Tra Monti e Squinzi, chi fa salire lo spread? «Lo spread lo farà salire lei». «No, lei».

Le dichiarazioni di Monti, dopo l’ulteriore balzo in avanti dello spread, di cui addossa la responsabilità alle improvvide parole di Squinzi, neopresidente Confindustria, sulla «macelleria sociale» stanno fra il delirio e il grottesco. Come se davvero ogni mattino a Pechino all’Industrial and Commercial Bank of China o a Londra all’HSBC o a New York alla JP Morgan, si chiedessero: che ha detto Squinzi? Ah, sì, allora vai di spread. Stanno però anche a svelare come ormai l’algido tecnico ci marci, garantito dal panico e dall’immobilismo che paralizza le forze politiche e sostenuto a spada tratta dal partito di Scalfari – non tutto, Rampini ha scritto un bell’articolo in cui prende clamorosamente le distanze dal padre-padrone della Repubblica – e dal Corriere, e anche qui con qualche distinguo: dovrà assumerla tutta la redazione, Monti, mica solo Giavazzi, se vuole editoriali di pieno sostegno.
Monti dopo un ritorno tronfio da Bruxelles – rilasciando interviste a destra e manca in cui “pacatamente” spiegava come avesse costretto l’Europa alla sua determinazione inossidabile e con eguale magnanimità concedeva comunque l’onore delle armi alla Merkel – s’è ritrovato, nell’arco di 48 ore, con una situazione ancora più disastrosa: borse in picchiata, spread in salita. Coccolato com’è dal manovrismo di Napolitano e fomentato dal qualunquismo dei partiti, non si rassegna all’idea che l’unica vera sciagura di questo Paese in questo momento sia la sua medesima persona. Non solo, minaccia ormai non più velatamente che ce lo dovremo sopportare pure dopo il fatidico 2013 – tanto, qui fanno a gara a accaparrarselo, manco fosse Massimo Calearo.
La verità è che a ogni manovra, a ogni “riforma” delle pensioni, del lavoro, della spesa pubblica, del diavolo che se li porti, lo spread sale, rendendo inutile la manovra precedente e costringendo a ulteriori tagli, a ulteriori strette, a dover far fronte a interessi sempre più elevati.
Basterebbe fare due conti, e vedere come, per dire, se fossimo usciti dall’euro già qualche mese fa – se avessimo avuto la lira, e pensa un po’ che genialata hanno pensato: rifare lo Sme –, avremmo avuto sì una leggera inflazione ma si sarebbe ridotto drasticamente il nostro debito pubblico e ci saremmo risparmiate un bel po’ di “riforme”. Insomma, qualcosa come l’operazione Amato, che ci costò lacrime e sangue, ma siamo sopravvissuti, mentre qui – che vale dieci volte la manovra Amato – rischiamo di restarci, sotto i ferri dei “tagli col bisturi”.
L’euro è sotto attacco, e la scommessa è contro un’Europa che ha fragilità intrinseche – che magari se rovesciassimo il punto di vista sono la sua potenzialità, la sua ricchezza – e che non può andare oltre queste stesse fragilità. Hai voglia a parlare di cessioni di sovranità della Francia – figurarsi il grasso che colerebbe per Marine Le Pen, senza nulla fare – o di unioni fiscali e di controlli per l’Italia – sai il grasso che cola per Beppe Grillo, senza nulla fare. È la Germania, la sua forza produttiva, la sua solidità finanziaria, il suo mercato, che poi siamo tutti noi europei, che è presa d’assedio, e ha dato ordine ai suoi avamposti – l’Italietta di Monti, la Spagnoletta di Rajoy, persi ormai Grecia, Portogallo e Irlanda – di resistere fino all’ultimo uomo. Poi, magari sarà lei stessa a sganciarsi.
Al prossimo balzo dello spread Monti se la prenderà… già con chi? A chi toccherà?
Che se ne vada, seduta stante. Troviamogli un posto in qualche commissione europea, che se lo prenda la Germania, non so. È una vera sciagura.
P.S. = Per quell’altra sciagura che è Scalfari, credo non ci siano più rimedi e vie d’uscita.

Nicotera, 9 luglio 2012

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