Forse saranno stati i successi della squadra britannica alle Olimpiadi – mai un bottino così cospicuo, dove si conferma la prassi che i paesi organizzatori dei Giochi si avvantaggiano di un atteggiamento più che benevolo dei giudici di gara – a aver dato alla testa a William Hague, ministro degli Esteri e responsabile del Foreign Office che, in assenza di Cameron e Clegg e padrone del campo, minaccia sfracelli se l’ambasciata ecuadoregna a Londra non gli restituisce Julian Assange. Per Hague i trattati internazionali sarebbero carta straccia – che è esattamente quello che sostiene e svela il fondatore di Wikileaks – e, anche se la richiesta di asilo politico presentata da Assange è stata accolta dal presidente Correa e dal Parlamento dell’Ecuador, ha dichiarato che lo rivuole indietro e che se non glielo ridanno si vedrà costretto a venirselo a prendere. «We fully intend to do so». Siamo assolutamente determinati a farlo, ha detto Hague.
La mossa di Assange è stata molto probabilmente già concordata con Correa, e anche con il ministro degli Esteri ecuadoregno Patino, in occasione di un’intervista concessagli poco tempo fa, e quindi tutto il polverone e le controversie erano già messi in conto. Non è da escludere che la richiesta di asilo sia stata anche suffragata dal capo dell’ufficio legale di Assange, l’ex giudice spagnolo Baltasar Garzon, un altro personaggio scomodo e pure sempre in grado di conquistare la ribalta internazionale, e che un voluminoso dossier sia già pronto. Ma non credo sia necessario essere un giurista di fama per rendersi conto che se Hague la spuntasse l’idea fondamentale che l’ambasciata è un territorio inviolabile e che le sue porte possono sempre funzionare per dare riparo e rifugio a chi è in pericolo nel proprio paese andrebbe a farsi fottere, con conseguenze disastrose facilmente intuibili in quei luoghi dove dittatorelli e colpi di Stato e fanatismi sono all’ordine del giorno e i consolati stranieri sono spesso l’ultima speranza. Di vita.
Perché di questo stiamo parlando nel caso di Assange. Londra si mostra indefettibile rispetto una richiesta di arresto venuta dalla Svezia, dove Assange è stato accusato di stupro da due sue ex collaboratrici. Assange dalla Svezia potrebbe passare in una prigione americana, dove rischia l’ergastolo e la pena di morte per alto tradimento e collusione con il nemico, proprio come il soldato Manning, che gli fornì tutta la documentazione degli scambi di e-mail tra le ambasciate statunitensi e il Dipartimento di Stato mettendo a nudo ipocrisie e complotti. Hague sta facendo il lavoro sporco per gli americani. Gli inglesi l’hanno sempre fatto, e sì che gli americani non si tirano certo indietro, quanto a lavoro sporco nel mondo.
Però, stavolta – e questo è senza dubbio il merito si Assange, che ci mette la faccia e la vita – tutto è allo scoperto. È vero, Assange non rivela mai nulla che già non supponessimo. Non ci sorprende, ecco. E spesso ammucchiare frasi dal sen fuggite con disposizioni istituzionali crea solo una gran confusione. Però, c’è una bella differenza tra il supporre le porcherie del potere e delle potenze e il leggerle nero su bianco, con tanto di bollo e timbro e firma.
Speriamo che questa situazione trovi una via d’uscita che mantenga inalterato il diritto di asilo. Non sorprende poi tanto che in questa storia – la cui importanza è cruciale in assoluto e di questi tempi in particolare – gli intellettuali europei, sempre pronti a stracciarsi le vesti per la libertà e i diritti e la vita umana ovunque siano minacciati fuorché in casa propria, siano silenti. Assange non piace. È un “antipolitico” per antonomasia [basterebbe solo l’intervista a tre, con Slavoj Zizek, che dalle giovanili simpatie di destra è passato a un attuale impegno radicale di sinistra, e David Horowitz, che da radicale progressista è diventato un sionista di destra], sospetto di intrighi [di chi fa il gioco?], un paranoico del controllo e del segreto, autoritario e assolutamente poco democratico e trasparente. Però, uno non deve necessariamente essere simpatico, perché i suoi diritti, che sono anche i nostri e di chiunque, siano difesi.
Nicotera, 16 agosto 2012