Prepariamoci al peggio. Brandiamo la poesia

No, non mi riferisco alla frase di Mario Draghi: «Il peggio è passato ma restano rischi», che poi tradotto – il suo ruolo e la sua funzione sono quelli di non creare allarme, laddove anche ci fosse –, vuol dire che il peggio deve ancora venire. Mi riferisco piuttosto al segretario nazionale dell’associazione dei funzionari di polizia, Enzo Letizia che – contravvenendo alla legge che in nomen omen, e portando mestizia – dice: «In piena recessione è evidente il rischio di una spaccatura sociale del paese che può alimentare pericolose derive anche di natura eversiva». Come già per il capo della polizia, Manganelli, e per il ministro dell’Interno, Cancellieri, c’è da parte dei tutori dell’ordine sociale un insistente allarme basato sull’equazione tra crisi e eversione. Esso ha tutto il carattere dell’allarme “preventivo” – dato che, almeno sinora, non è seguita alcuna dimostrazione dell’assunto – sfociando in una lettura delle cose che equipara ogni possibilità di conflitto in una cospirazione. Diventando poi queste parole, con ogni probabilità, circolari e sollecitazioni dal centro, dall’alto, alle polizie e ai funzionari di tutt’Italia, non è difficile immaginare quale clima d’ansia e quale deformazione mentale costruisca. E quale “visione delle cose” possa alimentare o sostenere in funzionari che considerano qualsiasi cosa si muova alla pari di un attentato. Delle due, però l’una: o i nostri addetti all’ordine sono a conoscenza di fatti precisi e allora ci si domanda che cosa aspettino a fermarli; o cercano giustificazioni preventive in un’opera indiscriminata di intimidazione contro le lotte sociali che non ha alcun supporto se non il “clima di spaccatura”. Non parrebbe vero, a questi signori che in un momento come questo qualche imbecille si lasciasse andare a gesti stupidi, ancorché isolati. Quello che però crea davvero ansia in chi li ascolta – conoscendo come sono andate da sempre le cose in questo paese – è che loro stessi finiscano con il “favorire” il gesto del sopraddetto imbecille.
Prepariamoci perciò al peggio. Ricorriamo alla poesia. È una grande risorsa, una magnifica arma, da sempre nei conflitti con il potere. Ieri l’altro, a Atene, una gran folla è scesa in piazza issando cartelli che contenevano versi di poeti greci – che so, Giorgos Seferis, Kostantinus Kafavis, Dyonisios Solomos – per protestare contro la crisi e il parlamento.
Pericolosi, sicuro.

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