – non si preoccupa se il partito repubblicano, per cui lui stesso vota, ha già detto – con una scorrettezza inaudita e un rischio economico ancora maggiore – che non rinnoverà il suo mandato a fine 2014: lui è a capo della più importante istituzione monetaria del mondo, e ogni sua parola viene attesa, pesata, misurata, e scatena eccitazioni o depressioni nel mercato mondiale. Clint è un conservatore moderato, repubblicano da sempre, che oggi a ottant’anni può gigioneggiare in una Convention parlando a ruota libera con una sedia vuota, ma la sua immagine è quella dell’uomo tranquillo che se gli pestano la coda s’incazza sul serio [«Sembra un serpente – ricordava Sergio Leone –, per quella sua lentezza, poi quando spara è come un diavolo, e è in questa opposizione il carattere del personaggio»].
Sembra cioè lo scontro fra un apparato dai poteri immensi, un Leviatano, e un uomo solo, quell’epopea che piace agli americani da quando Melville gliel’ha inventata, raccontando del capitano Achab e di Moby Dick. Stavolta non è Joe the Plummer, l’idraulico che alle scorse presidenziali ebbe i suoi quindici minuti di notorietà perché poneva a Obama pungenti domande sulle tasse, il cittadino qualunque: è Clint. È per questo che le Colt di Per un pugno di dollari o le .44 magnum dell’ispettore Callaghan potrebbero anche battere il bazooka di Bernanke, in una versione aggiornata della sfida contro il fucile di Ramon.
In realtà, fu Henry “Hank” Paulson, il predecessore di Bernanke, a dire di avere un bazooka in tasca – «in my pocket» – e che lo avrebbe usato, inondando il mondo di dollari, se quelli di Wall Street continuavano a fare il cazzo che gli pareva loro. Più esattamente – come è ben illustrato in quello straordinario film per la HBO che è stato Too big to fail, ambientato proprio nel cruciale momento tra la crisi di Fannie Mae e Freddie Mac, il salvataggio della Aig e il fallimento della Lehman Brothers – Hank disse: «Hanno bisogno di credere che io abbia un bazooka in tasca». Dovevano crederlo, non che lui fosse sul serio pronto a usarlo, ma bisognava far passare l’idea, la ferma intenzione che lui l’avrebbe tirato fuori. In fin dei conti, bisognava ristabilire l’autorità monetaria, chi insomma comandava su quel cazzo di dollaro. Solo che il bazooka di Hank ha sparato a palle mosce.
Ma il grave concern che occupa le autorità monetarie, e fa dibattere gli economisti del mondo intero, non è tanto l’iniezione di liquidità nel sistema – i quantitative easing, come suole dirsi ma non dice mai Bernanke, che per la Fed parla invece di creadit easing e appioppa il QE alle politiche della BoJ, della Banca centrale del Giappone, la cui deflazione e stagnazione sono la sua vera bestia nera – ma il fatto che tutta sta massa monetaria non arrivi – si chiama liquidity trap, quando i tassi di interesse sul denaro sono prossimi allo zero, come negli Stati uniti – minimamente ai cittadini, alle imprese, ai consumi. E Bernanke ci ha provato, oh se c’ha provato, mica come Paulson che si preoccupò soltanto di salvare il sistema finanziario con il Piano Tarp (Troubled Asset Relief Program): al QE1 del novembre 2008 è seguito il QE2 dal novembre 2010 al giugno 2011 – di fronte alla reticenza delle banche a prestarsi denaro, la Fed ha reagito immediatamente aumentando l’offerta di liquidità attraverso le operazioni di mercato aperto (Open Market Operation), e tutti si aspettano il QE3, che nessuno sa quando sarà – passando per il LSAP (Large-scale asset purchases), per il Financial Stability Plan, per uno stimolo al credito alle piccole e medie imprese che beneficiano delle garanzie della Small Business Administration, per il TAF(Term Auction Facility), per il PPIP (Public-Private Investment Program), per il TSLF (Term Securities Lending Facility), per il PDCF(Primary Dealer Credit Facility), per il Making Home Affordability and Stability Plan [un piano di sostegno alle famiglie in difficoltà con il rimborso dei mutui ipotecari, volto a contrastare la rapida crescita dei pignoramenti e a stabilizzare i prezzi delle abitazioni], per un allentamento delle condizioni di accesso alla Discount Window (la finestra di sconto consente alle banche commerciali, alle holding bancarie e alle istituzioni di deposito di avere accesso alla liquidità, e le garanzie richieste sono rappresentate da ogni genere di asset detenuto dagli istituti di credito) e ballando il Twist [o anche MEP (Maturity extension program) con cui ha comprato titoli a lunga scadenza vendendo titoli a breve scadenza, operazione già di nuovo in cantiere, una cosa che piace molto a Scalfari, che la propone a Draghi come se fosse sua]. Non vi traduco gli acronimi, perché tanto si capiscono da sé.
C’è una sterminata e davvero importante bibliografia alla fine dell’intervento di Bernanke, rilasciato dalla Fed in pdf: se Clint nomina, tra i presenti alla Convention del Gop, Jon Voigt, che ha vinto un Oscar, anche lui un convinto repubblicano che fa dannare la figlia Angelina Jolie fan di Obama, Bernanke si mette all’altezza, dal canto suo, e cita Nobel, come Modigliani, e maestri diversi come Milton Friedman, il boss della scuola monetarista di Chicago. Ma a Clint non interessano i riferimenti bibliografici a piè di pagina. Lui dice solo che non è possibile andare avanti con questa disoccupazione, a national disgrace – che per la verità è una disgrace pure di noi europei. E comincia a sollevare il poncho, lentamente, molto lentamente: sotto, tiene le pistole. Anche se le proposte dei repubblicani sono disastrose – a cominciare dal fiscal cliff, ovvero gli incentivi fiscali per i ricchi introdotti nell’era Bush e perpetuati da Obama, in scadenza a fine anno –, e hanno sinora boicottato un accordo sul tetto al debito Usa per evitare tagli automatici alle spese e aumenti delle tasse, può Clint incantare con quei meravigliosi occhi di ghiaccio gli americani?
E chi lo sa?
Nicotera, 9 settembre 2012