Solo a tener conto delle prime dieci posizioni, se le formazioni nazionali europee corressero sotto la stessa bandiera di un’Europa unita e federata, il bottino del medagliere sarebbe insuperabile e straccerebbe quello degli Stati uniti d’America o della Repubblica popolare della Cina. E, molto probabilmente, sarebbe anche maggiore, potendo contare, oltre che su dei Trials ipercompetitivi, su una selezione, nei giochi di squadra, che si avvantaggerebbe nel mettere assieme atleti che adesso gareggiano divisi.
Eppure a nessuno passa per la testa un’idea simile, ed è curioso proprio mentre il dibattito politico e economico ferve sulla necessità e quasi obbligatorietà di “più Europa”, ovvero sul compimento e il salto di qualità di un processo che è stato monco, zoppo, squilibrato. Riusciamo così a formulare strampalate ipotesi sulla configurazione di una Banca centrale europea con poteri simili a quelli della Fed americana, che una squadra unica ce l’ha e gareggia sotto la bandiera a stelle e strisce, ma non ci passa neanche per l’anticamera del cervello di immaginare un’unica grande squadra con la bandiera azzurra attraversata da un cerchio di stelline gialle.
Gli inglesi, che ci hanno ospitati, e che furoreggiavano quasi ovunque, avrebbero rinunciato all’Union Jake? Beh, già non accettano l’euro, già non ci stanno al fiscal compact, figurarsi Wiggo – con i suoi basettoni alla Mod e il suo torso magro come un fachiro – che accanto la sua bici dedica la sua vittoria ai cittadini di Dusseldorf o di Amburgo. E, di converso, a Napoli o a Bergamo avrebbero sentito come “proprio” l’inglese Mo Farah che è andato a vincersi i 5.000 e i 10.000, in un’impresa riuscita a pochi atleti? A Parigi o Amsterdam avrebbero palpitato per la giovane Zara Phillips in sella a High Kingdom come da Buckingham Palace all’ultimo scalcinato pub è accaduto?
Provate a fare questa ipotesi zigzagando fra campioni di questa o quella nazionale e le capitali e le province di altre nazioni – a cominciare dalla nostra – e ci renderemo subito conto dell’assurdità della cosa. E non perché le federazioni nazionali siano vere e proprie caste che esercitano poteri e flussi di denaro tanto significativi da non poter neppure lontanamente immaginare come fare a liberarcene. Bensì perché un forte sentimento nazionale è connaturato alle patrie europee.
Qui non esprimo un parere su questo sentimento, provo solo a sottolineare quanto diverso siano gli Stati uniti d’America e l’Europa. E come sia fuori dal mondo un dibattito politico che prova a assimilare la condizione futura dell’Europa a quella degli Stati federali d’America. Però, non si sono sprecati in questi giorni i paragoni con la genialità di chi si accollò i debiti degli Stati del Sud in nome dell’Unione, affinché adesso la Germania e l’Olanda e la Finlandia e il Belgio si accollino i debiti dei paesi mediterranei in nome di una Federazione europea. E i paragoni fra la Tennessee Valley Authority di Delano Roosevelt e tutte le opere infrastrutturali che andrebbero fatte, finanziandole con project bond. E poi, insomma, se Ben Bernanke può immettere liquidità quanto gli pare, perché non dovrebbe poterlo fare Mario Draghi?
Ecco, la mia risposta sta lì, in quelle prime dieci posizioni alle Olimpiadi di Londra, dove stanno in bella fila tante bandierine dell’Europa. Non sono un antieuropeista, anzi. È che trovo davvero un tantino accelerato, oltre che assolutamente errato, quel percorso culturale e politico che identifica un processo di “più Europa” con la fortificazione di una élite completamente avulsa dalla coscienza popolare. E va bene che c’è chi come Monti considera già superflua, residuale, farraginosa l’esistenza di parlamenti e democrazie nazionali. Però. Ecco, basterebbe misurare la coscienza europea con lo sport europeo. E non è vero che sia tutto nazionalista, in senso deteriore.
A esempio, trovo che la Champions League sia l’unica cosa europea, sul piano sportivo, che somigli davvero alla NBA americana, dove i Lakers di Los Angeles si battono contro i Pistons di Detroit, dove i Magic di Orlando si battono contro i Bulls di Chicago, come i blaugrana di Barcelona si battono contro i tedeschi del Bayern o i francesi del Paris St. Germain contro gli italiani del Milan o gli olandesi dell’Ajax o i turchi del Feberhance. Ecco, io direi che se c’è oggi qualcuno in Europa a cui affidare un quantitative easing di euro stile Ben Bernanke questo è solo Michel Platini. Il che, va da sé, fa capire quanto lunga sia la strada per più Europa. E che magari è meglio se passa dalle città piuttosto che dalle nazioni.
Nicotera, 13 agosto 2012
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