Chissà cosa si saranno detti, in quell’Agenzia delle entrate di Romano di Lombardia, Luigi Martinelli, il sequestratore, e Carmine Mormandi, il sequestrato, in quelle poche, maledette ore. Hanno la stessa età, sui cinquant’anni, uomini fatti, percorsi diversi eppure complementari: l’uno, piccolo imprenditore con un’azienda di pulizie, l’altro un impiegato, che raccoglieva le tasse. Due pilastri di quella piccola comunità, l’uno a dare lavoro, a produrre profitti, a pagare il dovuto; l’altro, a esigere tributi da devolvere poi in servizi: dovrebbero funzionare così le cose. Hanno funzionato così, è questa la ricchezza sociale di quelle zone. C’è chi – la Lega – ci ha costruito le proprie fortune politiche su questo, rivendicandolo, propugnando la secessione. E c’è – sempre la Lega – chi ha minacciato l’Italia intera, parlando di «trecentomila fucili bergamaschi» pronti a saltare fuori e battersi per la Padania. Ecco, uno è saltato fuori adesso. Ma non si batte per la Padania. Non sa nemmeno bene più se c’è ancora qualcosa per cui valga la pena battersi.
Ha sparato in aria, per fortuna, il fucile padano di Luigi Martinelli. Ma è stato Carmine Mormandi a sprovarlo: quando lo ha visto entrare armato fino ai denti in Agenzia e ordinare a tutti di stare fermi, lui, che lo conosce da una vita e non poteva crederci di trovarselo lì in quelle condizioni, fuori di senno, gli ha detto: «E se non mi siedo, che fai, mi spari?» E quello ha sparato. In aria, per fortuna.
Si conoscono da una vita, Luigi e Carmine, l’uno a entrare in Agenzia a pagare le cartelle esattoriali, a chiedere una qualche deroga, una qualche rateizzazione, l’altro a stare in Agenzia a incassare, a vedere dove si poteva rallentare, dove no. Dovrebbero funzionare così le cose. Hanno funzionato così, in quella zona. Fino a che. Fino a che la crisi ha squarciato tutto, spingendoci a non riconoscerci più l’uno con l’altro, a non riconoscere più noi stessi. C’è chi si chiude in automobile e lascia andare il gas di scarico, chi si attorciglia una corda intorno al collo, chi si versa benzina addosso e si dà fuoco. Quel cretino di Monti ha detto che noi non siamo come la Grecia, che lì i suicidi sono 1715 e i nostri solo trecento. Scusateci, amici greci, scusateci. Perdonateci di avere un capo del governo cretino e volgare. Un becchino che fa la conta dei morti per vedere se stiamo messi meglio o peggio d’altri. Chissà che dirà ora Monti. Ci voleva parlare Martinelli. E forse è stato un bene che non ci sia riuscito. Chissà come sarebbe finita. Forse avrebbe sparato davvero, contro Mormandi o contro se stesso. O prima l’una cosa e poi l’altra. Perché tanto, quello che è successo è proprio l’altra faccia dei suicidi che continuano come “morti sul lavoro”.
Dice Michele Lamera, il sindaco di Romano di Lombardia, che la situazione lì «è critica come in tutto il paese, ma non mi aspettavo un gesto del genere». Già, e chi se lo aspettava. Certo, non Carmine Mormandi, da trent’anni ligio impiegato dell’Agenzia delle entrate. Certo, non Tetyana, la sua compagna, a cui Carmine ha potuto telefonare pochi secondi – «Dai, Luigi, fammi chiamare, ti prego», gli avrà detto, e Luigi, che è separato ma non ha una compagna, ha capito –, e probabilmente neppure Martinelli, se lo aspettava.
Già, chissà cosa ci aspetta domani. Quanti altri pomeriggi di follia, mentre tutt’intorno si spianano i fucili delle teste di cuoio, a tirarci giù come cani pazzi.
Nicotera, 4 maggio 2012
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